Il magistrato ricorda la sentenza Dell’Utri al Campidoglio intervenendo al convegno con Travaglio e la Raggi
di Aaron Pettinari
"La lotta alla mafia dovrebbe essere il primo obiettivo di ogni governo e così finora non è stato. Un ulteriore segnale di preoccupazione è emerso dalla desolante assenza del tema dal tavolo della campagna elettorale con qualche eccezione, di tutto si è parlato e si continua a parlare, ma il silenzio sulle politiche antimafia in questi casi assume le caratteristiche del silenzio assordante".
E’ con queste parole che il sostituto procuratore nazionale antimafia, Antonino Di Matteo è intervenuto nel corso del convegno "Mafia 2.0 - Azioni di contrasto da parte dello Stato" che si è tenuto nella Sala della Piccola Protomoteca in Campidoglio.
Un evento organizzato dall’associazione “Themis & Metis” in collaborazione con l’Aiga, l’Ordine degli Avvocati di Roma e la Presidenza dell’Assemblea Capitolina. “Se tutti abbiamo ormai capito quanto mafia e corruzione siano segmenti di un sistema criminale integrato, ci dobbiamo porre un problema - ha aggiunto ancora Di Matteo - Oltre 50 mila detenuti affollano le nostre strutture carcerarie, solo un numero irrilevante, credo non superino una decina di unità, sta scontando una pena definitiva per reati di corruzione o per reati tipici del crimine dei colletti bianchi: dieci su 55mila. Immaginate le conseguenze dell'entrata in vigore della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario recentemente approvata dal Governo che dà la possibilità di scontare in regime diverso da quello carcerario una pena fino a un massimo di 4 anni o gli ultimi 4 anni di una pena più alta - ha proseguito -, anche quei dieci soggetti che stanno espiando una pena per corruzione lascerebbero immediatamente il carcere. Se la situazione è questa dobbiamo avere il coraggio di dire che sostanzialmente il fenomeno della corruzione in Italia è impunito”.
Il magistrato, pm di punta dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, ha evidenziato come il rapporto tra mafia e potere sia da sempre una prerogativa delle criminalità organizzate e che lo stesso, da sempre, non può essere circoscritto ad un fenomeno prettamente meridionale.
Le sentenze dimenticate
“Ho sempre lavorato in Sicilia e mi indignavo e tuttora mi indigno quando viene relegata la questione mafiosa al solo territorio siciliano o al meridione. La questione mafiosa è una questione nazionale - ha detto Di Matteo -. Come si fa a pensare e sostenere che la questione mafiosa sia una questione locale quando abbiamo avuto delle conclusioni anche di sentenze passate in giudicato in ordine ai rapporti significativi del sette volte presidente del Consiglio Andreotti con le famiglie mafiose palermitane o all’intermediazione assicurata per almeno 20 anni dal senatore Dell’Utri e alla stipula dei patti a cui ha contribuito il senatore Dell’Utri tra l’allora imprenditore Silvio Berlusconi e i capi delle famiglie mafiose siciliane? - ha detto Di Matteo - Come si fa a relegare a questioni marginali questioni che hanno riguardato ad altissimo livello l’esercizio del potere non solo in Sicilia ma in tutto il Paese? Ecco perché il silenzio mi preoccupa”.
Di Matteo ha quindi evidenziato la necessità della “primazìa della politica nella lotta alla mafia. Da cittadino che ha fatto una determinata esperienza nella lotta alla mafia io continuo a sognare una politica che sia in prima linea nella lotta alla mafia e non come avviene oggi nella migliore delle ipotesi solo al traino dell’azione repressiva della magistratura”.
La conseguenza, ha spiegato Di Matteo, è che “la magistratura accerta le eventuali responsabilità penali e la sussistenza di reati ma naturalmente il principio della presunzione di innocenza riguarda le responsabilità penali. Ci sono dei comportamenti che ancor prima di essere descritti in una sentenza definitiva sono accertati e dovrebbero fare scattare delle responsabilità di tipo politico che invece nel nostro Paese troppe poche volte sono state azionate".Tra le conseguenze di questo “atteggiamento della politica”, Di Matteo ha citato anche il fatto che “comunque nonostante quello che è stato accertato si è assistito alla santificazione di Andreotti e che nel 2008 il senatore Dell’Utri e il senatore Cuffaro sono stati ricandidati". E ricordando le parole della sentenza contro l’ex senatore di Forza Italia, condannato in via definitiva per Concorso esterno in associazione mafiosa, ha evidenziato come “nonostante in una sentenza definitiva ci sia scritto cheSilvio Berlusconi ha mantenuto e rispettato almeno dal 1974 al 1992 quei patti stipulati con Cosa Nostra grazie all'intermediazione di Dell'Utri ancora oggi questa persona esercita un ruolo assolutamente importante e assume ruoli decisivi nella politica nazionale anche di stretta attualità (tanto da essere ascoltato al Quirinale nelle consultazioni per la formazione del nuovo Governo, ndr)”.
Bontà codice etico
Nel suo intervento Di Matteo ha anche voluto tornare su quanto disse in riferimento al codice etico approvato in particolare dal Movimento cinque stelle. Una presa di posizione che fece discutere. "In un convegno - ha ricordato il magistrato - intervenni per sottolineare il carattere positivamente innovativo del codice etico che il M5S aveva approvato. E' stata considerata come una apertura di credito nei confronti del M5S in quanto organismo politico. In realtà il dato è certamente molto più importante: l'approvazione di quel codice rappresentava finalmente un momento di separazione tra il concetto di responsabilità penale e il concetto di responsabilità politica. Quello era, e mi auguro che sia ancora, il fattore più apprezzabile di quel codice".
