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sabato 4 aprile 2015

Il fallimento europeo. Sei lezioni dallo scontro tra Atene e Bruxelles

di Enrico Grazzini

Le trattative tra il governo greco guidato da Alexis Tsipras e l'Eurogruppo, che riunisce i 19 paesi dell'euro con alla testa il governo di Berlino, sono ancora in corso, e l'esito è aperto: tuttavia si possono già trarre alcune lezioni.

La prima lezione è che la Germania è determinata come sempre, e più di sempre, a imporre la sua rigida austerità, e non deflette di un centimetro dalla sua politica. Rivuole tutti i suoi crediti, irresponsabilmente concessi ai paesi in crisi, anche a costo di ammazzare il debitore. Per la Germania la questione greca è però soprattutto politica: se concedesse credito alla Grecia di Tsipras dovrebbe smettere di imporre a tutti i paesi europei la sua folle politica d'austerità: riduzione accelerata del debito pubblico, taglio al welfare e al costo del lavoro, privatizzazioni. L'Europa degli ideali e della cooperazione, della pace tra i popoli è ormai sepolta: esiste solo una Unione Europea che si schiera con le banche creditrici del nord contro i popoli e le nazioni debitrici del sud. L'Europa è ormai solo una questione di crediti e di debiti. Una questione di soldi. Anche la pietà è morta.


La seconda lezione è che nessun paese europeo, neanche quelli con governi di “sinistra”, come Italia e Francia, ha aiutato il governo socialista radicale di Tsipras. Spagna, Portogallo e tutte le altre nazioni europee hanno seguito senza fiatare la linea tedesca contro la Grecia di Tsipras, e anzi hanno cercato di indurire ancora di più le posizioni teutoniche. Lo hanno fatto per dimostrare che la sinistra conseguente e radicale non può mai vincere sull'Europa a guida tedesca, e per non dovere giustificare di fronte ai loro popoli le manovre antipopolari e suicide che stanno conducendo. Per dimostrare che se forze come Podemos andassero al potere non avrebbero vie di uscita: dovrebbero continuare la folle austerità o potrebbero essere buttate fuori dall'Eurozona, possibilmente anche dall'Unione Europea, ed essere tagliate fuori dalle istituzioni e dalla finanza internazionali.

La Grecia si è trovata completamente isolata di fronte agli altri 18 paesi dell'euro. Vergogna per quei governi, come quello italiano, che non hanno neppure osare fiatare di fronte ai diktat della Merkel e di Wolfgang Schaeuble contro Tsipras e il popolo greco! Nessun governo, neppure quelli che si dichiarano di sinistra, ha cercato di imporre una svolta all'Unione Europea approfittando del fatto che la tragica crisi greca indica il fallimento evidente delle politiche europee. Infatti la Grecia ha il 175% del debito sul PIL, rispetto al 130% che registrava all'inizio della cura dell'austerità. Matteo Renzi è stato in silenzio, proprio come quel “gigante politico” di Hollande. Nessuno ha avuto il coraggio di contrapporsi alla Merkel. Tutti hanno invece garantito la loro conformità alle folli regole dell'austerità per compiacere il governo tedesco, la BCE e la UE. Con buona pace di chi vorrebbe rifondare l'Europa grazie al “fronte unito” di Italia, Francia e Spagna. Il centrosinistra e i socialisti europei sono complici della politica della Merkel, e subiranno in silenzio, o al massimo con qualche flebile lamento, anche la possibile uscita della Grecia dall'euro.

La terza lezione è che la UE è completamente subordinata alla Germania e che occorre recuperare l'autonomia nazionale. La Germania non ha paura di scontrarsi con la Commissione Europea per ribadire la sua supremazia nella UE. E' noto che Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione UE, è molto più morbido nei confronti della Grecia che la Merkel. Anche perché, se la Grecia uscisse dall'euro, la UE, e quindi lo stesso Juncker, sarebbero molto più deboli. Ma la Merkel prevale nettamente su Juncker. Scrive l'autorevole rivista tedesca Spiegel:

“Anche se Merkel è democristiana come lo era Kohl, ha rotto con la linea (fortemente europeista, ndr) di Helmut Kohl. Per lei l'Europa non è più una questione di guerra e pace, ma di euro e di centesimi di euro. Merkel ha usato la crisi dell'euro per ridurre il potere della Commissione Europea e restituire potere agli Stati nazionali. Da questo punto di vista, può essere considerata come il De Gaulle (l'ex presidente francese, che voleva un'Europa debole di fronte all'affermazione della sovranità nazionale, ndr) del XXI secolo”[1].

La grande studiosa di relazioni internazionali Susan Strange aveva già spiegato che tutte le organizzazioni internazionali (come l'ONU per esempio) per loro natura sono sempre dominate da uno o più governi[2]. Alla faccia dei nostrani “europeisti a prescindere”, è chiaro che gli organismi internazionali sono sempre deboli di fronte ai governi dominanti, semplicemente perché dipendono da loro, sia a livello finanziario che politico. A livello amministrativo, comandano i grandi tecnocrati selezionati dai politici delle nazioni dominanti. Solo a livello nazionale c'è la democrazia: i cittadini, gli elettori possono fare sentire la loro voce e nominare e controllare i loro rappresentanti, e mandarli a casa se fanno male. A livello nazionale possono nascere formazioni come Syriza, Podemos, o, per altri versi, il Movimento 5 Stelle in Italia. A livello europeo invece non esistono movimenti significativi. Domina la politica tedesca. L'esperienza di Syriza in Grecia e di Podemos in Spagna insegna che le lotte sono prima di tutto a livello nazionale. Il nazionalismo democratico non è quindi passatista: è un ritorno al futuro. Lo stato democratico nazionale non è un ferrovecchio da buttare come suggerisce l'ideologia liberista della globalizzazione. La politica si fa soprattutto a livello nazionale perché le società sono nazionali. A dispetto dell'illusione degli Stati Uniti d'Europa.

