La domanda oggi è: come finirà il braccio di ferro tra il governo giallo-verde da una parte e i mercati e la Unione Europea dall'altra? Il governo Conte riuscirà a far decollare il suo programma economico? Oppure l'aumento dello spread – ovvero del differenziale tra i rendimenti dei titoli di debito italiani e quelli tedeschi - farà fallire le manovre del governo, e forse anche il governo stesso? L'Italia è nella morsa dei mercati finanziari mentre l'Unione Europea è ormai a pezzi e la Commissione UE è in scadenza, ma, come gli animali feriti a morte, è più minacciosa che mai. Di fronte alla crisi italiana ed europea sono possibili diversi scenari sul piano economico e politico. L'incertezza aumenta e gli esiti possono essere drammatici.
Un'alternativa però esiste: il governo italiano potrebbe evitare di dipendere esclusivamente dai mercati finanziari e, pur restando nell'eurozona, potrebbe creare dei titoli quasi-moneta per finanziare la sua manovra economica, aumentare i redditi interni e diminuire il debito in euro.
Se l'Italia non pagasse gli interessi sul debito pubblico avrebbe il bilancio in pareggio
Il programma espansivo del governo si propone obiettivi di crescita molto ambiziosi (nelle condizioni attuali, probabilmente anche troppo ambiziosi). Per rilanciare l'economia, il governo punta all'introduzione del reddito di cittadinanza – che in realtà è diventato un reddito per l'avviamento al lavoro da garantire ai poveri e ai disoccupati –, all'aumento delle pensioni minime e al rilancio (insufficiente) degli investimenti pubblici. Inoltre deve anche trovare le risorse per servire l'elevato debito pubblico. Per fare tutte queste cose il governo deve chiedere soldi al mercato finanziario - cioè alle banche d'affari nazionali e internazionali, ai fondi di investimento, fondi speculativi, fondi pensione, assicurazioni, ecc -.
Al di là degli attacchi indecenti e interessati dei grandi media al governo guidato da Giuseppe Conte, che è fortemente sgradito all'establishment ma che è stato eletto democraticamente dalla maggioranza degli italiani, si possono fare molte e giustificate critiche di merito al piano economico deciso dal duo Di Maio-Salvini e accettato anche, obtorto collo, dal ministro dell'Economia Giovanni Tria. Tuttavia occorre riconoscere che, per la prima volta dall'inizio della grave crisi italiana, un governo cerca di attuare una manovra coraggiosa ed espansiva senza inginocchiarsi di fronte ai poteri forti della finanza e della UE.
Il governo giallo-verde ha contro i mercati e la UE, e quindi non è assolutamente scontato che riesca a farci finalmente uscire dalla suicida politica di austerità che i passati governi di Gentiloni, Renzi, Letta, Monti e Berlusconi hanno imposto alla società italiana seguendo con servile ubbidienza i deleteri programmi economici prescritti dalla UE, dalla grande finanza e dalla Banca Centrale Europea.
Il governo avrebbe in teoria tutti i mezzi per realizzare il suo programma: infatti il bilancio della pubblica amministrazione registra un avanzo primario (entrate meno uscite al netto degli interessi) consistente, pari al 2% circa del PIL, cioè a circa 20-30 miliardi: ovvero i cittadini pagano in tasse 20-30 miliardi in più di quanto ricevono, cioè di quanto lo stato spende in scuole, ospedali, pensioni, sicurezza, infrastrutture, servizi pubblici, ecc.
A differenza della Grecia, lo stato italiano non ha bisogno dei soldi degli altri paesi per pagare le pensioni e gli stipendi ai dipendenti pubblici. Grazie all'avanzo primario di bilancio, se il governo non dovesse pagare il debito pubblico e i relativi interessi, avrebbe tutti i soldi necessari per finanziare le pensioni, il reddito di cittadinanza e gli investimenti pubblici. I conti pubblici sono in ordine, e non è vero che gli italiani sprecano soldi come le cicale. La spesa pubblica italiana è nella media UE e non è da tagliare ma da riqualificare e irrobustire.
Inoltre – sia detto per inciso - l'Italia ha anche un consistente avanzo di bilancia commerciale, circa 50 miliardi, e quindi se decidesse di uscire dall'euro (possibilità che, per essere chiari, io non auspico) non avrebbe bisogno di ricorrere al mercato per ottenere la valuta estera necessaria ad acquistare merci da importare. Proprio questi due elementi – avanzo primario di bilancio e surplus commerciale – fanno temere agli investitori esteri che l'Italia possa decidere di lasciare l'euro senza temere di subire insuperabili conseguenze negative.
