di Alvise Pozzi
Quando l’oligarchia finanziaria vuole qualcosa, la ottiene. Non importano le proteste, i dubbi dei parlamenti nazionali, gli aggiramenti delle regole comunitarie. Il trattato di libero commercio con il Canada doveva farsi e così è stato, nonostante la velleitaria opposizione del parlamento delle tre regioni francofone. Poteva quella piccola rappresentanza di cittadini belgi fermare il grande Moloch che risiede nella sua stessa capitale?
Quando le “forze del Mercato libero” ordinano, a Bruxelles lavorano persino la domenica; così dopo l’incontro-lampo di fine settimana scorsa tra il primo ministro belga Charles Michel e il presidente della Vallonia Paul Magnette, l’attesa luce verde è scattata.
Ora è tutto un profluvio di dichiarazioni entusiastiche: “è una buona giornata per l’UE.” “L’accordo è utile per le economie e […] definisce gli standard per altri accordi” dichiara la Mogherini, riferendosi ovviamente al momentaneo accantonamento del Ttip.“Fumata bianca” twetta sollevata Cecilia Malmstrom, a capo della commissione Ue del commercio estero. Grandi sorrisi, dipinti sui volti del presidente del parlamento europeo Jean-Claude Juncker e su quello del giovane primo ministro canadese Justin Trudeau. “Vittoria”, sintetizza Paul Magnette. Ma vittoria di chi? È tutto un darsi pacche sulle spalle e complimentarsi per quest’attesa ratifica; eppure erano quelle stesse facce a essere tirate e rabbiose, solo pochi giorni fa, quando un minuscolo parlamento di una piccola regione europea, osava mettere in dubbio e bloccare lo stesso accordo, già approvato dall’alto, scavalcando i parlamenti nazionali.
Frasi stizzite e velenose fioccavano allora: su come l’architettura europea fosse obsoleta, perché un milione scarso di cittadini si arrogassero il diritto di stoppare un negoziato per l’intero continente; su come la “credibilità europea” fosse ridicolizzata dai valloni e di quanto sarebbe stato impossibile d’ora in avanti stipulare accordi commerciali con l’estero. Insomma il solito teatrino per demonizzare qualsiasi forma di dissenso che rivela – se ce ne fosse ancora bisogno – la natura ontologicamente antidemocratica delle istituzioni europee. Le stesse che stipulano accordi in segretezza e che spingono per il referendum costituzionale della Boschi.Il CETA però per essere ufficialmente approvato necessita ancora dell’approvazione dei 27 parlamenti nazionali, ma – magia letteraria degna di un Kafka, di un Calvino o di un Sepulveda – sarà già in vigore permanentemente provvisorio fin da inizio 2017. Quando l’elite finanziaria comanda, le decisioni vanno prese e applicate in fretta; altro che lentezza della politica. I cambiamenti devono essere tanto rapidi da non permettere ai cittadini di accorgersene. Devono essere presentate come un dato di fatto, prima che qualcuno abbia il tempo di mobilitarsi, informarsi, opporsi.
La riunione andata in scena giovedì scorso tra Magnette e il primo ministro belga ricorda – anche se senza la drammaticità di quei giorni – quella tra Tzipras e la Merkel dopo il referendum. Un socialista che entra convinto delle sue idee in una stanza e ne esce con una resa totale che però è “una vittoria”. “Siamo tra i pochi politici europei a essere rimasti idealisti e difendere gli interessi del continente senza soccombere agli interessi delle multinazionali” affermò settimana scorsa, prima di cambiare evidentemente idea. Così adesso si spreca ad affermare di avere ottenuto delle clausole di salvaguardia per gli agricoltori belgi, di poter effettuare una valutazione, su intervalli regolari, degli impatti socio-economici e ambientali dell’applicazione provvisoria del trattato e, infine, che la Corte di Giustizia dell’Ue si pronunci sulla compatibilità con le regole comunitarie dell’Ics (ovvero il controverso tribunale internazionale per le controversie commerciali).
Come se ci fosse qualche dubbio sulla sentenza dei giudici di Strasburgo. La verità è che, oltre all’accordo di per sé, la ratifica del CETA connette l’Unione Europea con il mercato unico nordamericano (istituito tramite il NAFTA) e permette alle multinazionali statunitensi di spostare facilmente le loro sedi in Canada, bypassando così lo stallo sul Ttip. La firma è stata effettuata in tutta fretta domenica mattina, mentre all’esterno del Consiglio Europeo numerosi manifestanti hanno tentato di superare le barriere esterne lanciando vernice rossa contro le forze dell’Ordine, che hanno risposto con cariche e spray urticanti. Molti sono stati gli arresti e le persone bloccate ancor prima di raggiungere la sede. Un nuovo e radioso capitolo nel commercio tra le due sponde dell’oceano che, crea un mercato di 536 milioni di consumatori con meno regolamentazione e diritti di prima; insomma una “vittoria” per tutti.
fonte :l'Intellettuale Dissidente
fonte :l'Intellettuale Dissidente
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