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martedì 21 aprile 2015

La strage dei migranti e le responsabilità dell'Europa

di Annamaria Rivera

Almeno 1.800 morti dall’inizio dell’anno. Vittime del neocolonialismo occidentale, delle sue politiche di rapina, guerra, ingerenza “umanitaria”, destabilizzazione, che spesso trovano complici nelle élite locali. Vittime anche delle politiche proibizioniste, quindi migranticide, di un’Unione europea che ha gettato alle ortiche perfino i più basilari fra i diritti umani – il diritto alla vita e all’asilo – sui quali pure si fondano i suoi ordinamenti. Un’Unione che, come scrive Barbara Spinelli, insieme con i suoi 28 Stati e i suoi europarlamentari, ma anche con lo stesso Alto commissariato dell’Onu, è di fattocolpevole “di crimini di guerra e sterminio in tempo di pace”

Di fronte alla strage più grave nella storia degli esodi nel Mediterraneo – subito seguita da un altro naufragio mortale, questa volta nei pressi dell’isola di Rodi – la miseria politica e morale d’istituzioni e dirigenti politici, europei e italiani, si mostra in tutta la sua evidenza. 

Per Federica Mogherini, quest’immane tragedia “si risolve solo agendo alla radice, cioè impedendo che i barconi partano”.  Sarà pure fine stratega, perciò divenuta Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ma Mogherini mostra di non saper distinguere tra radice, cioè causa, ed effetto. Lo stesso presidente del Parlamento europeo, Martin Schultz, pur deplorando (e ciò va a suo merito) l’abbandono della missione Mare Nostrum in favore di Triton, afferma, in un’intervista, che “i responsabili delle morti dei migranti nel Mediterraneo sono gli scafisti, trafficanti e criminali”. 


Così anch’egli legittima, forse involontariamente, la vulgata che da molti anni vale a coprire e ad eludere le pesanti responsabilità della Fortezza Europa rispetto alle stragi. Come se ignorasse, Schultz al pari di Mogherini, che ogni sistema proibizionista è destinato a produrre traffici illegali e reti criminali. I due seguono una scuola di pensiero (si fa per dire) che ha avuto tra i più illustri divulgatori Giorgio Napolitano. Il quale, nel 2011, mentre i “disperati” fuggivano dall’inferno della Libia, bombardata dalla Nato,incitava a «prevenire nuove, continue partenze per viaggi della morte».  

D’altronde, il Salvini che esige un “blocco navale internazionale subito, davanti alle coste libiche”, non fa che porsi, a sua volta, sulla scia di una tradizione politica di matrice centrosinistra. Si pensi al blocco navale militare in acque internazionali, deciso nel 1997, senza mandato parlamentare, dal governo Prodi, in accordo con quello albanese di Sali Berisha, allo scopo di arrestare il flusso di profughi. Fu il blocco a causare l’eccidio che si consumò nella notte tra il 28 e il 29 marzo di quell’anno, quando una corvetta della Marina Militare, la Sibilla, speronò la Kater I Rades, provocando un centinaio di vittime. 
In quel lontano 1997, mentre il governo cercava di bloccare manu militari le partenze verso l’Italia, la Lega Nord conduceva una campagna forsennata incitante alla caccia contro gli albanesi. Per dirne una, sei mesi dopo la strage, il consiglio comunale di Acqui Terme, su proposta del sindaco leghista, avrebbe istituito la taglia di un milione di lireper ogni albanese “clandestino” catturato e rimpatriato. 

A ben riflettere, anche oggi v’è qualche oggettiva convergenza tra forze politiche divergenti, al di là delle pur profonde differenze di stile e di lessico. Se Salvini, reso ancor più sfrenato dalla coerente alleanza con la galassia dell’estrema destra, specula cinicamente su ciò che ormai dovremmo chiamare genocidio, Renzi non va oltre la demagogia, pur deplorandola, quando afferma, in un tweet, che “la battaglia di tutti deve essere contro i trafficanti di esseri umani”. 

Entrambi sono, in fondo, degna espressione della profonda crisi – anche politica, ideologica e morale – dell’Unione europea; nonché del circolo vizioso tra il sovranazionalismo armato a difesa delle frontiere europee, lo sterminio di migranti, la crescita allarmante, in tutta Europa, dei nazionalismi di estrema destra e conseguentemente dell’area dell’intolleranza. La quale si esprime dall’alto dei vertici politici fino al basso degli umori popolari: è impressionante la valanga, via web, di commenti che manifestano compiacimento o soddisfazione per la strage. 

Sconfortante è constatare come, sia pur con qualche variante, tutto si ripeta secondo l’eterno ritorno di ciò che mai è stato elaborato e trasceso. Ancor più sconfortante la consapevolezza della nostra impotenza. 

Certo, continueremo a manifestare, con presîdi e sit-in in tutta Italia, e a insistere nelle nostre rivendicazioni: il ripristino di una missione di ricerca e salvataggio in acque internazionali, analoga a Mare Nostrum, ma sotto l’egida dell’Onu; la creazione di corridoi umanitari con il rilascio di visti d’ingresso verso i vari paesi dell’UE; il superamento del regolamento di Dublino III, in modo da permettere ai richiedenti-asilo di scegliere il Paese europeo in cui intendono restare e da coinvolgere tutti gli Stati dell’UE, secondo quote e criteri uniformi. 

E tuttavia il tempo sarebbe ormai maturo per azioni politiche più incisive, ampie, proporzionate al genocidio di cui, nostro malgrado, siamo corresponsabili morali. 

Versione ampliata e aggiornata del’articolo pubblicato dal manifesto il 21 aprile 2015


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