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sabato 25 gennaio 2014
L’Unione Bancaria da respingere: il flop di regole inutili e dannose che non affrontano la crisi
di Enrico Grazzini
Mario Draghi, il presidente della Banca Centrale Europea, avverte che molte banche dovranno chiudere con le nuove regole decise a dicembre dai governi europei per formare una Unione Bancaria. La BCE annuncia quindi un'altra crisi potenzialmente dirompente dopo quella drammatica dei debiti sovrani.
Ecco perché questa Unione Bancaria europea è da respingere: perché favorisce l'inasprimento della crisi europea, non risolve la deflazione in corso e indebolisce le banche del sud a favore delle banche dei paesi più ricchi, Germania in testa. Per essere chiari: quando, alla fine del 2014, le regole dell'unione bancaria cominceranno ad essere applicate, una banca in grande e seria difficoltà come in Italia MPS incontrerebbe dei problemi ancora maggiori e potrebbe rischiare veramente di chiudere se non fosse nazionalizzata o ceduta all'estero.
Ma chi dice che l'unione bancaria è un fallimento? I soliti marxisti catastrofisti e incompetenti? La sinistra radicale ed estremista? Il populista Beppe Grillo? No, lo riconosce prima di tutti Wolfgang Munchau, forse il maggiore esperto di economia europea e di euro: l'uomo che meglio conosce il sentimento dei mercati finanziari. L'editorialista del Financial Times a proposito dell'Unione Bancaria decisa a dicembre si chiede “Perché i paesi europei si accontentano di stringere questi patti disgustosi? Per usare una metafora: perché i tacchini continuano a votare a favore del Natale?” [1].
Così Munchau descrive la situazione: “L'unione bancaria decisa a dicembre è esattamente quella voluta dal ministro delle finanze Wolfgang Schäuble.....I contribuenti tedeschi non pagheranno nulla per la ristrutturazione delle banche estere e nessuna banca tedesca verrà mai chiusa … La Germania ha ottenuto tutto quello che voleva senza concedere nulla.
E' accaduta la stessa cosa per il fiscal compact. Ha imposto la disciplina fiscale a tutta l'Europa in cambio di niente”. Munchau ci fa vedere che tutti i ministri (tra cui ovviamente il nostro Fabrizio Saccomanni) hanno gridato alla “svolta storica” solo per non perdere la faccia di fronte al loro completo fallimento. Ma nulla di quello che avevano proposto è stato accettato. In partenza miravano a realizzare un fondo pubblico europeo in grado di provvedere alle ristrutturazioni bancarie in caso di “crisi sistemiche” e di garantire i correntisti.
Invece – indica Munchau – la verità è che non hanno ottenuto nulla semplicemente perché non sono in grado di coalizzarsi contro i diktat della Germania - la quale non vuole nessun fondo comune che metta a rischio le sue finanze per coprire i problemi altrui -. “I governi (del sud Europa) non hanno fiducia l'uno dell'altro”, dice Munchau: non vogliono coalizzarsi, e quindi il governo CDU-SPD riesce facilmente a imporre la sua ferrea volontà. Il dramma è che non esiste alcun statista europeo in grado di opporre una cooperazione solidale ed efficace di fronte alla visione unilaterale tedesca.
L'unione bancaria è la dimostrazione di come il governo tedesco delle larghe intese vuole l'Unione Europea: una unione centralizzata, diretta dalle elite finanziarie tedesche, a vantaggio esclusivo della Germania e a svantaggio degli altri paesi deboli e debitori del sud Europa. Una unione foriera di crisi senza fine.
Perché il governo italiano dovrebbe rifiutare questa unione bancaria? Perché questa unione non solo non risolve nulla ma potrebbe avere un micidiale effetto boomerang, ovvero amplificare le difficoltà delle banche. Non a caso Draghi ha già avvertito che “con l’esame della BCE le banche deboli dovranno chiudere”.
L'Unione Bancaria disequilibrata
Il progetto di unione bancaria aveva inizialmente tre obiettivi: a) spezzare il legame tra il rischio rappresentato dalle grandi banche sistemiche e quello degli stati dell'eurozona – ovvero non indebolire le banche del sud europee piene di titoli di stato dei loro paesi -: b) proteggere i risparmiatori europei con un fondo comune europeo di garanzia – in modo da evitare la fuga all'estero dei correntisti in caso di una crisi nazionale -; c) garantire l'uniformità delle condizioni del credito in un mercato bancario europeo frammentato, in cui le aziende italiane per esempio pagano tassi d'interesse più alti alle loro banche nazionali rispetto a quanto pagano le aziende tedesche alle banche del loro paese. Non è possibile raggiungere nessuno di questi tre obiettivi con questa unione.
Wolfgang Schäuble ha rifiutato ogni meccanismo di mutualizzazione con copertura di fondi pubblici: quindi il progetto non risolve nulla, anzi peggiora drasticamente la situazione attuale. I ministri europei delle finanze hanno deciso quello che perfino Draghi aveva implorato segretamente la Commissione Europea di non fare – cioè far pagare gli obbligazionisti e i creditori - per non rischiare di fare precipitare le crisi bancarie [2].
