di Andrea Tundo
L’ultima grave esplosione nell’impianto Eni di Sannazzaro, prima dell’incendio del primo dicembre, si era verificata quattro anni fa. Ma di incidenti, nell’impianto in provincia di Pavia, se ne sono verificati anche recentemente. Gli ultimi risalgono a quest’estate, il 2 e il 6 luglio, con due operai coinvolti. Entrambi i problemi si erano verificati all’isola-6, nella zona vecchia della raffineria. Nel primo caso, un operaio trentenne era rimasto vittima dell’esplosione di un forno: trasportato in elisoccorso all’ospedale Niguarda di Milano, aveva riportato ustioni di secondo grado agli arti.
Quattro giorni dopo, invece, un dipendente Eni in trasferta dall’impianto di Gela venne colpito al piede da zolfo fuso a una temperatura di circa 130 gradi riportando una prognosi inferiore ai 30 giorni. I due incidenti avevano scatenato la rabbia dei sindacati: “I problemi di natura tecnica e le difficoltà organizzative, legate alla carenza di organico da troppo tempo da noi indicata – scrivevano Uiltec Uil, Femca Cisl e Filctem Cgil – devono trovare risposte per evitare situazioni di stress, di pericolo e di rischio per il personale addetto”. Da più di due anni, infatti, le tre sigle sindacali chiedono, soprattutto in alcune aree, di rimpolpare l’organico, senza che questa sia stata completamente soddisfatta con nuove assunzioni.
Nonostante la raffineria di Sannazzaro si sia recentemente espansa con l’avvio degli impianti del Progetto EST, dove Eni ha iniziato ad utilizzare una nuova tecnologia – ‘testata’ nella raffineria di Taranto – che prevede un grande utilizzo di idrogeno, l’elemento più reattivo e quindi più pericoloso durante la lavorazione del greggio, per permettere una conversione quasi totale dei combustibili pesanti. Tradotto: lo scarto della prima lavorazione viene nuovamente raffinato per produrre benzine e gasoli. E proprio negli impianti del Progetto EST si è verificato l’incidente odierno. Il più grave che si ricordi a Sannazzaro, almeno negli ultimi quattro anni. Il 10 aprile del 2012, infatti, una deflagrazione udita anche a diversi chilometri di distanza aveva interessato la zona vecchia dell’impianto, la stessa dei due incidenti dello scorso luglio, in particolare l’Unità di de-solforazione gasoli 1. Allora come oggi, si registrò solo un ferito a causa di una lieve intossicazione da fumo. L’emergenza tenne impegnati forze dell’ordine e tecnici per oltre dieci ore, una densa colonna di fumo nero si alzò nei cieli del Pavese e le fiamme arrivarono a lambire le torri più alte dell’impianto.
“Troppe raffinerie in Italia subiscono incidenti rilevanti che pongono con urgenza la necessaria apertura di un’inchiesta su tutto il territorio nazionale – afferma Angelo Bonelli dei Verdi – per verificare l’applicazione della direttiva Seveso, del corretto funzionamento degli impianti e delle autorizzazioni integrate ambientali rilasciate”. Da Milazzo a Taranto, passando per Priolo, afferma ancora, si sono registrati “gravi danni all’ambiente”. Nei prossimi giorni si capirà se problemi di questo tipo sono stati provocati anche dall’incendio sviluppatosi a Sannazzaro, dove ogni anno vengono lavorate circa 11 tonnellate di greggio. La raffineria, voluta da Enrico Mattei, è entrata a regime nel 1963 e copre un’area di 320 ettari – all’interno della quale ci sono 170 serbatoi di stoccaggio – a circa un chilometro dal centro abitato.
“Una lunga serie di incidenti nelle raffinerie dimostra ormai senza alcun dubbio che queste sono sempre strutture ad alto rischio, tanto più quanto sorgono in prossimità dei centri abitati, aree di produzione anche agricole o zone naturali”, denuncia il Wwf che chiede, in relazione all’incendio divampato a Sannazzaro, “misure di emergenza per valutare i danni e tutelare le persone e l’ambiente nell’immediato e in futuro” perché “a destare preoccupazione sono l’idrogeno solforato, un vero e proprio veleno, e altre sostanze tossiche usate nel processo e prodotte dalla combustione, sicuramente disperse ora nell’ambiente e che rischiano di avere conseguenze”.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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