La quarta lezione è che non esiste alcuna possibilità di ridiscutere il debito europeo. E' altamente improbabile che la Germania e l'Eurogruppo, che riunisce i 19 paesi dell'euro, concedano dilazioni alla Grecia, che pure ha un debito di “soli” 320 miliardi. Un debito che è, tra l'altro, in mano a istituzioni pubbliche (UE, BCE, FMI), le quali potrebbero facilmente farlo sparire nei loro bilanci. La piccola Grecia non chiede neppure più la ristrutturazione dei debiti. Se paesi come l'Italia, che ha 2300 miliardi di debiti in mano alle banche commerciali private, chiedessero una diluizione dei debiti sarebbero immediatamente cacciati dalla UE e dalla comunità internazionale. La strada indicata da Syriza, cioè quella di chiedere una Conferenza Europea per la messa in discussione dei debiti intraeuropei – si dimostra quindi completamente sbarrata. La Germania non discuterà mai sui crediti che vuole riscuotere. Piuttosto molla l'euro.

La quinta lezione è che … è molto difficile uscire dall'euro. Lo è per la Grecia, perché oltre il 70% degli elettori non vuole uscire, anche se … oltre il 70% approva il modo apparentemente spavaldo e non arrendevole con cui Tsipras ha condotto le trattative con l'Eurogruppo e la Troika. E' difficile uscire dall'euro perché gran parte dei capitali è fuggito all'estero; perché è difficile controllare la fuga dei capitali. Perché il paese si spaccherebbe tra favorevoli e contrari. E perché la BCE con il Quantitative Easing, come ha detto lo stesso Mario Draghi, ha “isolato l'infezione greca”. La caduta degli spread legata all'allentamento monetario della BCE, all'acquisto di titoli europei per 60 miliardi al mese, dimostra che i mercati finanziari, almeno per ora, non hanno paura della Grexit. Fino a quando la BCE riuscirà a garantire il “tutto necessario” (whatever it takes) per sostenere l'euro, l'euro resterà. Fino a quando alla Germania converrà sostenere l'euro e la BCE, l'euro rimarrà. Uscire dall'euro è molto difficile, ma rimanere così nell'euro significa dissanguarsi.

La sesta lezione è che probabilmente la Grecia dovrà ricorrere a una moneta parallela all'euro per riuscire a sopravvivere. La prescrive ormai anche il Financial Times: la moneta fiscale è diventata necessaria per ridare ossigeno all'economia, per dare liquidità al sistema[3]. Se la BCE e la UE non concedono euro alla Grecia, lo stato greco sarà costretto a emettere una sua moneta parallela, possibilmente garantita dal pagamento fiscale. Ne aveva già scritto sul suo blog un anno fa il ministro del Tesoro Yanis Varoufakis: occorre una nuova moneta statale per la Grecia.  Il problema è che le banche non fanno credito all'economia reale. Il QE di Draghi da soldi alle banche e agli stati, pompa solo i mercati finanziari. In questa situazione solo lo stato può e deve intervenire emettendo titoli fiscali gratuiti con valore di moneta per ridare liquidità all'economia reale, redditi ai lavoratori e alle famiglie. Per coprire i necessari investimenti pubblici. Una moneta fiscale (necessariamente) dentro l'euro ma anche oltre l'euro. Questa sembra essere la sola via di uscita praticabile in Grecia come in Italia. Con una differenza importante: in Grecia l'emissione di una moneta fiscale parallela all'euro è una mossa disperata e preluderebbe molto probabilmente al ritorno alla dracma. In Italia la moneta fiscale convertibile in euro potrebbe invece funzionare bene per l'economia senza essere obbligati a uscire dalla moneta unica.

Non è possibile prevedere se la Grecia sarà costretta dalla Germania ad abbandonare l'euro. E se Tsipras dovrà abbandonare, almeno in gran parte, i suoi obiettivi riformisti. Tuttavia per la Grecia il problema della ristrutturazione dei debiti o dell'uscita dall'euro si porrà sempre. La Grecia è un paese fallito e la situazione è tragica sul piano umanitario. Senza cambiamenti radicali non potrà risollevarsi (e l'Italia si trova in una condizione non troppo migliore, anche se, a differenza della Grecia, non è ancora un paese fallito). Il caso greco conferma, se ce ne fosse bisogno, che la politica tedesca (e a seguire quella della UE) si oppone a ogni tentativo di riforma dell'eurozona e della UE. La miope rigidità tedesca e quella dei trattati europei preannunciano catastrofi e il caos rovinoso dell'euro. Dal tunnel della crisi con questa UE e con questo euro non si uscirà mai. Sarebbe ridicolo affermare che tutti i problemi dell'eurozona possono essere risolti con la moneta fiscale: ma questa sembra essere la via necessaria per sganciarsi per quanto possibile dall'egemonia tedesca, per ritornare alla democrazia, alla autonomia nazionale, alla possibilità di intervenire in maniera democratica e finalmente espansiva sulla politica economica. L'alternativa è solo l'inazione, il tirare a campare.

NOTE

[1] Spiegel on line versione inglese 14 marzo 2015 “Endgame: Power Struggle in Brussels and Berlin over Fate of Greece” [2] Susan Strange, Chi governa l'economia mondiale? Crisi dello stato e dispersione del potere, Il Mulino
[3] Wolfganf Munchau, Athens must stand firm against the eurozone’s failed policies, Financial Times, 15 febbraio 2015

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