La giornata più lunga del Governo gialloverde precipita a tarda sera. Quando Matteo Salvini, con l’assemblea dei parlamentari M5S ancora in corso, decide di forzare la mano spingendo la maggioranza verso il punto di non ritorno. “Nessuno della Lega firmerà per stoppare la Tav. Io vado fino in fondo, vediamo chi ha la testa più dura”, assesta il colpo (mortale?) davanti alle telecamere di Rete4. Una dichiarazione di guerra nei confronti dell’alleato con cui ha condiviso nove mesi di riforme e battaglie.
“Abbiamo solo chiesto la sospensione dei bandi per un’opera vecchia di vent’anni, lo abbiamo chiesto perché previsto dal contratto siglato tra M5S e Lega – gli risponde Luigi Di Maio -.
E cosa fa Salvini? Oltre a forzare una violazione del contratto minaccia pure di far cadere il Governo? Se ne assuma le responsabilità di fronte a milioni di italiani”. Ai quali, avverte il leader dei Cinque Stelle, “dovrà spiegare il suo comportamento” che mette di fatto a rischio “due misure fondamentali come il Reddito di cittadinanza e quota 100” (il decreto è ancora in via di conversione) oltre che i risarcimenti “ai truffati dalle banche”.
E’ l’inizio della notte più lunga. Al termine di una giornata in cui, d’altra parte, Di Maio aveva già chiuso a qualunque soluzione diversa dallo stop all’“inutile e costosa” – analisi costi-benefici alla mano – Torino-Lione. “Non sono disposto a mettere in discussione il nostro No alla Tav”, aveva ribadito il concetto già espresso nella lettera inviata nel pomeriggio alle truppe parlamentari M5S. E subito rilanciato dal capogruppo al Senato, Stefano Patuanelli: “Se c’è la Tav non c’è Governo, se c’è Governo è perché non c’è Tav”. Una posizione che, in serata, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, aveva di fatto sposato.
E dopo aver atteso che l’analisi costi-benefici sull’Alta velocità superasse lo “stress test” degli esperti, uno dopo l’altro, ha snocciolato tutti i suoi dubbi sul progetto. Una premessa che non può che rimandare ad un’unica conclusione: spingere il Tav verso l’ultima corsa sul binario morto. Presa di posizione, che trova subito la sponda di Di Maio. La prova, per Salvini, di un asse tra il leader M5S e Conte per bloccare l’opera. Inevitabile sbocco, d’altra parte, di quei “dubbi e perplessità” nei confronti di un progetto di cui, per il presidente del Consiglio, “il Paese non ha bisogno”.
Rilievi ancorati alla valutazione dell’analisi costi-benefici commissionata dal ministero delle Infrastrutture, definita dal premier un “punto di riferimento”. E mai osteggiata da Salvini. Salvo, ora, metterla in discussione e contestarne le conclusioni. Così le distanze già marcate tra M5S e Lega diventano, di colpo, un abisso che rischia di risucchiare l’intero di Governo insieme a quanto realizzato in questi nove mesi che hanno sconvolto lo scenario politico italiano, regalando a milioni di italiani la speranza di un cambiamento possibile. Una speranza che ora rischia di oscurarsi in un tunnel ai piedi delle Alpi. Riportando, in nome di un progresso che è tutto da verificare, l’Italia ad un passato che sembrava lontano anni luce. Ma ne vale davvero la pena?
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