Chiuso l'inciso, quello che i grandi media non ci dicono è che l'Italia non ha bisogno di chiedere soldi al mercato finanziario per realizzare il suo programma economico: necessita invece del mercato solo per reperire i soldi necessari per saldare i suoi creditori. Il risultato è che lo stato riduce le spese per scuole e ospedali e pensioni mentre la UE ci impone di fare austerità solo per “salvare” gli investitori che ci hanno prestato (dietro lauta ricompensa, cioè con alti tassi di interesse) i loro soldi.
Il principale vincolo per il governo, e per lo sviluppo dell'economia italiana, è quindi l'obbligo di pagare l'onere del debito pubblico pregresso in favore degli investitori/creditori. Il debito complessivo è pari a 2300 miliardi circa, ovvero a circa il 133% del PIL. Ogni anno lo stato italiano chiede al mercato circa 400 miliardi per rinnovare la quota in scadenza del debito, e paga circa 50-60 miliardi di interessi.
Il surplus primario di bilancio pubblico - pari a circa 20-30 miliardi all'anno - non basta per pagare gli interessi sul debito. Quindi lo stato italiano ogni anno è costretto a fare deficit – circa 30 miliardi all'anno - non per ripagare il suo debito ma solo per pagare gli interessi. E' una spirale perversa alimentata dai crescenti tassi di interesse (i più alti in Europa dopo quelli della Grecia) applicati all'Italia dai giganti della finanza.
L'euro sopravvive perché alla grande finanza conviene mantenere in vita la moneta unica
A livello europeo il grande problema è che, da quando è scoppiata la crisi dell'eurozona, dal 2010 in poi, la BCE ha finanziato le banche per migliaia di miliardi di euro, ma, in base al Trattato di Maastricht non può invece finanziare i debiti degli stati. La BCE non può soccorrere gli stati indebitati ma solvibili (come l'Italia) anche se sono colpiti dalla speculazione, ed è anche l'UNICA BANCA CENTRALE al mondo che non può farlo. Una moneta non sostenuta dalla Banca Centrale di emissione è strutturalmente fragile, pronta a sciogliersi al primo accenno di crisi monetaria.
Da questo punto di vista sono pienamente giustificate le richieste del responsabile dell'economia della Lega, Claudio Borghi – che reclama che la BCE dovrebbe avere il potere di calmierare gli spread sopra i 150 punti (1,5%) – e di Paolo Savona, il ministro per i rapporti con l'Unione Europea, per il quale la BCE dovrebbe potere intervenire in caso di attacco speculativo (come fanno tutte le altre banche centrali).
Dal momento che gli stati dell'eurozona non hanno lo scudo della BCE, essi costituiscono una facile e ricca preda per la speculazione. Senza una banca centrale prestatrice di ultima istanza gli stati sono in balia dei mercati finanziari[1]. Paradossalmente l'euro sopravvive non tanto per la sua forza intrinseca, ma perché alla grande finanza conviene mantenerlo in vita. L'euro è la moneta più adatta per colpire gli Stati più deboli e indebitati, i quali non hanno alcun scudo di fronte alla speculazione finanziaria.
Il mercato finanziario è fortemente asimmetrico: i compratori, e non i venditori, hanno il “coltello dalla parte del manico”, proprio perché gli Stati hanno completamente ceduto al mercato – cioè agli operatori privati - la sovranità monetaria. Gli investitori sono i “padroni della moneta” perché detengono un'enorme liquidità concessa loro dalle banche centrali (dalla FED americana, dalla Bank of England, dalla Bank of Japan e dalla BCE) e hanno molte alternative di investimento, mentre gli stati dell'eurozona hanno un estremo e crescente bisogno di liquidità per affrontare la crisi. Infatti, la BCE stampa moneta solo per le banche ma non per gli Stati.
Del resto l'eurozona di Maastricht è stata proprio costruita in modo tale che gli Stati più indebitati siano alla mercé del mercato e i loro contribuenti possano essere tosati come pecore indifese. Da qui la crescente divaricazione tra Stati creditori e Stati debitori, e da qui anche il declino del ceto medio risparmiatore nel mondo occidentale, di cui tanto si parla.
Più cresce il debito e più gli investitori finanziari chiedono tassi di interesse maggiori per compensare il rischio che lo Stato non paghi i suoi debiti. L'aumento degli interessi sul debito rischia così non solo di vanificare gli sforzi del governo Conte per la crescita dell'economia ma anche di mandare il Paese a gambe all'aria.