Grazie a Schäuble i privati (azionisti, obbligazionisti e correntisti, con oltre 100mila euro di deposito) si faranno carico in prima persona delle difficoltà delle banche in crisi, poi interverranno i fondi nazionali creati grazie a nuove tasse da applicare alle banche stesse, e infine tra dieci anni interverrà anche in ultimissima istanza un esiguo fondo europeo di 55 miliardi sempre di origine bancaria – cioè solo lo 0,2% circa del patrimonio complessivo delle banche europee -, anche se si prevede che le banche dovranno ricapitalizzarsi per circa 100 miliardi.
L'accordo fa acqua da tutte le parti. Appena una banca sarà percepita in difficoltà i correntisti, gli azionisti e i creditori fuggiranno, creando un circolo vizioso di diminuzione del valore e di ulteriore fuga. Il caso Cipro insegna. Si incentiva il meccanismo di panico che condanna le banche dei paesi deboli a vantaggio delle banche dei paesi forti.
In Italia ci sono 2,7 miliardi di bond bancari subordinati in scadenza nel 2014 e 4,6 nel 2015. Gli investitori a rischio reagirebbero al timore di essere colpiti vendendo i bond. Interverrebbero allora gli speculatori e i fondi avvoltoi per “salvare le banche”. Probabilmente nascerebbe una serie infinita di ricorsi in tribunale. Per evitare il fallimento delle banche e la corsa al ritiro dei depositi, gli stati nazionali dovranno intervenire con i soldi dei contribuenti. I paesi deboli si indeboliranno ancora di più e si avvicineranno all'orlo del baratro.
Ma c'è di più. Draghi sta avviando gli stress test (ovvero degli esami preventivi di solvibilità in caso di crisi) su circa 130 banche europee, tra cui 13 italiane - ma sono escluse le casse di risparmio tedesche, che Schäuble non ha voluto comprendere negli stress test - per verificare se sarebbero in grado di sopportare un grave peggioramento della situazione economica. Ma quali saranno i criteri applicati dalla BCE per gli stress test?
I fattori di rischio che potrebbero portare le banche al fallimento sono sostanzialmente tre: 1) la leva finanziaria troppo elevata rispetto al capitale proprio – leva che di solito viene usata dalle banche per speculare sui mercati finanziari ombra, come quello dei derivati e dei titoli tossici; 2) l'acquisto di titoli di debito sovrano di paesi con elevato debito pubblico, come l'Italia; 3) e i crediti in sofferenza e inesigibili. Le banche del nord Europa, in particolare quelle tedesche e francesi hanno una leva spropositata. Hanno un attivo pari a 30-40-50 volte il loro capitale.
Per intenderci: Deutsche Bank e Credit Suisse hanno una leva di circa 50, la francese Credit Agricole del 62, contro una leva di circa 18 di Intesa e Unicredit. La leva – legata a capitali presi a prestito – amplifica enormemente i rischi sistemici e delle singole banche, anche perché serve soprattutto a investire nel trading, cioè su titoli obbligazionari, azionari e derivati ad alto rendimento ma, appunto, molto volatili e ad alto rischio. I ricavi di Deutsche Bank derivano per esempio al 75% circa dal trading, e non da prestiti alle imprese e alle famiglie. In pratica gran parte dei maggiori istituti europei fanno le banche d'affari invece di prestare denaro alle imprese e alle famiglie per lo sviluppo.
Al contrario le banche del sud Europa, Italia compresa, fanno meno attività speculativa, hanno in pancia meno titoli tossici, ma hanno invece il problema di avere investito molto sui titoli pubblici del loro paese e di avere molti crediti in sofferenza, a causa della crisi economica pesante attraversata dai loro paesi. In Italia le banche hanno in pancia circa 450 miliardi di titoli pubblici e hanno sofferenze per circa 150 miliardi.
La domanda è: quanto peseranno i diversi fattori di rischio negli stress test? La BCE considererà più rischioso – come dovrebbe essere! - avere una leva abnorme e molti titoli tossici, o avere invece investito sui titoli pubblici del proprio paese? Se, come sembra possibile, verrà sottovalutato il rischio derivato dalla leva finanziaria, dal trading e dalla speculazione, le banche del nord Europa si salveranno e supereranno l'esame senza troppe difficoltà. Se invece sarà considerato molto rischioso detenere titoli di debito pubblico del proprio paese, allora parecchie banche dei paesi del sud Europa verranno praticamente condannate (insieme ai bilanci pubblici dei loro paesi).
Le banche del sud che non supereranno l'esame della BCE dovranno ricapitalizzarsi, cioè aumentare ulteriormente il loro capitale. Ma troverebbero pochi capitalisti nazionali pronti a mettere il loro denaro in banche in difficoltà. Ecco allora che le banche meno solide del sud Europa potrebbero semplicemente fallire, come ha avvertito Draghi. O potrebbero essere facilmente acquisite a poco prezzo da quelle del nord Europa. Così parte del risparmio nazionale potrebbe finire in mano alle banche estere dei paesi “meno stressati”.
Ecco perché questa unione bancaria non è da fare. Perché non risolve il problema del credito alle imprese e alle famiglie; e perché rischia di premiare le banche maggiori che speculano e di bocciare le banche che investono nell'economia reale. Ma la sinistra raramente si accorge delle minacce che vengono dalla UE. Sull'Unione Bancaria perfino il Manifesto riportava: “Certo a volte è meglio qualcosa invece di niente ed è forse meglio tardi che mai” [3]. Chi si contenta gode. Ma è ora di abbandonare una visione idilliaca della UE e di avere un approccio più realistico sull'egemonia tedesca.
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