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domenica 12 novembre 2017

Condannati a Provarci?

di Marco Travaglio

" La marcia antimafia di Ostia, a cui anche il Fatto ha dato un piccolo contributo raccogliendo l’appello di Virginia Raggi subito dopo il pestaggio della troupe Rai per mano (anzi, testa) del giovinastro Spada, è andata bene. Merito della sindaca che finalmente ha saputo parlare il linguaggio super partes delle istituzioni e lanciare un’iniziativa aperta a tutti, senza bandiere né polemiche di partito. Merito delle varie forze di sinistra (Grasso, Boldrini, Bersani con Mdp, SI, Civati e i dissidenti Pd Bindi ed Emiliano) e di parte del centrodestra (eccetto il Pd), oltre ai sindacati e all’Anpi, che hanno aderito.



Merito soprattutto della gente di Ostia, che ha abbandonato la paura e se n’è pure infischiata di chi, accecato dall’odio per la Raggi, suggeriva di restare a casa.
Così chi non c’era ha perso un’ottima occasione per stare dalla parte dei cittadini; e i giornaloni per capire quel che accade nella società e levarsi, almeno per un giorno, i paraocchi dell’ideologia e della bottega. Alla vigilia Il Messaggero di Caltagirone vaticinava: “Sbanda la marcia dei politici. Il rischio flop è dietro l’angolo. I residenti di Ostia non sembrano interessati”, “Marcia a rischio flop. Il gelo dei cittadini”. E Repubblica oracolava: “Cappello di Raggi sul corteo anticlan e i 5Stelle restano soli. Rischia di restare sola, la sindaca Raggi”. Certo, come no.

La manifestazione non era partitica e non deve diventarlo. Fra sette giorni, al ballottaggio, si fronteggeranno due candidate – una dei 5Stelle e una di FdI – mai sfiorate da sospetti. Rifiutare i voti di CasaPound inquinati dal clan Spada, come ha fatto la Raggi e come si spera faccia il centrodestra, è doveroso, anche se poi i cittadini nella cabina elettorale fanno come vogliono. Ma quel che accade a Ostia e in Sicilia segnala novità interessanti in vista delle Politiche di primavera. I vertici renziani del Pd, disertando la marcia per non farsi vedere accanto alla Raggi, hanno chiarito anche agli ultimi non vedenti chi è il loro nemico principale: i 5Stelle, contro cui preparano una nuova ammucchiata di potere con B. e con chi altri ci starà nel centrodestra. 

L’esatto opposto pensano le forze di sinistra che cercano faticosamente una sintesi al seguito di Piero Grasso: per loro il pericolo numero uno si chiama B. con i suoi alleati, ma soprattutto i suoi derivati renziani. Tant’è che, nel ballottaggio di Ostia, vari leader di sinistra invitano a votare 5Stelle contro il centrodestra. Il Pd invece lascia libertà di voto: scelta comprensibile, vista la polemica infuocata che oppone da anni Dem e M5S e visto che nessun partito è padrone dei voti dei propri elettori.

Ma proprio questo è il punto. In Sicilia il candidato pidino Micari ha avuto 7 punti in meno delle sue liste e il grillino Cancelleri 8 punti in più della lista 5Stelle. Molti elettori dem hanno scelto il voto disgiunto: non quello sperato dai vertici nazionali (verso Musumeci), ma il più temuto (verso il M5S). La scena potrebbe ripetersi domenica a Ostia, dove non c’è bisogno di voto disgiunto perché il Pd è fuori dal ballottaggio. E replicarsi alle Politiche del 2018, se il Pd continuerà a perdere terreno nei sondaggi. In un sistema politico imperniato su due poli vicini (centrodestra sul 35% e 5Stelle sul 30) e altri due lontani (Pd sotto il 25 e Sinistra sotto il 10), molti elettori progressisti potrebbero turarsi il naso e tradire i propri partiti per un voto utile al “male minore” fra i due poli principali. Cioè i 5Stelle. Nei collegi e dunque nel proporzionale (il Rosatellum vieta astutamente il voto disgiunto). Dopodiché, se il Pd sarà attratto da FI, anche per la spinta delle élite disperatamente aggrappate e aggreppiate ai propri privilegi, la Sinistra lo sarà dai 5Stelle. 

Perciò ha ragione Cacciari quando rimprovera l’ormai inutile, anzi dannosa rigidità grillina: non l’allergia ad alleanze preelettorali, che farebbero perdere voti a chi della solitudine incontaminata ha sempre fatto una bandiera; ma l’incapacità di volare alto e parlare agli altri elettori, più vicini o meno lontani. Un’analisi sacrosanta che ha trovato immediata conferma, sul blog di Grillo, in un post sprezzante verso le aperture appena giunte da sinistra, come se fossero la stessa cosa delle avance leghiste: “Siamo perseguitati da due stalker: Mdp (Mantenimento Della Poltrona) e Lega Nord”.
Con la Lega i 5Stelle non potranno mai allearsi per governare, perché due terzi dei loro parlamentari saranno di Centro-Sud e abbandonerebbero ipso facto il Movimento. 

L’interlocutore naturale, o comunque obbligato di un eventuale (e al momento improbabile) governo Di Maio sarebbe la Sinistra, specie se fosse guidata da uno come Grasso, estraneo alla vecchia partitocrazia, già votato da una parte dei pentastellati a presidente del Senato nel 2013 e sempre aperto al dialogo con loro. Le comuni battaglie degli ultimi mesi – per il No al referendum costituzionale, contro i voucher, il Rosatellum e gli impresentabili in Sicilia, fino all’impegno antimafia a Ostia – hanno un po’ avvicinato quei due mondi, che finora erano rimasti congelati a temperature e distanze siderali. Due mondi che le contingenze della politica condannano, volenti o nolenti, a incontrarsi. O almeno a provarci. Per ora è fantapolitica, per ragioni numeriche e reciproche diffidenze persino antropologiche. Ma tutto cambia rapidamente: mai dire mai.

Siccome il Rosatellum istiga i partiti a inscenare finte coalizioni per truffare gli elettori, nessuno pensa che M5S e Sinistra debbano partecipare al raggiro. Ma potrebbero iniziare a trattarsi con più rispetto e più maturità, scaricando la vis polemica su bersagli più meritevoli. Dopo le elezioni, il disgelo potrebbe convenire a entrambi. E soprattutto a chi vuole che l’Italia cambi davvero.
Articolo intero su Il F.Q. di oggi

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