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martedì 8 agosto 2017

Permesso di soggiorno speciale per i non rifugiati, per consentire la loro assunzione

di Ilaria Bifarini


Sarebbe bello per chi si occupa di economia poter parlare di come superare l’attuale modello economico tanto fallimentare quanto tenuto artificiosamente e ostinatamente in vita. Sarebbe bello e soprattutto utile concentrarsi sui modelli di sviluppo alternativi, ma purtroppo la situazione di emergenza che stiamo vivendo impone al nostro senso civico e morale di non abbassare la soglia di attenzione sulla questione dei migranti.



Già perché non c’è “solo” il vaso di Pandora delle ONG che è stato scoperchiato, con tanto di business collaterale di gommoni cinesi venduti on line come “refugee boat”, lo ius soli sempre in agguato pronto per essere approvato.
No, mentre tutti siamo basiti dalle prove delle organizzazioni pseudo umanitarie che trattano amichevolmente con gli scafisti , come se fossero dei colleghi, da Torino arriva, piuttosto in sordina, una notizia choc: il rilascio dei permessi di soggiorno speciale per i migranti che lavorano con il riconoscimento dei “percorsi di integrazione sociale attraverso gli inserimenti lavorativi”. Si tratta di protezione umanitaria della durata di due anni a migranti che non rispondono ai requisiti per ottenere il diritto allo status di rifugiato. E’ la prima volta in Italia. Un precedente pericoloso e esplosivo, che apre la strada a quello che da tempo si temeva: la legalizzazione di un esercito industriale di riserva pronto per essere sfruttato. L’iniziativa è partita da cento aziende torinesi che hanno scritto una lettera al prefetto, al sindaco e al governatore: “Metteteci nelle condizioni di assumere i migranti”.

Dietro l’iter che in pochi mesi ha portato le richieste da parte dei datori di lavoro a essere accettate e ad aprire la strada a un nuovo percorso giurisprudenziale c’è, come di consueto, il lavoro di mediazione di un’organizzazione no profit, Senzastrada, che si batte per dare lavoro ai clandestini. Cosa avrà spinto le aziende e gli operatori commerciali torinesi a offrire lavoro a degli immigrati che non fuggono da guerre e condizioni tali da giustificare lo status di rifugiato, preferendoli al 40% di giovani disoccupati italiani? Una nuova forma di razzismo al contrario -per cui italiano è brutto mentre nero è sinonimo di progressismo e filantropia- o condizioni di lavoro ai limiti del disumano che solo chi non ha mai conosciuto lo stato di diritto del lavoratore può accettare?

Forse entrambe le motivazioni, di certo ora esiste il precedente giuridico per realizzare quell’esercito di lavoratori/schiavi, sottopagati e senza diritti, che dalla caduta del keynesismo rappresenta l’obiettivo ultimo degli economisti neoliberisti. Si importano masse di giovani aitanti e disposti a tutto, si concede un permesso di soggiorno di due anni, vengono sfruttati senza diritti e con paghe da Terzo Mondo e, una volta esaurito il loro compito, vengono rimpiazzati con flussi migratori sempre vigorosi, che intanto generano profitti e speculazioni su cui si arricchisce il nuovo floridissimo mercato nero. Per i disoccupati italiani non c’è speranza, la legge della concorrenza applicata alla merce umana non fa sconti e per i prodotti fuori mercato non resta che la sostituzione.


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