di C.Alessandro Mauceri
Ieri, il Ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha evidenziato i punti chiave della prossima manovra finanziaria nel corso di un’audizione in Senato sul Def. Nel commentare i numeri, Padoan ha detto che la prossima legge di bilancio sarà fatta di “misure selettive di impulso alla crescita, agli investimenti, di promozione sociale e per i giovani”, all’interno di un quadro di finanza pubblica che offre “risorse limitate”.
Una “manovrina” che, secondo molti, è stata scritta tenendo conto delle elezioni (numerosi, e tra loro l’area di D’Alema e Bersani, hanno lasciato capire che non voteranno la relazione sul Def ma approveranno lo stesso la manovra).
Conti risicatissimi quelli della manovra. Il motivo è semplice: nonostante l’importo sia quasi 20 miliardi di euro, buona parte di questi sono già vincolati da precedenti impegni di spesa o debiti. In tema di conti, Padoan ha illustrato non tanto i contenuti ma soprattutto gli effetti (sperati sebbene incerti) dei principali capitoli della manovra, evidenziando come obiettivo finale quello di portare tre decimali di crescita in più, confermando per l’anno prossimo il +1,5% di Pil che era previsto per quest’anno.
Come al solito, quindi, dire tutto per non dire niente. A cominciare proprio dal Pil, il tanto biasimato indicatore “potenziale”, da molti giudicato inutile per rappresentare la reale situazione del paese ma che continua ad essere punto di riferimento in tutti i paesi “sviluppati”. Ebbene, Padoan si è guardato bene dal dire che se il Pil crescerà, lo farà sempre meno di quanto crescerà quello dei paesi europei diretti “concorrenti” dell’Italia (e non solo quelli). E questo naturalmente ammesso che i dati reali coincidano, almeno lontanamente, con quelli “potenziali” (ovvero quelli utilizzati per il calcolo del Pil): spesso tra i due la differenza è notevole.
Ma non basta, come ha detto lo stesso Padoan, “non c’è spazio per il compiacimento, c’è ancora tanto da fare”. Le misure previste dalla manovrina presentata dal ministro non prevedono niente che non fosse prevedibile. E per due motivi. Il primo è che, come si diceva, si tratta di spese relative ad impegni già assunti. Dei quasi venti (19,6) miliardi di euro previsti dalla manovra (sarebbe interessante vedere quanti parlamentari hanno realmente letto), oltre la metà 11 miliardi saranno nuovi debiti. Un’altra grossa fetta, 5,1 miliardi, arriverà da nuove entrate. Quali? Quelle che gli italiani pagheranno come tasse e imposte. Si parla anche di “misure allo studio che mirano a ridurre l’evasione di alcune imposte, in particolare le indirette”, ovvero dell’ennesima “rottamazione” delle cartelle di Equitalia che, in tre anni, dovrebbero portare nelle casse dello stato 4,9 miliardi di euro ( 2.267 milioni per il 2017, 2.403 milioni nel 2018 e 207 milioni per il 2019). Ma visto il flop della voluntary bis, non è certo sicuro basare l’economia del paese su queste previsioni.
Infine, nel documento sono indicati “impieghi”, cioè nuove norme, per 3,8 miliardi. Misure, ha ribadito Padoan, che dovrebbero avere un impatto significativo sul Pil 2018, dello 0,3%. Per contro, l’unica vera voce della manovra che potrebbe consentire reali risparmi, ovvero la spending review, punta tutto sui tagli ai ministeri (da anni promessi e mai realmente visti) e sulla centralizzazione degli acquisti PA (altra mera chimera).
In cambio il governo promette grandi risultati. E come al solito lo fa da venditore di professione: nelle carte di prevedono un milione di posti di lavoro. Ma non subito: in quattro anni, sperando che, in futuro, le cose possano andare meglio e che “misure selettive di impulso alla crescita, agli investimenti pubblici e privati, di promozione sociale e per i giovani” possano raggiungere i risultati tante volte promessi e ancora attesi (l’Italia è in realtà l’unico paese sviluppato a non essersi realmente ripreso dalla crisi del 2007/08).
In poche parole, non crescita reale e risparmio ma nuove tasse. Come ha sottolineato l’ex ministro dell’Economia, Enrico Zanetti, tra i padri della prima edizione della rottamazione: “Più che lotta all’evasione, sono aumenti di IVA camuffati”, ha detto.
Il rischio, denunciato anche dalle imprese, è che invece di aumentare le tasse, chiamandole con il loro nome, comincino a spuntare nuovi oneri per i contribuenti. Magari camuffati in diversi modi. Una condizione che invece di migliorare la situazione, avrà come unico effetto quello di ritardare la ripresa.
Intanto, nonostante le promesse fatte negli ultimi anni (anche quelle del ministro dell’Economia Padoan) il debito pubblico dell’Italia continua a crescere e a far registrare nuovi record. A fine 2013, ovvero poco prima dell’inizio del governo Renzi che volle Padoan al proprio fianco, il debito pubblico era pari a 2.068,7 miliardi di euro. L’ultimo dato, relativo a luglio 2017 (tre anni dopo, sempre sotto la guida di Padoan come ministro dell’Economia) il debito è arrivato a toccare la cifra record di 2.300 miliardi di euro. Aumentando mediamente di quasi venti miliardi di euro al mese (dato febbraio/marzo2017). Ossia quasi quanto la manovra (annuale) proposta dal ministro dell’Economia Padoan……
fonte: Scenari Economici
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