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sabato 20 dicembre 2014

Sfatiamo qualche mito e facciamo un pò di chiarezza

Il tema della lotta all’evasione fiscale non sembra essere prioritario nell’agenda di questo Governo, nonostante l’evasione continui a essere alta e costituisca un rilevante freno alla crescita e un rilevante fattore di aumento delle diseguaglianze distributive. Il Governo ha scelto di riproporre misure di semplificazione per contrastare il fenomeno: ma si tratta di una linea già percorsa, con risultati decisamente deludenti. 

di Guglielmo Forges Davanzati

Si calcola che l’evasione fiscale in Italia ammonti a un importo compreso (a seconda della metodologia di stima) fra i 90 e i 140 miliardi di euro[1]. Non si tratta esclusivamente di una questione di ordine etico, sebbene quest’ordine di motivazione sia ovviamente di massima rilevanza, ma anche di un problema di massima rilevanza per la crescita economica e la distribuzione del reddito. Innanzitutto, va rilevato che, in presenza di un’elevata evasione fiscale e di un elevato debito pubblico, la tassazione su famiglie e imprese che non evadono né eludono è ovviamente molto elevata; cosa che contribuisce a spiegare l’elevatissima e crescente pressione fiscale in Italia, e il fatto che essa è strutturalmente più elevata della media europea.

E’ palese che l’illegalità ha un costo. Ed è possibile rilevare che un’elevata evasione fiscale è un problema non solo perché riduce il tasso di crescita, ma anche perché contribuisce a rendere sempre più diseguale la distribuzione del reddito. Ciò per le seguenti ragioni.

1) L’economia italiana sperimenta l’apparente paradosso di una costante riduzione della spesa pubblica e di un costante aumento del debito pubblico, non solo in rapporto al Pil ma anche in valore

assoluto.


Sfatiamo anche questo di mito


Si tratta di un paradosso appunto apparente, la cui soluzione si rileva in questa sequenza. La riduzione della spesa pubblica comporta riduzione dell’occupazione e del tasso di crescita. La riduzione del tasso di crescita accresce il rischio di insolvenza da parte dello Stato, ovvero accresce la probabilità che lo Stato non sia più in grado di onorare il suo debito. Ciò impone allo Stato di emettere titoli con tassi di interesse crescenti, per far fronte alla loro maggiore rischiosità.

In più, in un assetto istituzionale nel quale è fatto divieto alla Banca Centrale di “monetizzare” il debito (ovvero di stampare moneta per acquistarlo), la tassazione finisce pressoché inevitabilmente per gravare sul lavoro e sulla piccola impresa. Nel Rapporto OCSE 2014 “Taxing wages”, si legge che la tassazione sul lavoro, in Italia, è la più alta fra quella dei maggiori Paesi industrializzati, e che la tassazione in Italia supera nettamente la media OCSE soprattutto sui salari più bassi (44,7% contro 32,2%).

Ciò a ragione della duplice considerazione che non è conveniente né tassare i propri creditori né tassare potenziali contribuenti che godono di elevata mobilità territoriale. Si consideri, a riguardo, che il principale creditore dello Stato è il settore bancario, che potrebbe reagire a un aumento della tassazione sui suoi utili riducendo l’acquisto di titoli; e si consideri anche che le grandi imprese possono reagire a un aumento della tassazione minacciando la delocalizzazione (o realizzandola di fatto).

In entrambi i casi, le entrate fiscali derivanti dalla tassazione di questi potenziali contribuenti potrebbero essere di entità irrisoria o, al limite, nulla. E, ancor peggio, nel primo caso si determinerebbero ulteriori problemi di vendita di titoli di Stato e, con riferimento alle delocalizzazioni, si determinerebbero ulteriori riduzioni del tasso di crescita, come conseguenza dei minori investimenti.

A ciò si può aggiungere che l’incremento della tassazione sul lavoro genera un duplice effetto recessivo. Un’elevata evasione fiscale, in quanto si associa a maggiore tassazione sul lavoro dipendente, genera effetti ridistributivi a danno dei percettori di redditi bassi, ovvero di famiglie con più elevata propensione al consumo. Ne segue una riduzione dei consumi, della domanda, dell’occupazione e del tasso di crescita, che delinea una spirale viziosa per la quale, a fronte della contrazione del tasso di crescita e della conseguente maggiore rischiosità dei titoli del debito pubblico, si rende necessario accrescere ulteriormente la tassazione sul lavoro, per far fronte all’aumento dell’onere del debito[2].

