DI ALBERTO BAGNAI
goofynomics.blogspot.it
La crisi ha avuto un reale impatto in termini di vite umane, e il dibattito in merito dovrebbe essere noto perché non è particolarmente recente.
Ad esempio, che in Italia i suicidi siano aumentati con la crisi lo attesta uno studio pubblicato nel 2012 sul Journal of Epidemiology and Community Health(rivista ISI, impact 3.39). Il controfattuale prodotto dagli autori valuta in circa 500 fra 2008 e 2010 i suicidi e tentati suicidi in eccesso rispetto alla tendenza naturale. Naturalmente il fenomeno deve essere valutato nel lungo periodo. Da allora sono passati tre anni e sette giorni, nei quali quasi ogni giorno abbiamo assistito a una tragedia. Difficile che il trend si sia orientato al ribasso.
Ci sono anche studi più recenti che attestano la correlazione fra i suicidi per motivi economici e il tasso di disoccupazione. Non mi sembra sorprendente, considerando quanto vediamo sui giornali, ma è importante che ci siano studi quantitativi e metodologicamente seri.
La situazione è comune agli altri paesi europei periferici colpiti dalla crisi. Lo attestava uno studio pubblicato nel 2011 da The Lancet (e qui il pedigree non serve), facendo notare che con la crisi erano sì diminuiti i morti per incidenti stradali (chissà perché!), ma in compenso erano aumentati i suicidi.
Nel 2012 il British Journal of Medicine ha riportato la replica di Kentikelenis (Harvard University) alle critiche che Liaropoulos (Università di Atene) aveva mosso con i suoi coautori a un precedente studio dello stesso Kentikelenis (Harvard University) pubblicato su The Lancet, nel quale Kentikelenis (Harvard University) sosteneva che la crisi stava avendo un impatto sul numero dei suicidi in Grecia. Liaropoulos (Università di Atene) sosteneva il contrario, e sosteneva anche di non essere in conflitto di interessi (a differenza di quanto accade in economia, nelle riviste mediche è essenziale dichiarare se si è in conflitto di interessi). Il dibattito è molto interessante, e il motivo per il quale insisto sulle affiliations non è perché io creda moltissimo nei rankinguniversitari: per dire, ad Harvard insegna Alesina, che nel 1997 era contro l’euro mentre oggi è a favore dell’euro, e a Pescara insegna Bagnai, che nel 1997 insegnava alla Sapienza ed era scettico sui vantaggi dell’euro, mentre oggi... è scettico sui vantaggi dell’euro (come si cambia)! Quello che conta, come sempre, è la qualità degli argomenti.
Ora, a parte il fatto che chi lavora in una struttura della sanità pubblica greca ha un ovvio conflitto di interessi nel difenderne la qualità, semplicemente perché da quello che dice dipende quanti fondi riceve (in una situazione come quella greca è abbastanza chiaro che i conflitti di interesse non dipendono solo dal fatto che magari lavori per una casa farmaceutica: potrebbero anche semplicemente dipendere dal fatto che vuoi continuare a lavorare), è la qualità degli argomenti del Liaropoulos che lascia perplessi. Come nota Kentikelenis, sembra strano che Liaropoulos dica che la sanità pubblica in Grecia non rifiuta cure ai pazienti, mentre al contempo afferma che molte persone sono senza copertura sanitaria e che la chiesa ortodossa sta correndo in soccorso degli ammalati. Ma si sa, la coerenza non è la principale virtù degli euristi, quale che sia il loro campo di ricerca.
Va da sé che poi è saltato fuori che Liaropoulos non era in conflitto di interessi, no, non sia mai! Era solo un consulente della troika. Peraltro, suppongo che anche economisti lo siano. Sarebbe utile avere una lista, per motivi di trasparenza. Ma, ripeto, questo problema le riviste scientifiche in economia non se lo pongono, come non si pongono il problema della replicabilità dei risultati empirici (purtroppo, e con rare eccezioni, tipo il Journal of Applied Econometrics che normalmente pubblica i dataset utilizzati).
Una sintesi più aggiornata di questo dibattito si trova nella bozza del rapporto su Sanità e crisi economica dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità. Con tutte le cautele del caso (considerando che anche i dati epidemiologici, come quelli economici, si “consolidano” dopo qualche tempo, che per pubblicare una ricerca scientifica occorre tempo, che ogni ricerca è soggetta a critiche e revisioni metodologiche, ecc.), il rapporto non nasconde le proprie preoccupazioni. Qualche dato a caso: il rapporto conferma l’inversione di tendenza nei suicidi, che nei paesi in crisi stavano diminuendo prima del 2008 e poi sono tornati ad aumentare; Lettonia, Lituania, Grecia e Spagna hanno visto un’impennata nel tasso della popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale (che non sono esattamente l’anticamera della salute); è stata documentata una relazione fra perdita del lavoro e infarto (in Grecia); sempre in Grecia sono aumentate le infezioni da HIV per la riduzione dei programmi di distribuzione delle siringhe, ma sono anche aumentate del 38% le stillbirth, poetica e pudica espressione inglese (nascite silenziose) che indica i bambini nati morti.
Eh sì, in effetti da morti si sta zitti: è il bicchiere mezzo pieno. Ma in questi casi è difficile evitare che la mente si soffermi sul bicchiere mezzo vuoto.
Se solo i suicidi in eccesso fra 2008 e 2010 nella sola Italia sono circa 500, considerando tutti gli altri paesi e tre anni passati non proprio in modo ameno, anche se alcuni di questi paesi sono di dimensioni demografiche trascurabili (ma la Spagna non lo è), me lo fate dire che la crisi ha preteso un tributo di migliaia di morti (o di non nati)? Posso dirlo? C’è qualche elemento ostativo particolare? Vi sembra una menzogna? Bene: non parlatene con me: parlatene con i referee di The Lancet o del British Journal of Medicine, e soprattutto parlatene con le madri greche dei figli nati morti.
Alberto Bagnai
Fonte: http://goofynomics.blogspot.it
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