A volte, ciò che ci manca è davvero è un minimo di prospettiva. Prendete la questione terrorismo, tanto in voga in questi giorni e sempre in prima pagina sui quotidiani. Mentre ieri pomeriggio tutti gli occhi erano indirizzati verso un vigneto nella provincia profonda di Barcellona, da Mosca facevano sapere che l’intera provincia di Aleppo era stata liberata completamente dall’Isis. Libera.
L’aeronautica militare russa ha compiuto 316 raid negli ultimi cinque giorni, in perfetta contemporaneità con i fatti di Barcellona e il loro – a tratti ridicolo – sviluppo: a vostro modo di vedere non era questo un segnale chiaro?
Come dire, mentre voi recitate le preghierina e colorate con i gessetti, noi lo Stato islamico lo riduciamo al livello di un posacenere con i missili. Da un lato le parole (vuote e spesso complici), dall’altro i fatti.
Mosca chiedeva la legittimità, anche solo implicita del suo ruolo attivo nella lotta al terrorismo globale ma l’Occidente aveva altro da fare, doveva festeggiare l’eliminazione dell’intero commando jihadista entrato in azione in Catalogna. Il perché di tutto questo è chiaro: la Russia resta, se non il nemico, l’alleato cui guardare con occhio sospettoso, la Russia è la patria degli hacker e delle interferenza nella campagna elettorale USA, la Russia è la minaccia che preme sui confini Est dell’Europa, la Russia è la colpevole del golpe in Crimea, la Russia è il Paese delle sanzioni, del ricatto energetico, dei diplomatici espulsi.
C’è un’intera narrativa che ci impedisce, h24 e su reti unificate, di utilizzare la prospettiva necessaria per decodificare la realtà in base a elementi e strutture realmente qualificanti: mentre qui veniva ammazzato un sospetto tra i filari di un vigneto, in Siria un’intera provincia tornava completamente libera dal giogo dell’Isis. E a giorni anche la roccaforte jihadista di Deir ez-Zor potrebbe cadere, sancendo la sconfitta totale di Daesh in Siria. Il primo ha avuto mille telecamere e tutta l’attenzione, la secondo una colonnina fra le brevi estere, la terza verrà oscurata del tutto per non fare un piacere a Putin e Rohani. Eppure, parliamo dello stesso fenomeno, della stessa Isis, dello stesso male: o forse no?
Viene da chiederselo. E con sempre maggiore preoccupazione. Domani, a Sochi, si incontreranno a livello ufficiale Vladimir Putin e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu: incontro cui parteciperà, come si è scoperto stamattina, anche il capo del Mossad, Yossi Cohen: inutile dire quali saranno i temi in agenda. Ci sarà certamente la Siria, visto che Mosca resterà nel Paese a tempo pressoché indeterminato, stante i contratti di concessione per le basi militari e la preoccupazione di Tel Aviv per la crescente influenza iraniana nell’area, fattispecie che ha portato al “no” nei confronti della tregua mediata fra USA e Russia e annunciata al G20 di Amburgo e ad alcune incursioni israeliane sul Golan. Forse non sarà il vertice risolutore ma, state certi, quanto verrà deciso (o non deciso) domani, avrà un’importanza fondamentale per il futuro non solo della Siria ma dell’intero Medio Oriente. E del mondo.
Per questo non se ne parla. E, sovrastata da vigneti catalani e gessetti, anche la svolta di Donald Trump sull’Afghanistan non ha ottenuto l’attenzione che meritava. Non tanto per il numero di soldati in più che verranno inviati (non comunicato ufficialmente) ma per due fattispecie. Anzi, tre. Primo, come da delega in bianco firmata la scorsa primavera, sarà il Pentagono a decidere il numero di truppe da inviare, così come l’operatività sui droni: non servirà l’ultima parola della Casa Bianca. Secondo, Trump ha detto chiaro e tondo che gi americani resteranno in Afghanistan a tempo indeterminato, “fino alla vittoria finale”. Terzo, la missione americana non sarà più l’esportazione di democrazia o la “nation building”, bensì l’eliminazione del pericolo terroristico. Punto. E quest’ultimo punto comporta, formalmente, anche l’incrinatura di un asse di alleanza storico, quello fra Washington e Islamabad. Trump ha infatti attaccato duramente il Pakistan e la sua propensione “a nascondere i nostri nemici”, di fatto scegliendo l’India come interlocutore nell’area, spingendo i pakistani sempre più fra le braccia di cinesi e russi, come area di influenza.