Il governo può emettere un titolo quasi-moneta senza indebitarsi con la finanza
In questa situazione, il governo potrebbe creare in piena autonomia, ma sempre nel quadro delle regole dell'eurozona, un nuovo titolo di stato convertibile in euro per ridare liquidità all'economia e finanziare i programmi di espansione della domanda (investimenti e consumi). La disponibilità di moneta è infatti essenziale per il successo di una manovra di sviluppo. Questo è nell'abc della scienza economica. Basta guardare l'esempio della Cina; l'economia cinese non sarebbe mai cresciuta se fosse dipesa completamente da un'altra moneta. Corea del Sud e Israele, pur essendo piccole nazioni, non cederebbero mai a potenze straniere la sovranità sulla loro moneta. Il controllo delle risorse monetarie è una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per fare ripartire l'economia.
Da quando siamo entrati nell'eurozona, il monopolio di emissione della moneta spetta ovviamente alla BCE e la disponibilità di moneta dipende esclusivamente dagli umori dei volatili mercati finanziari. Lo Stato Italiano non è più padrone della sua moneta ma è molto difficile riportare indietro l'orologio della storia. Siamo (disgraziatamente) dentro l'euro ed è arduo, se non impossibile, ritornare indietro. Questo governo non ha (giustamente, nelle condizioni attuali) l'obiettivo di uscire dall'euro perché l'Italexit dividerebbe il paese e, se avviata, avrebbe un esito molto incerto. Tuttavia, pur rispettando tutti i vincoli dell'Eurozona, lo Stato potrebbe recuperare una parte decisiva di sovranità monetaria con strumenti perfettamente legali.
Per fare ripartire l'economia e conquistare contemporaneamente il più ampio e convinto consenso dei cittadini e delle imprese, lo stato italiano potrebbe emettere un suo titolo quasi-moneta (così si chiamano in gergo i titoli molto liquidi, facilmente convertibili in moneta legale, cioè in euro)[2]. Questo titolo però non verrebbe messo all'asta per essere acquistato all'ingrosso dalle maggiori banche d'affari nel cosiddetto “mercato primario”, come avviene oggi per tutti i Titoli di Stato; così lo Stato non chiederebbe nulla al mercato e conseguentemente non aumenterebbe di un centesimo il suo debito con gli investitori finanziari. Il nuovo titolo verrebbe invece assegnato senza compensazione (cioè a titolo gratuito) a enti pubblici, imprese e famiglie per fare ripartire l'economia che ha sete di liquidità.
I nuovi titoli avrebbero valore certo in quanto utilizzabili per “pagare le tasse” ma non potrebbero essere utilizzati nell'anno di emissione per non generare subito un buco fiscale: avrebbero quindi una maturità differita. Sarebbero però subito negoziabili tra i soggetti privati e pubblici sul mercato secondario (al dettaglio, proprio come i Bot e i Btp) e quindi sarebbero immediatamente convertibili in euro. In questo senso i titoli fiscali (Certificati di Credito Fiscale) potrebbero subito fornire al Governo, agli enti pubblici, alle famiglie, e alle imprese le risorse necessarie per la svolta dell'economia. E a scadenza – dopo tre anni dall'emissione – questi titoli si ripagherebbero senza creare deficit per effetto del moltiplicatore fiscale e dell'aumento dell'inflazione legato alla crescita della domanda.
Un fatto è certo: finché lo Stato Italiano dipenderà esclusivamente dal mercato finanziario e dalla speculazione, l'economia non uscirà dalla crisi. La situazione rimarrà drammaticamente incerta. Gli scenari possibili sono diversi e vanno analizzati sia nel breve-medio che nel lungo periodo.
Il braccio di ferro truccato tra governo, mercati e UE. Vincono sempre i “padroni della moneta”
Come finirà il braccio di ferro tra mercati e stato? I mercati finanziari sono per loro natura caotici e imprevedibili. Tuttavia c'è sempre una logica nella loro follia. E' impossibile predire se lo spread scenderà o invece salirà a livelli insostenibili. Tuttavia nulla nel mercato avviene per caso: tutto accade secondo ragione e necessità. In questo senso voglio azzardare una scommessa basandomi su argomentazioni razionali.
I mercati sono spaventati perché credono che la nuova legge di bilancio del governo aumenterà il debito pubblico già troppo alto e non produrrà i tassi di crescita annunciati. La scommessa che faccio è che – nonostante i downgrade di Moody's e le valutazioni negative di Standard & Poor's, e nonostante le bocciature della UE - i mercati nei prossimi mesi non faranno fallire l'Italia.
