di AMDuemila
Preoccupa, al pm Nino Di Matteo, “la previsione dell’abolizione di quelle preclusioni introdotte con una legge del 1991, l’art. 4 bis, fortemente voluta da Giovanni Falcone”. Quell’articolo, definito a suo tempo il “cancello delle gabbie delle belve”, ha continuato il magistrato in un’intervista del Fatto Quotidiano, impedisce “la concessione di benefici penitenziari a esclusione della liberazione anticipata, ai detenuti di mafia a meno che non abbiano iniziato a collaborare con la giustizia”. Oggi, invece, si profila il rischio di uno “smantellamento di quella legislazione antimafia che si rivelò all’inizio degli anni ‘90 finalmente efficace”. E lo sa bene Di Matteo, una carriera tutta dedicata alle inchieste di mafia, che oggi celebra il processo sulla trattativa avviata a cavallo delle stragi ’92 e ’93.
Nel ddl in questione si rivedrebbero “modalità e presupposti d’accesso alle misure alternative” parlando anche dei limiti di pena, (salvo casi estremamente gravi) eliminando “automatismi e preclusioni” e favorendo così “l’individualizzazione del trattamento rieducativo”. Già il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, aveva espresso parere contrario alla modifica.
“Mi auguro – ha ribadito Di Matteo – che la nostra classe politica si muova nelle sue decisioni tenendo conto che, nonostante molti non lo vogliano far credere, la questione mafiosa è più che mai attuale e costituisce il pericolo più grave per la tenuta della nostra democrazia”. Anche perché, ha proseguito il pm “ai mafiosi non fa paura il carcere ma una detenzione che sia tale da impedire la loro speranza di poter continuare a comandare” cosa che fin’ora è stato possibile anche con l’articolo 4 bis, che rimane ad ogni modo “un’ossessione nelle menti più raffinate dell'organizzazione mafiosa”. Con il rischio di un’eventuale modifica, invece, “anche l’ergastolo finirebbe per essere svuotato del contenuto di irrevocabilità per diventare una finta pena perpetua”.
Una preoccupazione condivisa anche da Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili, che ha sottolineato il fatto che “i mafiosi che hanno messo a segno le stragi del 1993 che non si sono pentiti, che non hanno collaborato , oggi in carcere con condanne all’ergastolo ostativo a regime di 41 bis, stanno forse per essere messi nelle condizioni di usufruire di tutti quei benefici che gli consentiranno di aggirare la pena del carcere a vita”. “Mi sembra paradossale, offensivo e beffardo per i parenti delle vittime – ha osservato Di Matteo – che si trascuri un dato processualmente accertato: la campagna stragista del 1993 era finalizzata a costringere lo Stato ad abbandonare nei confronti dei mafiosi un sistema di detenzione più rigido, e perciò efficace, di quello dei detenuti comuni”
fonte: http://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/56805-di-matteo-modificare-art-4-bis-e-l-ossessione-di-cosa-nostra.html
Preoccupa, al pm Nino Di Matteo, “la previsione dell’abolizione di quelle preclusioni introdotte con una legge del 1991, l’art. 4 bis, fortemente voluta da Giovanni Falcone”. Quell’articolo, definito a suo tempo il “cancello delle gabbie delle belve”, ha continuato il magistrato in un’intervista del Fatto Quotidiano, impedisce “la concessione di benefici penitenziari a esclusione della liberazione anticipata, ai detenuti di mafia a meno che non abbiano iniziato a collaborare con la giustizia”. Oggi, invece, si profila il rischio di uno “smantellamento di quella legislazione antimafia che si rivelò all’inizio degli anni ‘90 finalmente efficace”. E lo sa bene Di Matteo, una carriera tutta dedicata alle inchieste di mafia, che oggi celebra il processo sulla trattativa avviata a cavallo delle stragi ’92 e ’93.
Nel ddl in questione si rivedrebbero “modalità e presupposti d’accesso alle misure alternative” parlando anche dei limiti di pena, (salvo casi estremamente gravi) eliminando “automatismi e preclusioni” e favorendo così “l’individualizzazione del trattamento rieducativo”. Già il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, aveva espresso parere contrario alla modifica.
“Mi auguro – ha ribadito Di Matteo – che la nostra classe politica si muova nelle sue decisioni tenendo conto che, nonostante molti non lo vogliano far credere, la questione mafiosa è più che mai attuale e costituisce il pericolo più grave per la tenuta della nostra democrazia”. Anche perché, ha proseguito il pm “ai mafiosi non fa paura il carcere ma una detenzione che sia tale da impedire la loro speranza di poter continuare a comandare” cosa che fin’ora è stato possibile anche con l’articolo 4 bis, che rimane ad ogni modo “un’ossessione nelle menti più raffinate dell'organizzazione mafiosa”. Con il rischio di un’eventuale modifica, invece, “anche l’ergastolo finirebbe per essere svuotato del contenuto di irrevocabilità per diventare una finta pena perpetua”.
Una preoccupazione condivisa anche da Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili, che ha sottolineato il fatto che “i mafiosi che hanno messo a segno le stragi del 1993 che non si sono pentiti, che non hanno collaborato , oggi in carcere con condanne all’ergastolo ostativo a regime di 41 bis, stanno forse per essere messi nelle condizioni di usufruire di tutti quei benefici che gli consentiranno di aggirare la pena del carcere a vita”. “Mi sembra paradossale, offensivo e beffardo per i parenti delle vittime – ha osservato Di Matteo – che si trascuri un dato processualmente accertato: la campagna stragista del 1993 era finalizzata a costringere lo Stato ad abbandonare nei confronti dei mafiosi un sistema di detenzione più rigido, e perciò efficace, di quello dei detenuti comuni”
fonte: http://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/56805-di-matteo-modificare-art-4-bis-e-l-ossessione-di-cosa-nostra.html
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