Un cambiamento enorme, soprattutto alla luce del nuovo impegno combat degli USA in Afghanistan: ma qui siamo troppo impegnati a capire se l’iman saltato in aria con le 120 bombole del gas aveva avuto contatti con qualcuno in Belgio, magari se si fosse fatto una canna con Salah Adbelslam prima dell’attacco al Bataclan. Non possono essere credibili quando parlano di lotta al terrorismo, se ignorano i veri fondamentali dell’intera questione. E se, lo scorso giugno, hanno fatto passare sotto silenzio che, dalla sera alla mattina, proprio l’Isis aveva fatto capolino in Afghanistan, conquistando in pochi giorni la storica area di influenza di Osama Bin Laden, Tora Bora e minacciando in questo modo: “E’ solo l’inizio, puntiamo al controllo di tutto il Paese, combattendo contro talebani e forze governative”. Chissà chi avrà offerto supporto logistico per quel fulmineo blitz? Gli USA, in giugno, hanno mandato avanti le avanguardie, già consci di cosa avrebbero annunciato due mesi dopo?
Ma non si tratta di cialtroneria, bensì di strategia. Di comunicazione, in primis. Guardate questa grafica,
ci mostra la concentrazione di potere e controllo mediatico negli USA: se questi signori decidono che il Russiagate deve essere la notizia principale, lo sarà. Che esista o meno una base per esserlo davvero: loro dettano le regole, loro decidono le notizie. Non ci vuole granché, basta un algoritmo: si chiama “Random Content-Free News Generator Application” e garantisce la continua creazione e rotazione di una stringa di news per telegiornali, ad esempio, che abbia criteri e argomenti fissi, cui aggiungere alcune “no-news” per riempire gli spazi e non dare modo di accorgersi all’utente del fatto che stia sentendo sempre le stesse cose, ancorché in ordine differente. Si chiama “Content-free news”, ovvero inserire aria fritta come companatico di un’offerta mediatica e informativa basata su criteri predeterminati e tutti politici: non conoscete la realtà, conoscete UNA realtà. Distorta. E pensate che sia così solo in America, nel regno delle grandi corporations?
Avete più avuto notizie, per caso, di sbarchi di migranti o indagini sulle ONG negli ultimi dieci giorni? Spariti, gli uni e le altre. Di colpo. Chi sa se qualcuno sta ancora approdando nei porti siciliani, chissà se le ONG davvero si sono ritirate dal Mediterraneo, chissà se Haftar ci ha perdonato per il nostro accordo con Tripoli? Nessuno lo sa, sappiamo solo che di sbarchi non si parla più. Quindi, per proprietà transitiva mediatico-pavloviana, il problema è risolto. E la grave crisi politica fra Qatar e Paesi del Golfo, pronti a un boicottaggio mortale, se non si fosse arrivati all’accettazione delle loro condizioni, in primis la chiusura di Al Jazeera? Tutto balle, le quali però hanno riempito menti e tg per oltre dieci giorni, tutti i giorni. L’ultimatum del Consiglio di cooperazione del Golfo è scaduto da oltre un mese e mezzo, ad Abu Dhabi non è mai andata via la luce e tutto continua tranquillamente: è bastato con il Qatar usasse la minaccia del gas e la Turchia mandasse quattro soldati in simbolico supporto, et voilà crisi risolta. I tg, però, ce l’avevano venduta come la pietra miliare degli equilibri nell’area. Un alibi perfetto per oscurare la debacle totale dell’Isis in Siria e la retromarcia USA con i suoi troppi sepolcri imbiancati, al pari di quelli di Israele.
E il morbillo? Passato il decreto vaccini, nemmeno più un caso. Anzi, siamo più precisi: più nessuno caso nei tg, niente più allarme epidemiologico per via mediatica. Magari ci saranno stati decine di casi, magari saremo alle soglie dell’epidemia in qualche regione italiana: ma non lo sappiamo. Se un’emergenza non è notizia, semplicemente non esiste. Proprio come la liberazione di Aleppo, un qualcosa da non festeggiare perché ottenuta da siriani, iraniani, russi ed Hezbollah. Non importa che si tratti, formalmente, dello stesso Isis che avrebbe colpito sulla rambla di Barcellona, non importa sia lo stesso cancro che a detta di opinionisti e analisti va estirpato con ogni mezzo, sia esso i dissuasori per strada o la creazione di una FBI europea, come ha proposto il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani. Quello che ha colpito in Spagna è il male vero, perché lo dicono i tg. L’altro è un effetto collaterale, una distorsione ottica di quella brutta cosa chiamata realtà. Sempre peggio, sempre più Matrix.