Posso sbagliarmi, ma è difficile che nel prossimo futuro lo spread (certamente già troppo alto) si allontani molto dai 300 punti (3%). La previsione è basata su due elementi fondamentali: l'Italia è sicuramente solvibile; e a nessuno conviene fare fallire il nostro paese. Infatti l'Italia ha un patrimonio tassabile di oltre 4000 miliardi di ricchezza finanziaria e da ben 26 anni – con l'eccezione di due soli anni – registra surplus di bilancio primario (come abbiamo visto sopra). Gli speculatori sanno che l'Italia ha tutte le potenzialità di saldare i suoi debiti. Basterebbe una tassa patrimoniale – quella che tutti in Italia temono - per abbassare drasticamente il debito pubblico.
Tosatura della pecora-Stato, Patrimoniale e altri scenari
Una tassa sui super-ricchi non è impensabile. In Italia l'1,5% dei cittadini italiani controlla circa 800 miliardi di ricchezza finanziaria. L'Italia è abbastanza ricca per rientrare dai debiti. Del resto una patrimoniale a sorpresa costituisce da sempre l'arma segreta di un governo in forte crisi che però voglia restituire i suoi debiti. E questo gli investitori finanziari lo sanno bene. Il problema è semplicemente che la patrimoniale impoverirebbe il Paese. Infatti i soldi della patrimoniale non alimenterebbero l'economia nazionale ma andrebbero ad arricchire i bilanci degli speculatori finanziari.
C'è poi un altro motivo per cui agli investitori non converrebbe far crescere lo spread fino a livelli insostenibili. Se lo Stato italiano fosse costretto a fallire - cioè a dichiarare formalmente che non restituisce in toto o in parte i suoi debiti - molti operatori nazionali e internazionali registrerebbero forti perdite e si innescherebbe una reazione a catena che potrebbe perfino provocare una crisi globale, e che, almeno in teoria, non conviene a nessuno. Per gli investitori è certamente meglio “tosare la pecora” che ammazzarla.
Lo Stato Italiano ha un debito troppo elevato per fallire senza trascinare i creditori nella rovina. Il fallimento dell'Italia comporterebbe quasi certamente la rottura dell'eurozona, La caduta dell'Euro provocherebbe shock economici e politici che nessuno saprebbe governare. Se l'euro si spaccasse in maniera disordinata, allora la grande finanza perderebbe quasi tutto.
Da qui la mia (molto azzardata) previsione. Credo che l'Italia sarà costretta a fronteggiare operazioni di logoramento piuttosto che di scontro frontale. Tuttavia, come ho già scritto, i mercati non sono prevedibili, sono caotici, e gli operatori si muovono in ordine sparso e in maniera cieca.
Se, contrariamente alle mie attuali previsioni, lo spread salisse a livelli insostenibili si aprirebbero diversi scenari: il governo potrebbe rivedere la finanziaria in senso restrittivo oppure ricorrere a misure estreme, come appunto la patrimoniale, o a prestiti forzosi (come ha già proposto la Bundesbank); oppure potrebbe perfino fare default sul debito, rimanendo magari nell'area dell'euro; oppure il governo Conte potrebbe cadere, si andrebbe a nuove elezioni, e il nuovo governo – presumibilmente di centro-destra – ricorrerà a nuove e più stringenti misure di austerità, o invocherà l'aiuto del cosiddetto Fondo Salvastati. L'Italia finirebbe come la Grecia, commissariata dalla Troika (UE, BCE, FMI) o qualcosa di simile.
Oppure si potrebbero aprire altri scenari alternativi, come l'emissione da parte italiana di una moneta parallela (come quella proposta per esempio recentemente da Joseph Stiglitz) in vista dall'uscita dall'euro[3]; infine potrebbe essere la Germania con i suoi partner a “cacciare” l'Italia dall'eurozona per ricostituire a parte un'area del marco con valuta forte.
Un fatto è certo: nelle attuali condizioni per l'Italia non esiste una strada facile e sicura per uscire dalla crisi del debito e rilanciare l'economia. Per fare crescere l'economia senza subire le incertezze dei mercati ci vorrebbe – come abbiamo suggerito sopra - una nuova quasi-moneta nazionale.
