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martedì 12 marzo 2019

Non c'è motivo per la predica agli Italiani da parte di Washington

di Pepe Escobar

Il presidente Xi Jinping arriverà in Italia per una visita ufficiale il 22 marzo. Il tema principale della discussione sarà la Nuova Via della Seta, detta anche Belt and Road Initiative (BRI).

Il giorno prima, a Bruxelles, l’UE discuterà una strategia comune relativa agli investimenti cinesi in Europa.

Una parte sostanziale dell’UE è già collegata, di fatto, con la BRI. Essa comprende la Grecia, il Portogallo, le 11 nazioni dell’UE appartenenti al gruppo 16 + 1 della Cina, più l’Europa Centrale ed Orientale e, in pratica, l’Italia.



Eppure è bastato che un sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico italiano, Michele Geraci, dicesse al Financial Times che durante la visita di Xi verrà firmato un memorandum d’intesa a sostegno della BRI, perché si scatenassero tutti i diavoli dell’inferno (della Casa Bianca).

Il Financial Times non si è mostrato timido nel suo commento, definendo la BRI un “un controverso programma infrastrutturale.” La BRI è un vasto progetto di integrazione eurasiatica a lungo termine ed è l’unico programma di sviluppo quasi globale sul mercato, su qualsiasi mercato. È particolarmente “controverso” per Washington, perché il governo degli Stati Uniti, come ho spiegato altrove, ha deciso di antagonizzarlo, invece di approfittarne.

Un portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca che cerca di prendersi gioco della BRI definendola un progetto “fatto dalla Cina, per la Cina,” chiaramente non raggiunge lo scopo. Se le cose stessero così, più di 152 (ma sono in continuo aumento) nazioni ed organizzazioni internazionali non avrebbero approvato formalmente la BRI.

La risposta semi-ufficiale della Cina alla Casa Bianca, tralasciando gli usuali commenti diplomatici del Ministero degli Affari Esteri, è arrivata tramite un editoriale graffiante e non firmato del Global Times che accusa l’Europa di essere sottomessa alla politica estera di Washington e ad un’alleanza transatlantica che non è più coerente con le necessità del 21° secolo.

Geraci afferma l’ovvio: il collegamento BRI consentirà di esportare più Made in Italy in Cina. Da persona che ha sempre vissuto fra l’Europa e l’Asia, e che, mentre è in Italia, discute sempre di BRI, questa prospettiva mi è sempre stata chiara. Per il consumatore cinese il fascino del Made in Italy, cibo, moda, arte, arredamento d’interni, per non parlare delle Ferrari e delle Lamborghini, non ha rivali, neanche la Francia [può competere]. I turisti cinesi non ne hanno mai abbastanza di Venezia, Firenze, Roma e dello shopping a Milano.

Washington non può lanciare accuse e fare la predica agli Italiani sul fatto che un collegamento BRI metterebbe a rischio lo schieramento americano nella guerra commerciale [in corso], considerando che, in ogni caso, una sorta di accordo fra Xi e Trump potrebbe essere imminente. Bruxelles, da parte sua, è già profondamente divisa, soprattutto a causa della Francia.

Le imprese tedesche sanno che la Cina è il mercato di scelta, presente e futuro; inoltre, uno dei terminali più importanti della Nuova Via della Seta è a Duisburg, nella regione della Ruhr.

Stiamo parlando del collegamento per treni merci ‘Yuxinou’ lungo 11.000 km, attivo dal 2014; da Chongqing, attraverso il Kazakistan, la Russia, la Bielorussia, la Polonia, fino a Duisburg. Yuxinou (abbreviazione di Chongqing-Xinjiang-Europa), uno dei corridoi chiave delle Nuove Vie della Seta, diventerà nel prossimo decennio un collegamento ferroviario ad alta velocità.

Quasi un anno fa avevo spiegato in dettaglio su Asia Times come l’Italia fosse già legata alla BRI.

In sostanza, è tutto collegato all’Italia, la terza nazione europea nel commercio navale, configurata come il principale terminal dell’Europa meridionale per la BRI, la porta d’ingresso per le rotte che la mettono in comunicazione con l’est e il sud, mentre serve anche, in modo economicamente vantaggioso, decine di destinatari ad ovest e a nord.

Assolutamente fondamentale nel progetto è l’attuale riorganizzazione del porto di Venezia, la canalizzazione delle linee di approvvigionamento dalla Cina attraverso il Mediterraneo verso Austria, Germania, Svizzera, Slovenia e Ungheria. Venezia è stata configurata come un superporto alternativo a Rotterdam e ad Amburgo, anch’essi collegati alla BRI. L’ho chiamata la Battaglia dei Superporti.

Qualunque cosa pensino Washington, la City di Londra e persino Bruxelles, questo è un qualcosa che Roma (e Milano) vedono come una questione di interesse nazionale italiano. E, considerando l’eterna storia d’amore cinese per tutte le manifestazioni del Made in Italy, quello che è vantaggioso per tutti vince ancora una volta.

Fonte: QUI

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