La retata di Milano (95 indagati, di cui 28 arrestati, per tangenti e altri reati) e, in contemporanea, le indagini per mazzette a Catanzaro (20 inquisiti) e a Palermo (14, di cui 4 arrestati), ci ricordano qual è il vero cancro che si mangia l’Italia e ne blocca la crescita: non gli immigrati, non i cantieri bloccati, non le fake news di Putin e tutte le altre false emergenze di cui sempre si sente cianciare, ma una classe politica e imprenditoriale corrotta dalle radici. Di nuovo, dalle tre indagini fra Nord e Sud, non emerge nulla rispetto a Tangentopoli, a parte la presenza sempre più frequente delle mafie al tavolo degli appalti e gli importi delle mazzette, singolarmente molto più miserabili di quelli di un tempo (proporzionati all’infima statura dei politici d’oggi, che lo sanno e si vendono per poco), anche se poi la somma del latrocinio resta mostruosa: 50-60 miliardi l’anno rubati alla collettività. Per il resto, nihil sub sole novum.
Il centrodestra, diviso a Roma, si riunisce a San Vittore: indagati nella giunta regionale a guida leghista, forzisti arrestati, accuse di soldi illeciti a Fratelli d’Italia.
Intanto il Pd, a furia di ricandidare inquisiti e non mandare a casa nessuno, si ritrova sotto inchiesta per l’ennesima volta in Calabria il governatore Mario Oliverio e l’ex vicegovernatore Nicola Adamo, amorevolmente affratellati nell’indagine “Lande desolate” al candidato presidente di centrodestra Mario Occhiuto.
Anche a Milano i tangentisti non cambiano mai: stesse prassi (la bustarella durante i pasti), stesse facce (come Gioacchino Caianiello, pregiudicato per concussione dunque coordinatore di FI a Varese), stessi ristoranti. L’inchiesta si chiama “Mensa dei poveri”, come i mazzettari avevano ribattezzato il loro ritrovo preferito per le tangenti: il “Da Berti”, vicino al Pirellone, dove già nel 2011 un imprenditore sganciò 100 mila euro al vicepresidente del Consiglio regionale Nicoli Cristiani. Manca solo Formigoni, momentaneamente impedito dalle sbarre. Al suo posto c’è il governatore leghista Attilio Fontana, per ora non indagato, ma parte lesa di una “istigazione alla corruzione” a sua insaputa. Gli avevano offerto uno scambio corruttivo, ma lui pare non se ne fosse accorto. Il pregiudicato Caianiello, varesino come lui ma forzista, gli propose di piazzare il dg dell’Afol Metropolitana a capo del lucroso Settore Formazione regionale; in cambio, avrebbe dato un posto di membro del collegio sindacale e di superconsulente in Afol al socio di studio legale di Fontana, il forzista Luca Marsico, trombato alle ultime Regionali, che il neogovernatore voleva “risarcire”.
Fontana però rispose di avere altre idee per sistemare Marsico (poi piazzato al Nucleo valutazione investimenti). Purtroppo si dimenticò di denunciare Caianiello per la proposta indecente, che – come un avvocato dovrebbe sapere – è un reato. Forse – dicono i pm – “fu un episodio occasionale e, dati i rapporti di lunga data con Caianiello, Fontana potrebbe non aver percepito l’illiceità del comportamento”. In attesa che il governatore spieghi perché frequentava un pregiudicato, ci auguriamo almeno di non leggere più che: Milano è la “capitale morale”; il centrodestra garantisce il “buon governo al Nord”; e la selezione delle classi dirigenti è un problema del solo M5S. Anche perché l’indagine ha portato alla richiesta di autorizzazione all’arresto del deputato forzista Diego Sozzani, e alla cattura di altri due berluscones: il consigliere comunale e candidato alle Europee Pietro Tatarella e il consigliere regionale Fabio Altitonante, sottosegretario della giunta Fontana all’Area Expo. A proposito di Expo, sono indagati pure due funzionari del Comune di Milano: il capo dell’Urbanistica, Franco Zinni, e il direttore operativo dell’Amsa-rifiuti, Mauro De Cillis. Due collaboratori di quel genio di Beppe Sala che si aggiungono alla lunga lista di suoi uomini arrestati o inquisiti. Nel solito scaricabarile fra partiti (tu sei peggio di me), si trascura la reazione agli scandali. Se chi risulta fin da subito aver tenuto comportamenti indecenti, fosse cacciato su due piedi (come il M5S De Vito), il segnale all’ambiente criminale sarebbe chiaro. Invece quasi sempre la reazione è quella della Lega su Siri: aspettare le sentenze e spesso neanche quelle.
Come nel caso di Caianiello, rimasto ai vertici di FI dopo la condanna definitiva per concussione (3 anni, mai scontati in carcere; risarcimento di 125 mila euro alla vittima, mai pagato). Cioè: i giudici, nel 2017, han condannato Caianiello a risarcire l’imprenditore edile cui nel 2005 aveva estorto 250 mila euro per il cambio di destinazione di un’area a supermercato. Ora però lo stesso imprenditore attendeva un altro cambio di destinazione urbanistica dallo stesso Caianiello, rimasto in FI. Così, in cambio, il concusso s’è accordato col concussore firmando una transazione farlocca in cui ha finto di aver ricevuto i 125 mila euro e gli ha pure rimborsato le spese legali. Una “tangente sulla sentenza per tangenti”, la definisce Luigi Ferrarella sul Corriere. Ora il Daspo ai condannati previsto dalla Spazzacorrotti renderà più difficili certi ritorni in servizio. E le nuove norme anti-corruzione e anti-conflitto d’interessi annunciate ieri da Di Maio e Bonafede, se vedranno la luce, saranno utili. Ma, nell’eterna Tangentopoli fotografata dalle ultime inchieste, rischiano di essere vanificate dal Dl Sblocca-cantieri: appalti senza gara fino a 200 mila euro; varianti fino al 50% del progetto; e licenza di subappalti a chi perde le gare (un’istigazione al massimo ribasso e poi al cartello tra finti concorrenti). Senza una retromarcia su quei tre punti, la Sblocca-cantieri rischia di diventare la Sblocca-mazzette.
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