L'agonia dell'Unione Europea. L'Italia rischia di diventare il capro espiatorio del disastro dell'eurozona
Perché l'Italia non deve farsi condizionare supinamente da questa Europa? La risposta è: perché ormai la UE da molti anni, dalla crisi greca in poi, ha perso tutta la sua forza propulsiva, ha perso credibilità, rappresenta apertamente solo gli interessi della grande finanza e degli stati creditori, degli stati più ricchi, ed è un fattore negativo e soffocante per l'economia, la politica e la società italiana.
La UE inoltre non ha denti per mordere: anche se probabilmente aprirà un procedimento sanzionatorio verso l'Italia per il mancato rispetto delle stupide regole dell'euro, al massimo dopo qualche anno, potrà comminare una sanzione pari allo 0,3% del PIL. Cioè briciole.
La UE è un vascello senza timone in un mare in tempesta, e l'euro, con i suoi vincoli deflazionistici, è diventato la malattia mortale dell'Europa. La BCE all'inizio del 2019 finirà il suo programma di espansione monetaria che è servito a tenere a galla le banche dell'eurozona e, indirettamente, i titoli di stato che la BCE ha comprato alle banche. Alla fine del 2019, o forse prima, la BCE comincerà a aumentare il tasso di interesse e il denaro diventerà più caro. La situazione europea e italiana diventerà ancora più complicata. L'Italia rischia di diventare il capro espiatorio del disastro europeo, l'anello debole della catena a cui può essere addebitato la responsabilità del naufragio dell'eurozona.
Il problema vero che gli europeisti dogmatici e i globalisti non sono mai riusciti a comprendere – e che invece la destra populista in qualche modo ha capito - è che non si può fondare un'unione politica sulla completa libertà dei mercati finanziari. I mercati speculano sui debiti degli stati più deboli; sull'attacco esplicito e dichiarato al welfare e agli stati; sulla privatizzazione dei servizi pubblici e delle infrastrutture strategiche delle nazioni; sulla più completa deregolamentazione del mercato del lavoro; mentre la UE condanna ogni tipo di politica economica a livello europeo e nazionale, che viene sanzionata come “aiuto di stato”.
Non si può fondare un'unione politica tra paesi molto diversi e in competizione tra loro concedendo la completa libertà di delocalizzazione dei capitali industriali e la permanenza di paradisi fiscali come sono il Lussemburgo, l'Irlanda, l'Olanda. Non si può fondare un'unione politica su una moneta deflattiva che soffoca lo sviluppo e concentra le ricchezze sui più ricchi.
L'euro è ormai una moneta zombie: infatti in Europa tutti preparano già il piano B nel caso di rottura dell'euro. Gli economisti tedeschi pubblicano apertamente da tempo progetti per l'uscita dall'euro, e recentemente anche su Le Monde Diplomatique alcuni tra i più noti economisti francesi hanno elaborato Piani B per ritornare alla moneta sovrana[4]. Solo in Italia si condanna un economista come Paolo Savona, reo di affermare che è indispensabile preparare un Piano B in caso di rottura dell'euro.
Tuttavia, ragionando sul piano teorico, non ci sono molti dubbi: si è rotto un sistema solido di cambi semi-fissi come quello di Bretton Woods e molto probabilmente si romperà anche l'Euro. Una grande crisi finanziaria sembra imminente e l'eurozona appare troppo fragile per resistere. Se gli stati nazionali non adotteranno sistemi flessibili di monete complementari nazionali, l'euro non sopravviverà perché il sistema della moneta unica per 19 paesi diversi è troppo rigido, e quindi intrinsecamente debole.
NOTE
[1] Non a caso, da quando c'è stato il divorzio tra il Tesoro e Bankitalia, l'Italia ha pagato agli investitori tra il 1980 ed il 2014 la bellezza di 3450 miliardi di euro (parametrati al 2014) di interessi, pari a circa due volte il PIL, una cifra di proporzioni enormi. Vedi Scenari economici: Studio Esclusivo: l’Italia ha pagato 3.447 miliardi di interessi dal 1980 (213% del PIL). Gennaio 2015
[2] Enrico Grazzini, Micromega on line “L’Italia e l’euro potrebbero rafforzarsi con l’emissione di Titoli di Sconto Fiscale”; eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro” a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino.
[3] Joseph Stiglitz, Micromega on line: “È possibile salvare l’euro?” 16 giugno 2018
[4] Le Monde Diplomatique-Il Manifesto, ottobre 2018 “Lo scenario di un braccio di ferro con i mercati” di Renaud Lambert e Sylvain Leder
fonte: MicroMega
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