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sabato 26 agosto 2017

Il folle suicidio demografico dell’Europa

di  ROSANNA SPADINI

La «civiltà fantasma» sarà la prossima civiltà globalizzata, in Giappone per esempio le scuole elementari chiudono per decisione dello Stato, dato che il numero dei bambini è sceso a meno del 10% della popolazione. Il governo sta convertendo queste strutture in ospizi, fornendo assistenza agli anziani in un paese dove il 40% della popolazione è di età superiore ai 65 anni.
Non è un romanzo di fantascienza, è il Giappone, la nazione più vecchia e più sterile del mondo, dove l’espressione «civiltà fantasma» è diventata ormai un riferimento popolare.




Secondo l’Istituto nazionale per la popolazione e la sicurezza sociale del Giappone, entro il 2040 la maggior parte delle città più piccole del paese vedrà un drammatico calo da un terzo alla metà della loro popolazione.

A causa di una drastica diminuzione demografica, molti consigli dei villaggi giapponesi non possono più operare e sono stati chiusi. I ristoranti sono diminuiti da 850 mila nel 1990 a 350 mila oggi.

Le previsioni suggeriscono che in 15 anni il Giappone avrà 20 milioni di case vuote. È forse anche questo il futuro dell’Europa?

Probabile, perché tra gli esperti di demografia c’è una tendenza a definire l’Europa il nuovo Giappone. Il Giappone da parte sua sta affrontando questa catastrofe demografica con le proprie risorse e vietando l’immigrazione musulmana nel paese.



Quindi anche l’Europa sta subendo una sorta di suicidio demografico, che lo storico britannico Niail Ferguson ha definito “la più grande riduzione sostenuta della popolazione europea dopo la peste nera del XIV secolo”, come ha di recente osservato.

Un segnale sintomatico del nuovo trend socioculturale, per esempio, sta nel fatto che gli esponenti europei del grande esclusivo club globale, il G7, sono privi di figli: Angela Merkel, Theresa May, Paolo Gentiloni e Emmanuel Macron, cui aggiungiamo il primo ministro olandese Mark Rutte e il primo ministro gay del Lussemburgo, Xavier Bettel.

I musulmani europei sembrano sognare di colmare questo vuoto, e l’arcivescovo di Strasburgo Luc Ravel, nominato da Papa Francesco lo scorso febbraio, ha di recente dichiarato che i fedeli musulmani sono ben consapevoli del fatto che la loro fertilità è tale che oggi lo chiamano… «Grand Remplacement». Essi dicono in maniera molto pacata: «Un giorno tutto questo sarà nostro …»

Quanto all’Italia il Centro Machiavelli rileva che se l’attuale tendenza dovesse continuare, entro il 2065, la quota di immigrati di prima e seconda generazione supererà i 22 milioni di persone, ossia sarà più del 40% della popolazione totale.


Il tasso di fertilità dell’Italia è inferiore della metà di quello che era nel 1964, ha spiegato il Centro Machiavelli nel suo studio firmato da Daniele Scalea e intitolato «Come l’immigrazione sta cambiando demografia italiana».

L’Europa e l’Italia in particolare stanno affrontando un periodo di flussi migratori in entrata senza precedenti. Ciò dipende in primis dalla concomitanza tra declino demografico europeo (dal 22% della popolazione mondiale nel 1950 al 7% nel 2050) ed esplosione demografica africana (dal 9% al 25% della popolazione mondiale in cento anni). Il tasso di natalità è sceso da 2,7 bambini per donna a appena 1,5 bambini per donna, un tasso ben al di sotto del minimo consentito per una rigenerazione sana della popolazione.

Inoltre, si assiste a una maggiore omogeneità dell’immigrazione: le prime dieci nazionalità rappresentano oggi il 64% degli immigrati totali, mentre negli anni ‘70 erano appena il 13%. Tutto ciò non si discosta da quanto sta accadendo in diversi Paesi dell’Europa Occidentale. Intorno al 2065 in Gran Bretagna l’etnia britannica dovrebbe perdere la maggioranza assoluta nel proprio Paese. Oggi in Germania i minori di 5 anni sono al 36% figli di immigrati, lasciando presagire un grande mutamento nella composizione etnica della prossima generazione.

A partire dal primo di quest’anno poi, l’Italia ha registrato oltre cinque milioni di stranieri che vivono come residenti, una crescita del 25% rispetto al 2012 e un enorme 270% rispetto al 2002. All’epoca gli stranieri costituivano solo il 2,38% della popolazione Quindici anni dopo la percentuale è quasi triplicata fino all’8,33% della popolazione.


Inoltre la natalità degli immigrati è notevolmente superiore a quella degli italiani nativi, non è quindi sorprendente che le regioni italiane con i tassi di fertilità più alti non siano più nel sud, come è sempre accaduto, ma nel nord italiano e nella regione del Lazio, dove c’è una concentrazione maggiore di immigrati.