Riforme
Il sostituto procuratore nazionale antimafia ha anche affrontato temi importanti come quello delle intercettazioni telefoniche, della riforma penitenziaria ribadendo la necessità di “mantenere fermi certi strumenti giuridici” rilanciando il contrasto contro la mafia e la corruzione anche prevedendo strumenti ulteriori come ad esempio l’utilizzo dell’agente provocatore “già previsto dal nostro codice in materia di reati come il traffico di stupefacenti, traffico di armi o la pedopornografia”. Inoltre ha chiesto che da parte delle istituzioni vi sia l’impegno a salvaguardare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura a cominciare dalla nomina dei membri laici del Csm: “Io condivido la preoccupazione di Davigo quando sostenne il pericolo di una magistratura genuflessa rispetto al potere politico.
Una magistratura che ha mutuato dalla peggiore politica gli odiosi sistemi di sparizione del potere con il sistema delle correnti con il rischio che si ragioni in criteri di opportunità politica anziché rispetto alla doverosità del nostro agire. Anche la politica dovrebbe combattere la burocratizzazione e la gerarchizzazione dell’attività giudiziaria perché la difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura è una lotta di libertà del popolo. Un esempio: la Costituzione prevede che nell’elezione dei membri laici del Csm la scelta vada fatta tra professori ed avvocati. Non sta scritto da nessuna parte che debbano essere membri di un partito politico. I parlamentari devono nominare personalità che si pongano il problema di tutelare l’autonomia e l’indipendenza del Csm, non di portarci dentro i desiderata dei loro referenti politici”.
Infine, a quasi 26 anni dalle commemorazioni delle stragi, Di Matteo ha anche auspicato che lo sforzo per la ricerca della verità su quel delicato periodo storico non sia solo “sulle spalle di pochi magistrati o investigatori” ma riparta proprio dalla politica e dalle considerazioni della Commissione Parlamentare antimafia in cui si afferma come “probabile o concretamente possibile il dato di partecipazione di altri soggetti oltre Cosa nostra alla campagna stragista”.
All’incontro hanno anche partecipato il sindaco di Roma, Virginia Raggi, ed il giornalista e direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio. La prima ha voluto ribadire la bontà dell’operato della propria amministrazione: “Cercare di fare le cose nel rispetto della legge implica dei tempi. E' intollerabile sentirsi dire 'prima si stava meglio’”. “Si stava meglio cosa?” ha incalzato la Raggi parlando di "appalti truccati" e del fatto che "si facevano favori. Noi stiamo pagando i debiti di chi 'faceva le cose meglio'. In apparenza era tutto bello poi qualcuno ha alzato il tappeto. E bisogna avere un po' di coraggio e onestà per farlo e a volte si resta soli. Ma si va avanti lo stesso. Noi lo stiamo facendo e andiamo avanti".
Poi a prendere la parola è stato Marco Travaglio che con la solita chiarezza ha evidenziato le mille contraddizioni della politica che “scientemente” legifera seguendo criteri che alla fine non sono mai per la tutela di tutti ma di pochi.
“Lo Stato è disorganizzato non perché non sa organizzarsi ma sceglie di non organizzarsi scientemente contro la criminalità - ha detto il giornalista - E ci sono norme da cialtroni. Leggi spot che in realtà presentano buchi enormi e che vanno incontro alle esigenze specifiche di qualcuno”. Travaglio ha anche fatto degli esempi come la legge sul voto di scambio politico-mafioso (416 ter) che ha portato alla dissoluzione di interi processi come ad esempio il caso del deputato siciliano Antinoro “condannato nei primi due gradi di giudizio e poi assolto dopo l’arrivo della nuova legge che prevede che si dimostri che vi sia il procacciamento di voti con le modalità mafiose”. Poi ancora la normativa sull’Antiriciclaggio definito come un “vero cabaret, laddove si prevede che questo non è punibile quando il denaro e le altre utilità vengono destinati al godimento personale”.
Ed infine la legge sulle intercettazioni telefoniche. “In questo caso - ha detto Travaglio - è da anni che si pensa a come fermarle. All’inizio pensavano di toglierle dalle mani dei magistrati oggi invece si punta a toglierle dalla disponibilità dei giornalisti e quindi dei cittadini. Una legge assurda che rischia di togliere dagli occhi dei cittadini le informazioni indecenti sui potenti ma anche di privare i pm e gli avvocati di prove importantissime perché ci sarà un soggetto delle forze dell’ordine che arbitrariamente deciderà cosa è rilevante e cosa no”.
Travaglio ha anche evidenziato come sia bassissimo il numero di articoli di giornale che hanno pubblicato intercettazioni che non erano penalmente rilevanti a dimostrazione che “non c’è alcuna gogna mediatica e per colpire questi reati ci sono già le leggi a tutela della privacy e il reato di diffamazione”. L’auspicio finale è che da queste considerazioni un prossimo governo possa concretamente legiferare contro mafia e corruzione senza che il diritto di pochi sia anteposto a quello dei molti.
fonte: AntiMafia2000
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