In più, un’elevata tassazione sul lavoro, e dunque la riduzione dei redditi disponibili, deteriora la qualità del lavoro stesso, dal momento che rende più difficile l’accesso ai servizi sanitari e all’istruzione, con conseguente calo del tasso di crescita della produttività. Questo effetto è accentuato dal fatto che la contrazione dei consumi e della domanda riduce i profitti (e/o genera fallimenti), riducendo gli investimenti e producendo – anche per questa via – effetti di segno negativo sul tasso di crescita della produttività del lavoro.

2) Assumendo data la “moralità fiscale” dei contribuenti, in quanto la riduzione della spesa pubblica si traduce in una riduzione dell’occupazione nel settore pubblico (dove il prelievo fiscale è alla fonte ed è dunque limitato, se non nullo, lo spazio per l’evasione), ciò contribuisce quantomeno a rendere possibile ulteriori aumenti dell’evasione fiscale.

Si può anche rilevare che, come attestato dalla Ragioneria Generale dello Stato, l’incidenza dell’evasione fiscale non è uniforme sul territorio nazionale, ed è mediamente più alta nelle regioni settentrionali, così che essa contribuisce a produrre diseguaglianze distributive anche su scala regionale, a danno delle famiglie meridionali.

Se non vi può essere dubbio sul fatto che l’evasione fiscale contribuisce a frenare la crescita economica e ad accentuare le diseguaglianze distributive, si possono avanzare molte perplessità sulla linea che il Governo intende perseguire, e sintetizzata così dal nostro Presidente del Consiglio: “bisogna cambiare approccio verso il cittadino che si deve sentire moralmente accompagnato e il pubblico non è solo controllore ma diventa il consulente. Per chi sbaglia non ci sono scappatoie, va stangato ma le norme vanno rese più semplici, la semplicità è presupposto per il contrasto alla criminalità”. Le misure di semplificazione, come previsto nella Legge di Stabilità, dovrebbero consentire un recupero di gettito derivante dal contrasto all’evasione pari a 3.5 miliardi di euro.

Per provare a capire se la strategia governativa possa rivelarsi efficace, occorre partire da un dato. Su fonte Banca d’Italia, si registra che la gran parte dell’evasione è generata da imprenditori e lavoratori autonomi, ed è prevalentemente concentrata al Nord. Il fenomeno non sembra avere andamenti ciclici, e si registra che le normative di contrasto fin qui poste in essere sono state sistematicamente ed efficacemente aggirate.

La convinzione che si possa recuperare gettito attraverso semplificazioni del sistema di pagamento delle imposte (convinzione che si basa sull’idea che si evade perché è difficile pagare) è ormai un topos delle strategie di contrasto all’evasione, essendo stata alla base dei tentativi di contrastarla almeno a partire dall’ultimo Governo Berlusconi (e riproposta dai Governi Monti e Letta).

In tal senso, le proposte di Renzi non sono affatto nuove e, data l’evidenza suggerita dall’esperienza recente, laddove i recuperi di gettito sono stati assolutamente irrisori, non vi è da aspettarsi che la semplificazione sia risolutiva[3]. Ed è anche legittimo ritenere che l’aumento delle entrate derivante dalla minore evasione, così come previsto dalla Legge di Stabilità, sia ampiamente sovrastimato.

NOTE


P.S.: la soluzione forse sarebbe quella di riformulare, in maniera più oculata, le aliquote IRPEF in base al reddito. Poi mi chiedo e domando " Chi ha paura dell'eliminazione del contante, dopo aver opportunamente detassato i movimenti bancari con la moneta elettronica? ". Qualcuno dia una risposta

[1] Per un approfondimento sulle metodologie di stima, si rinvia al materiale elaborato dal Tax Justice Network: http://www.taxjustice.net/

[2] Ciò non necessariamente implica che l’evasione fiscale accentui il problema della sostenibilità del debito. Si veda a riguardo: https://ideas.repec.org/p/ces/ceswps/_4004.html

[3] Come peraltro autorevolmente attestato da una recente pronuncia della corte dei conti. Per un resoconto della valutazione della magistratura contabile sulle politiche di contrasto all’evasione fiscale si rinvia a http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/02/corte-dei-conti-evasione-fiscale-norme-contrastanti-manca-strategia/1245604/)

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