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lunedì 20 aprile 2015

I 3 dell’Ave Bavaglio

di Marco Travaglio, da Il Fatto Quotidiano, 18 aprile 2015

Ma che gentili. Gli esimi procuratori della Repubblica Edmondo Bruti Liberati (Milano), Giuseppe Pignatone (Roma) e Franco Lo Voi (Palermo) offrono su un piatto d’argento alla Banda Larga che ci sgoverna tra un furto e l’altro, un bel bavaglione per la stampa sugli scandali del potere. 

Bruti, Pignatone e Lo Voi si possono a buon diritto definire i “procuratori Y 10”: piacciono alla gente che piace. Si sono conquistati la benevolenza e la riconoscenza dei politici di ogni colore. Bruti ha messo all’angolo il suo aggiunto Robledo, che indagava su Expo e altri totem intoccabili, e l’ha espropriato di inchieste che gli spettavano di diritto come capo del pool PA in base alle regole dettate dallo stesso procuratore; così, quando il Csm si accingeva a sanzionarlo, intervenne Napolitano a salvarlo. 

Pignatone, da procuratore aggiunto di Grasso a Palermo, partecipò alla estromissione dall’Antimafia di tutti i pm “caselliani” che indagavano su mafia e politica e all’archiviazione di alcuni fascicoli scottanti, diventando poi capo delle Procure di Reggio Calabria e di Roma. 

Lo Voi fu nominato rappresentante italiano in Eurojust dal governo Berlusconi (una medaglia al valore), e poi procuratore di Palermo dal Csm, scavalcando colleghi ben più anziani e titolati (Lo Forte e Lari),grazie al solito Napolitano che bloccò il Plenum mentre stava per nominare uno dei due concorrenti più meritevoli.


Ora i Tre Tenori, auditi dalla commissione Giustizia della Camera più che mai ansiosa di silenziare la stampa, si mettono gentilmente a disposizione con due proposte avvincenti. 

1) I magistrati potranno continuare a inserire nelle ordinanze di custodia cautelare – depositate agli avvocati e agli arrestati e/o indagati, dunque non più segrete – intercettazioni, verbali d’interrogatorio e così via. Ma i giornalisti, pur conoscendole, non potranno più raccontarle fino all’inizio del processo. Cioè mesi, anni dopo: dovranno attendere la fine delle indagini preliminari, il deposito degli atti, le attività integrative chieste dagli avvocati, l’udienza preliminare e il rinvio a giudizio (e se questo non ci fosse, ma intervenisse l’archiviazione o il proscioglimento, nulla si potrebbe sapere di tutto ciò che si è scoperto solo perchè il giudice non l’ha ritenuto penalmente rilevante, con tanti saluti alla responsabilità politica, amministrativa e morale). 

2) Insieme alle ordinanze, gli avvocati e gli indagati e/o arrestati ricevono anche le richieste del pm, le informative di polizia, i brogliacci completi delle intercettazioni.

Anche questi, una volta depositati, non sono più segreti, dunque i giornalisti li conoscono: ma non potranno riferirli nè farvi cenno, e non solo fino all’inizio del processo, ma mai, per l’eternità. L’idea che una notizia vera, documentata e pubblica diventi impubblicabile, a pena di multe salatissime (la solita paraculata per evitare che si gridi al “carcere per i giornalisti”, che com’è noto è finto, salvo campagne diffamatorie violente e recidive), oltrechè indecente, è anche esilarante. Curioso che i Tre dell’Ave Bavaglio ignorino non solo la Costituzione italiana e la Convenzione europea sui diritti dell’uomo, ma anche la giurisprudenza della Corte di Strasburgo che da anni afferma la prevalenza del diritto di cronaca su quello alla riservatezza dei potenti.

Il 24 aprile 2008 (ricorso n. 17107/05), per esempio, la Corte ritenne violato l’art. 10 della Convenzione (“libertà di espressione”) da parte del Portogallo: lì un giornalista aveva pubblicato una sintesi di atti di indagine su un politico accusato di frode fiscale ed era stato condannato per violazione del segreto. Ma per la Corte le esigenze di riservatezza delle indagini e degli indagati sono secondarie rispetto all’interesse pubblico a essere informati dei fatti che sono oggetto dell’accertamento giudiziario”. 

Il 7 giugno 2007, poi, Strasburgo condannò la Francia, sempre per violazione della libertà di espressione (ricorso n. 1914/02). Motivo: il Tribunale di Parigi aveva sanzionato con piccole multe due giornalisti di Le Monde, Dupuis e Pontaut, autori del libro “Les Oreilles du Président”, che denunciava (e pubblicava) le intercettazioni illegali disposte sotto la presidenza Mitterrand su circa 2000 persone, compresi molti avversari politici. I giudici francesi avevano dichiarato prevalente la tutela del segreto istruttorio. La Corte europea invece stabilì che, quando ci sono di mezzo politici, i limiti della critica e della cronaca sono più ampi. Anche se si infrange il segreto. È vero che i due autori hanno violato le norme sul segreto istruttorio, ma era loro dovere farlo. Perché in questi casi prevale l’esigenza del pubblico di essere informato sul procedimento giudiziario: “È legittimo accordare una protezione particolare al segreto istruttorio, sia per assicurare la buona amministrazione della giustizia, sia per garantire il diritto alla tutela della presunzione d’innocenza delle persone oggetto d’indagine. Ma su queste esigenze prevale il diritto di informare, soprattutto quando si tratta di fatti che hanno raggiunto una certa notorietà tra la collettività”. 

La Corte aggiunse che anche la sanzione di un’ammenda di poche centinaia di euro può avere un effetto dissuasivo dell’esercizio della libertà di stampa: “In una società democratica, bisogna adottare la massima prudenza nel punire i giornalisti per violazione del segreto… visto che essi esercitano la missione di ‘cani da guardia’ della democrazia. L’art.10 protegge il diritto dei giornalisti di comunicare informazioni di interesse generale, purché si attengano alla buona fede e all’esattezza dei fatti”.

Qualsiasi bavaglio sbatterà dunque le corna contro l’Europa e non entrerà neppure in vigore, potendo essere disapplicato direttamente dai tribunali italiani. Quando i nostri politici, anziché perder tempo a censurare le notizie sui loro furti, la smetteranno di rubare, sarà sempre troppo tardi.

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