Mosca chiedeva la legittimità, anche solo implicita del suo ruolo attivo nella lotta al terrorismo globale ma l’Occidente aveva altro da fare, doveva festeggiare l’eliminazione dell’intero commando jihadista entrato in azione in Catalogna. Il perché di tutto questo è chiaro: la Russia resta, se non il nemico, l’alleato cui guardare con occhio sospettoso, la Russia è la patria degli hacker e delle interferenza nella campagna elettorale USA, la Russia è la minaccia che preme sui confini Est dell’Europa, la Russia è la colpevole del golpe in Crimea, la Russia è il Paese delle sanzioni, del ricatto energetico, dei diplomatici espulsi.
C’è un’intera narrativa che ci impedisce, h24 e su reti unificate, di utilizzare la prospettiva necessaria per decodificare la realtà in base a elementi e strutture realmente qualificanti: mentre qui veniva ammazzato un sospetto tra i filari di un vigneto, in Siria un’intera provincia tornava completamente libera dal giogo dell’Isis. E a giorni anche la roccaforte jihadista di Deir ez-Zor potrebbe cadere, sancendo la sconfitta totale di Daesh in Siria. Il primo ha avuto mille telecamere e tutta l’attenzione, la secondo una colonnina fra le brevi estere, la terza verrà oscurata del tutto per non fare un piacere a Putin e Rohani. Eppure, parliamo dello stesso fenomeno, della stessa Isis, dello stesso male: o forse no?
Viene da chiederselo. E con sempre maggiore preoccupazione. Domani, a Sochi, si incontreranno a livello ufficiale Vladimir Putin e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu: incontro cui parteciperà, come si è scoperto stamattina, anche il capo del Mossad, Yossi Cohen: inutile dire quali saranno i temi in agenda. Ci sarà certamente la Siria, visto che Mosca resterà nel Paese a tempo pressoché indeterminato, stante i contratti di concessione per le basi militari e la preoccupazione di Tel Aviv per la crescente influenza iraniana nell’area, fattispecie che ha portato al “no” nei confronti della tregua mediata fra USA e Russia e annunciata al G20 di Amburgo e ad alcune incursioni israeliane sul Golan. Forse non sarà il vertice risolutore ma, state certi, quanto verrà deciso (o non deciso) domani, avrà un’importanza fondamentale per il futuro non solo della Siria ma dell’intero Medio Oriente. E del mondo.
Per questo non se ne parla. E, sovrastata da vigneti catalani e gessetti, anche la svolta di Donald Trump sull’Afghanistan non ha ottenuto l’attenzione che meritava. Non tanto per il numero di soldati in più che verranno inviati (non comunicato ufficialmente) ma per due fattispecie. Anzi, tre. Primo, come da delega in bianco firmata la scorsa primavera, sarà il Pentagono a decidere il numero di truppe da inviare, così come l’operatività sui droni: non servirà l’ultima parola della Casa Bianca. Secondo, Trump ha detto chiaro e tondo che gi americani resteranno in Afghanistan a tempo indeterminato, “fino alla vittoria finale”. Terzo, la missione americana non sarà più l’esportazione di democrazia o la “nation building”, bensì l’eliminazione del pericolo terroristico. Punto. E quest’ultimo punto comporta, formalmente, anche l’incrinatura di un asse di alleanza storico, quello fra Washington e Islamabad. Trump ha infatti attaccato duramente il Pakistan e la sua propensione “a nascondere i nostri nemici”, di fatto scegliendo l’India come interlocutore nell’area, spingendo i pakistani sempre più fra le braccia di cinesi e russi, come area di influenza.