In confronto, solo nel 2001 la percentuale degli stranieri che vivevano in Italia aveva attraversato la soglia dell’1%, che rivela la velocità e l’entità delle trasformazioni demografiche che si stanno verificando in Italia, un fenomeno «senza precedenti».

Un’ulteriore preoccupazione avanzata dalla relazione è l’elevata concentrazione delle popolazioni immigrate da pochi paesi d’origine, che spesso produce fenomeni di ghettizzazione.

Lo scorso anno, in 13 dei 28 paesi membri dell’Unione Europea, il saldo tra nascite e decessi è stato negativo: senza i flussi migratori le popolazioni di Germania e Italia dovrebbero diminuire rispettivamente del 18% e del 16%.

L’impatto della situazione demografica in caduta libera è più visibile nei paesi dell’ex blocco sovietico, come Polonia, Ungheria e Slovacchia, per distinguerli da quelli della cosiddetta «vecchia Europa», come Francia e Germania. Questi paesi dell’Est sono ora quelli più esposti al fenomeno dello spopolamento, il devastante crollo del tasso di natalità che il giornalista e scrittore Mark Steym ha definito come “il principale problema del nostro tempo“.

«Alla fine del secolo l’Europa potrebbe ritrovarsi come colpita da una bomba al neutrone: gli edifici in piedi, ma senza bambini». “America Alone” è un pamphlet sul crollo demografico, islamismo, sindrome di Stoccolma, solitudine americana e disastri del multiculturalismo. «Se gli occidentali vogliono godere delle benedizioni della vita in una società libera devono capire che la vita che abbiamo vissuto dal 1945 è stato un momento rarissimo nella storia dell’umanità. La distanza fra l’America e le altre nazioni del mondo occidentale sta crescendo velocemente, soprattutto con l’Europa. In molti “stati blu” e nei college della Ivy League incontri simpaticoni vestiti da ragazzini che possono passare per europei. Ma l’America è l’ultima nazione a sostenere un tasso di crescita riproduttivo, l’ultima grande società religiosa in occidente, l’ultima a mantenere un esercito in grado di difenderla in qualunque parte del mondo e l’ultima a conservare una tradizione attiva di libertà individuale, incluso il diritto di portare armi. La Jesusland ha più legioni di Eutopia”.

La demografia è una falce che picchietta sull’immaginifico muscolo di Steyn. Per una popolazione stabile serve un tasso di crescita del 2.1, è il tasso dell’America, contro l’1.38 dell’Europa, il 1.32 del Giappone e il 1.14 del Canada. Non c’è precedente nella storia per questa crescita economica e crollo del capitale umano. Per la prima volta nel 2005 in Giappone ci sono state più morti che nascite.

E’ un paese di geriatri, senza immigrazione, né minoranze e senza desiderio di niente: solo invecchiare e affievolirsi. In «Children of men» di P.D. James ci sono speciali giocattoli per le donne che hanno un affetto materno frustrato, mentre l’uomo è fisicamente impotente. Nel 2005 la Tomy ha iniziato a mettere sul mercato un giocattolo chiamato Yumel che può pronunciare fino a 1.200 frasi. Dalla Seconda guerra mondiale non è morto un solo soldato giapponese. Suona carino. Gridano le loro parole dentro un microfono del karaoke e cantano tutti insieme «give peace a chance».


Per Steyn anche l’Europa alla fine del secolo sarà come un continente dopo lo scoppio di una bomba al neutrone: «Ci saranno ancora edifici in piedi, ma la popolazione sarà scomparsa. Il tedesco sarà parlato giusto da Hitler, Himmler e Göring durante la seratina di poker all’inferno. Una parte del pianeta sta optando per il suicidio di fronte al surriscaldamento. L’Europa sarà semi-islamica nel carattere politico e culturale entro due generazioni, forse una. Nel XV secolo la Morte Nera fece fuori un terzo della popolazione. Nel XXI scomparirà per scelta. Stiamo assistendo alla lenta estinzione della civiltà in cui viviamo».

Il New York Times poi si è chiesto perché «nonostante la popolazione diminuisca, i paesi dell’Europa orientale non vogliono accettare i migranti». Inoltre, gran parte dell’Europa orientale ha già vissuto l’esperienza dell’occupazione musulmana per centinaia di anni sotto l’Impero ottomano e questi paesi sono tutti consapevoli che ciò potrebbe accadere di nuovo.

Anche l’Africa sta esercitando pressioni sull’Europa come una bomba demografica a tempo. Dice il parlamentare olandese Geert Wilders:

“Nei prossimi trent’anni, l’Africa avrà un miliardo di persone in più. Questa cifra è il doppio della popolazione dell’intera Unione europea. (…) La pressione demografica sarà enorme. Un terzo degli africani vuole spostarsi all’estero e molti vogliono venire in Europa.

