Il presidente di confindustria Squinzi va all’incasso. Forte dell’approvazione del Jobs Act che ha sancito il nuovo regime della piena ricattabilità del lavoro dal palco dell’assemblea privata degli industriali di confindustria chiede la cancellazione formale del contratto nazionale di lavoro. In sostanza rivendica la fine di un livello contrattuale per lasciare libertà all’impresa di decidere se applicare il contratto nazionale, ovviamente sterilizzato e ridotto a cornice vuota, oppure costruirsi un contratto su misura della singola azienda in cui orari, salari, turni, tutto risulti piegato agli obbiettivi ed alle compatibilità aziendali. Il caro vecchio sogno del padronato nostrano è a un passo dall’essere raggiunto e non solo perché Cisl e Uil non hanno nemmeno atteso che Squinzi terminasse una sola frase per alzarsi in una ridicola e vergognosa standing ovation. Le arroganti pretese di Squinzi appaiono il coronamento di una lunga serie di manomissioni del contratto nazionale e del salario.
Nel 2010 Marchionne impose la rottura del contratto nazionale usando Fiat come grimaldello, peraltro il contratto nazionale era già stato largamente svalorizzato grazie agli accordi Cgil Cisl Uil del luglio ’93 che avevano accettato la cancellazione dell’autonomia rivendicativa del sindacato e la subordinazione delle richieste salariali all’inflazione programmata. Marchionne fece scuola, e con il pretesto di arginare il suo modello lo si estese a tutto il mondo del lavoro con l’accordo del 28 giugno del 2011. Cgil Cisl Uil firmarono, per la prima volta a livello confederale, la possibilità di derogare in peggio al contratto nazionale a livello aziendale. Quella fu la resa della Cgil rispetto alla difesa del contratto nazionale. I successivi accordi, 31 maggio 2013 e 10 gennaio 2014 non sono altro che passaggi di sistematizzazione e consolidamento di un modello contrattuale che serve solo ed esclusivamente a praticare la riduzione dei salari e dei diritti dei lavoratori, l’austerità in salsa contrattuale. Se un contratto nazionale può non essere applicato, in tutto o anche solo in parte, vengono meno ruolo e funzioni di quello che è stato lo strumento più importante dell’unità di classe dei lavoratori. La cancellazione formale è solo il passaggio successivo e conseguente. Senza la copertura del contratto nazionale il mondo del lavoro diventerebbe ancora più frantumato e diviso di quanto già lo sia oggi. Si produrrebbe una diversificazione infinita di salari, orari, turni, diritti con il risultato di trascinare al ribasso tutta la condizione del lavoro nel nostro paese. Squinzi e tutto il palazzo sindacale stanno lavorando da mesi ad una ipotesi di moratoria di tutti i rinnovi contrattuali prossimi. Per creare il clima adatto ad una nuova e più drammatica resa sindacale il padronato chimico ha chiesto la restituzione ai lavoratori di 79 euro del loro salario e si vocifera che quelli metalmeccanici si apprestano a chiederne 76 indietro. Il pretesto è la deflazione. Padroni estorsori quindi, pronti ad un ricatto senza precedenti nei confronti di sindacati bisognosi di legittimazione e soprattutto di risorse che non arrivano più dagli iscritti. Senza la sottoscrizione di contratti nazionali che portano scandalosamente cifre enormi nelle casse dei sindacati firmatari sotto forma di quote di servizio, buona parte delle categorie di Cgil Cisl Uil andrebbe rapidamente alla bancarotta. La salvezza delle strutture in cambio del passaggio alla barbarie contrattuale secondo il modello anglosassone, questa è la partita che rischia di accadere. Un sindacato che volesse resistere a questo modello e che avesse davvero al centro della sua iniziativa la condizione del lavoro ha quindi materiale a sufficienza per indignarsi ed organizzare una linea di difesa del contratto nazionale. La Cgil si gioca l’ultima possibilità di smentire la sua progressiva adesione al modello della barbarie disdettando formalmente il Testo Unico del 10 gennaio 2014 che legittima le aspirazioni di Squinzi. Ogni sindacalista, ogni dirigente e militante lo sa. Dietro la pomposa retorica padronale e dei servi sciocchi sindacali su competitività e produttività si cela un nuovo e durissimo attacco alla condizione di milioni di uomini e di donne che lavorano, di intere generazioni che aspirano ad una vita dignitosa. Padroni estorsori che vanno fermati.