Un cambiamento enorme, soprattutto alla luce del nuovo impegno combat degli USA in Afghanistan: ma qui siamo troppo impegnati a capire se l’iman saltato in aria con le 120 bombole del gas aveva avuto contatti con qualcuno in Belgio, magari se si fosse fatto una canna con Salah Adbelslam prima dell’attacco al Bataclan. Non possono essere credibili quando parlano di lotta al terrorismo, se ignorano i veri fondamentali dell’intera questione. E se, lo scorso giugno, hanno fatto passare sotto silenzio che, dalla sera alla mattina, proprio l’Isis aveva fatto capolino in Afghanistan, conquistando in pochi giorni la storica area di influenza di Osama Bin Laden, Tora Bora e minacciando in questo modo: “E’ solo l’inizio, puntiamo al controllo di tutto il Paese, combattendo contro talebani e forze governative”. Chissà chi avrà offerto supporto logistico per quel fulmineo blitz? Gli USA, in giugno, hanno mandato avanti le avanguardie, già consci di cosa avrebbero annunciato due mesi dopo?
Ma non si tratta di cialtroneria, bensì di strategia. Di comunicazione, in primis. Guardate questa grafica,
ci mostra la concentrazione di potere e controllo mediatico negli USA: se questi signori decidono che il Russiagate deve essere la notizia principale, lo sarà. Che esista o meno una base per esserlo davvero: loro dettano le regole, loro decidono le notizie. Non ci vuole granché, basta un algoritmo: si chiama “Random Content-Free News Generator Application” e garantisce la continua creazione e rotazione di una stringa di news per telegiornali, ad esempio, che abbia criteri e argomenti fissi, cui aggiungere alcune “no-news” per riempire gli spazi e non dare modo di accorgersi all’utente del fatto che stia sentendo sempre le stesse cose, ancorché in ordine differente. Si chiama “Content-free news”, ovvero inserire aria fritta come companatico di un’offerta mediatica e informativa basata su criteri predeterminati e tutti politici: non conoscete la realtà, conoscete UNA realtà. Distorta. E pensate che sia così solo in America, nel regno delle grandi corporations?
Avete più avuto notizie, per caso, di sbarchi di migranti o indagini sulle ONG negli ultimi dieci giorni? Spariti, gli uni e le altre. Di colpo. Chi sa se qualcuno sta ancora approdando nei porti siciliani, chissà se le ONG davvero si sono ritirate dal Mediterraneo, chissà se Haftar ci ha perdonato per il nostro accordo con Tripoli? Nessuno lo sa, sappiamo solo che di sbarchi non si parla più. Quindi, per proprietà transitiva mediatico-pavloviana, il problema è risolto. E la grave crisi politica fra Qatar e Paesi del Golfo, pronti a un boicottaggio mortale, se non si fosse arrivati all’accettazione delle loro condizioni, in primis la chiusura di Al Jazeera? Tutto balle, le quali però hanno riempito menti e tg per oltre dieci giorni, tutti i giorni. L’ultimatum del Consiglio di cooperazione del Golfo è scaduto da oltre un mese e mezzo, ad Abu Dhabi non è mai andata via la luce e tutto continua tranquillamente: è bastato con il Qatar usasse la minaccia del gas e la Turchia mandasse quattro soldati in simbolico supporto, et voilà crisi risolta. I tg, però, ce l’avevano venduta come la pietra miliare degli equilibri nell’area. Un alibi perfetto per oscurare la debacle totale dell’Isis in Siria e la retromarcia USA con i suoi troppi sepolcri imbiancati, al pari di quelli di Israele.
E il morbillo? Passato il decreto vaccini, nemmeno più un caso. Anzi, siamo più precisi: più nessuno caso nei tg, niente più allarme epidemiologico per via mediatica. Magari ci saranno stati decine di casi, magari saremo alle soglie dell’epidemia in qualche regione italiana: ma non lo sappiamo. Se un’emergenza non è notizia, semplicemente non esiste. Proprio come la liberazione di Aleppo, un qualcosa da non festeggiare perché ottenuta da siriani, iraniani, russi ed Hezbollah. Non importa che si tratti, formalmente, dello stesso Isis che avrebbe colpito sulla rambla di Barcellona, non importa sia lo stesso cancro che a detta di opinionisti e analisti va estirpato con ogni mezzo, sia esso i dissuasori per strada o la creazione di una FBI europea, come ha proposto il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani. Quello che ha colpito in Spagna è il male vero, perché lo dicono i tg. L’altro è un effetto collaterale, una distorsione ottica di quella brutta cosa chiamata realtà. Sempre peggio, sempre più Matrix.
fonte: Rischio Calcolato
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