Lo scorso anno più di 180 mila persone sono partite dalla Libia a bordo di imbarcazioni fatiscenti. E questo è solo l’inizio.
Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) solo al 2,65% (4.808) dei migranti arrivati ​​in Italia è stato riconosciuto il diritto di asilo, mentre 90.334 migranti non hanno chiesto l’asilo ma sono scomparsi nell’economia del mercato nero.

Secondo l’eurocommissario Avramopoulos, in questo periodo tre milioni di africani pianificano di entrare in Europa».

Michael Moller, direttore dell’ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, avverte che il processo di migrazione «sta accelerando». I giovani hanno tutti i cellulari e possono vedere sul web che cosa sta succedendo in altre parti del mondo. Infatti, possono vedere sui loro telefoni che, mentre meno del 3% degli immigrati dello scorso anno erano legittimi richiedenti asilo, quasi nessuno viene rispedito indietro, invece, sono accolti con generosi benefici sociali, alloggi sovvenzionati e sistemi sanitari pubblici.

Anche l’Europa orientale si sta assottigliando sempre più e anche la demografia è diventata un problema per la sicurezza. Diminuisce il numero delle persone che prestano servizio nell’esercito e operano nell’assistenza sociale. Un tempo, i paesi dell’Europa orientale temevano i carri armati sovietici, ora temono le culle vuote.

Le Nazioni Unite hanno stimato che lo scorso anno nell’Europa orientale c’erano circa 292 milioni di persone, diciotto milioni in meno rispetto agli inizi degli anni Novanta. Questa cifra equivale alla scomparsa dell’intera popolazione dei Paesi Bassi.

Il Financial Times ha definito la situazione nell’Europa orientale come «la perdita più importante di popolazione della storia moderna». La sua popolazione sta diminuendo come mai prima d’ora. Neppure la Seconda guerra mondiale, con i suoi massacri, le deportazioni e i suoi movimenti di popolazioni, era giunta a tanto.

Entro il 2050, la Romania perderà il 22 per cento della sua popolazione, seguita dalla Moldavia (20 per cento), dalla Lettonia (19 per cento), dalla Lituania (17 per cento), dalla Croazia (16 per cento) e dall’Ungheria (16 per cento). Romania, Bulgaria e Ucraina sono i paesi in cui il calo demografico sarà più drastico. Si stima che nel 2050 la popolazione della Polonia conterà 32 milioni di abitanti rispetto ai 38 milioni attuali. Circa duecento scuole sono state chiuse, ma ci sono abbastanza bambini per riempire quelle rimanenti.

In Europa centrale, la proporzione della popolazione «over 65» è aumentata di un terzo tra il 1990 e il 2010. La popolazione ungherese ha toccato il punto più basso degli ultimi cinquant’anni. Il numero degli abitanti è sceso da 10.709.000 del 1980 agli attuali 9.986.000. Nel 2050, in Ungheria, ci saranno 8 milioni di abitanti e uno su tre avrà più di 65 anni. L’Ungheria oggi ha un tasso di fecondità di 1,5 figli per donna. Se si esclude la popolazione rom, questa cifra scende a 0,8, la più bassa del mondo, il motivo per il quale il premier Orbán ha annunciato nuove misure per risolvere la crisi demografica.

In Bulgaria, tra il 2015 e il 2050, si registrerà il più veloce calo demografico del mondo. Essa fa parte di un gruppo di paesi le cui popolazioni tra il 2015 e il 2050 dovrebbero diminuire di oltre il 15 per cento, insieme alla Bosnia Erzegovina, alla Croazia, all’Ungheria, al Giappone, alla Lettonia, alla Lituania, alla Moldavia, alla Romania, alla Serbia e all’Ucraina. Si stima che la popolazione bulgara, che ammonta a circa 7,15 milioni di abitanti, scenderà a 5,15 milioni entro 30 anni – un calo del 27,9 per cento.

Secondo dati ufficiali, in Romania sono nati 178.000 bambini. A titolo di confronto, nel 1990, il primo anno dopo la caduta del regime comunista, ci furono 315.000 nascite. Lo scorso anno in Croazia si sono registrate 32.000 nascite, un calo del 20 per cento rispetto al 2015. Lo spopolamento della Croazia potrebbe portare alla perdita di 50.000 abitanti l’anno.

Quando la Repubblica ceca faceva parte del blocco comunista (come Cecoslovacchia), il suo tasso di fecondità era opportunamente prossimo al tasso di sostituzione (2,1). Oggi, è il quinto paese più sterile del mondo. La Slovenia ha il prodotto interno lordo (Pil) pro capite più alto dell’Europa orientale, ma un tasso di fecondità molto basso.

Alla fine l’immigrazione di massa probabilmente riempirà le culle vuote, ma poi anche l’Europa diventerà una «civiltà fantasma». È solo questione di tempo e uno strano tipo di suicidio programmato.

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