Nel 2010 Marchionne impose la rottura del contratto nazionale usando Fiat come grimaldello, peraltro il contratto nazionale era già stato largamente svalorizzato grazie agli accordi Cgil Cisl Uil del luglio ’93 che avevano accettato la cancellazione dell’autonomia rivendicativa del sindacato e la subordinazione delle richieste salariali all’inflazione programmata. Marchionne fece scuola, e con il pretesto di arginare il suo modello lo si estese a tutto il mondo del lavoro con l’accordo del 28 giugno del 2011. Cgil Cisl Uil firmarono, per la prima volta a livello confederale, la possibilità di derogare in peggio al contratto nazionale a livello aziendale. Quella fu la resa della Cgil rispetto alla difesa del contratto nazionale. I successivi accordi, 31 maggio 2013 e 10 gennaio 2014 non sono altro che passaggi di sistematizzazione e consolidamento di un modello contrattuale che serve solo ed esclusivamente a praticare la riduzione dei salari e dei diritti dei lavoratori, l’austerità in salsa contrattuale. Se un contratto nazionale può non essere applicato, in tutto o anche solo in parte, vengono meno ruolo e funzioni di quello che è stato lo strumento più importante dell’unità di classe dei lavoratori. La cancellazione formale è solo il passaggio successivo e conseguente. Senza la copertura del contratto nazionale il mondo del lavoro diventerebbe ancora più frantumato e diviso di quanto già lo sia oggi. Si produrrebbe una diversificazione infinita di salari, orari, turni, diritti con il risultato di trascinare al ribasso tutta la condizione del lavoro nel nostro paese. Squinzi e tutto il palazzo sindacale stanno lavorando da mesi ad una ipotesi di moratoria di tutti i rinnovi contrattuali prossimi. Per creare il clima adatto ad una nuova e più drammatica resa sindacale il padronato chimico ha chiesto la restituzione ai lavoratori di 79 euro del loro salario e si vocifera che quelli metalmeccanici si apprestano a chiederne 76 indietro. Il pretesto è la deflazione. Padroni estorsori quindi, pronti ad un ricatto senza precedenti nei confronti di sindacati bisognosi di legittimazione e soprattutto di risorse che non arrivano più dagli iscritti. Senza la sottoscrizione di contratti nazionali che portano scandalosamente cifre enormi nelle casse dei sindacati firmatari sotto forma di quote di servizio, buona parte delle categorie di Cgil Cisl Uil andrebbe rapidamente alla bancarotta. La salvezza delle strutture in cambio del passaggio alla barbarie contrattuale secondo il modello anglosassone, questa è la partita che rischia di accadere. Un sindacato che volesse resistere a questo modello e che avesse davvero al centro della sua iniziativa la condizione del lavoro ha quindi materiale a sufficienza per indignarsi ed organizzare una linea di difesa del contratto nazionale. La Cgil si gioca l’ultima possibilità di smentire la sua progressiva adesione al modello della barbarie disdettando formalmente il Testo Unico del 10 gennaio 2014 che legittima le aspirazioni di Squinzi. Ogni sindacalista, ogni dirigente e militante lo sa. Dietro la pomposa retorica padronale e dei servi sciocchi sindacali su competitività e produttività si cela un nuovo e durissimo attacco alla condizione di milioni di uomini e di donne che lavorano, di intere generazioni che aspirano ad una vita dignitosa. Padroni estorsori che vanno fermati.
Nessun commento:
Posta un commento