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giovedì 2 novembre 2017
Un CLN contro B.
di Marco Travaglio
“Ah, ragazzi, scusate, dimenticavamo una cosetta: ci sarebbero poi Berlusconi e Dell’Utri indagati come mandanti delle stragi mafiose del 1993, ma non vi preoccupate, non è niente. Parliamo invece delle cose serie: il braccio destro della sindaca Appendino che fa levare una multa da 95 euro a un amico e dei delirii twittati contro Rosato dall’aspirante assessore ai rifiuti dei 5Stelle in Sicilia”.
È il sottotesto che dovrebbero pubblicare i tg Rai e Mediaset e i siti dei giornaloni che ieri hanno minimizzato o addirittura ignorato (il magnifico Tg3) la riapertura delle indagini sul leader e sull’ideatore di Forza Italia per la mattanza che insanguinò l’Italia da Firenze a Milano a Roma, uccidendo 10 innocenti e ferendone altre decine, abbattendo basiliche e musei, e aprendo la strada al primo governo B. (che infatti, appena nato, segnò la brusca fine della stagione stragista).
Capita in tutto il mondo che i politici finiscano nei guai con la giustizia. Il più delle volte si dimettono.
Ma, se restano al loro posto, vengono investiti dalla questione morale che li costringe a rispondere, a spiegare, a rendere conto, braccati come sono dalla stampa, e spesso sono proprio le loro bugie a segnare la loro fine: non per quello che han fatto, ma per quello che han (o non han) detto. Dopo infiniti precedenti, sta capitando a Trump per il Russiagate. Alla May per il braccio destro accusato di molestie. A Netanyahu per l’ennesima storia di tangenti che coinvolge lui e la sua famiglia.
Poi c’è l’Italia, dove le famiglie dei due ras del partito di maggioranza, Renzi & Boschi, sono coinvolte in scandali gravissimi. Ma si fa finta di nulla: il Duo Toscano mente sapendo di mentire, svicola, minimizza. Anche perché nessuno li incalza: stampa e tv sono organiche al sistema che vede in loro l’ultimo “argine” contro il “populismo” (parola magica e mantra demonizzante che ha sostituito “opposizione”). E siccome l’“argine” del Pd è fragile, perché non prende anzi perde voti, il sistema vuole puntellarlo con un altro argine, anch’esso deboluccio per mancanza di elettori, ma pur sempre utile a far numero: il partito fondato da un pregiudicato per frode fiscale e 8 volte prescritto per altri gravi reati e ideato da un pregiudicato per mafia.
Ieri Corriere e Repubblica, grazie alla bravura dei loro cronisti Bianconi, Palazzolo e Selvatici, hanno scoperto che il gip di Firenze ha autorizzato la Procura a riaprire le indagini a suo tempo archiviate sull’ipotesi che le stragi del 1993 siano state ordinate da (o concordate con) B. e Dell’Utri. La “giustizia a orologeria” per le prossime elezioni non c’entra nulla neanche stavolta.
La tempistica l’ha dettata l’ex boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, che sconta al 41-bis vari ergastoli per aver organizzato la strage di via D’Amelio nel 1992 e quelle del ’93 nel Continente e che per 14 mesi fino ad aprile – quand’era intercettato – si è confidato col compagno di ora d’aria, il camorrista Umberto Adinolfi, sul ruolo del Caimano in quegli eccidi.
Stava facendo una sceneggiata, sapendo di essere ascoltato?
Niente affatto, come spiega Marco Lillo a pag. 2: stava incaricando Adinolfi di portare, una volta libero, un messaggio ricattatorio a B. tramite un intermediario a Milano 3. Ma anche se fosse stato consapevole delle cimici, sarebbe altrettanto inquietante: vorrebbe dire che uno dei boss più pericolosi del mondo si ritiene in grado di ricattare B. e conosce i canali per contattarlo, oggi come 25 anni fa. L’esito più probabile dell’ennesima inchiesta sui mandanti occulti delle stragi è lo stesso di quelle precedenti: l’archiviazione, a meno che l’intermediario, o Adinolfi o lo stesso Graviano, o qualcuno legato a essi, si decida finalmente a parlare. Eventualità sempre più remota col passare degli anni, l’annebbiarsi delle memorie, la morte dei testimoni e il perpetuarsi di un sistema marcio che continua a puntare su B. come se nulla fosse accaduto.
In un paese almeno decente, attorno a B. si sarebbe creato da tempo un cordone sanitario per isolarlo e tenerlo fuori da tutti i giochi. E non per i sussurri di Graviano, tutti da verificare. Ma per quello che si sa da vent’anni ed è stato confermato dai giudici di Cassazione nella sentenza definitiva del 2013 che ha condannato Dell’Utri a 7 anni per concorso esterno.
E cioè che B. è nelle mani della mafia almeno dal 1974, quando stipulò a Milano – con la mediazione dell’amico Marcello – un patto di mutuo soccorso, poi sempre rispettato con regolari versamenti di denaro almeno fino al ’92, con i boss di Cosa Nostra: Bontate, Teresi, Di Carlo e Mangano, quest’ultimo poi scampato alla guerra di mafia e passato ai Corleonesi col padre di Graviano in virtù del rapporto privilegiato con i vecchi amici B. e Dell’Utri.
Non c’è bisogno dell’indagine riaperta a Firenze per sapere queste cose: nel Palazzo, le sanno tutti. Come sanno della trattativa Stato-mafia avviata sotto il centrosinistra nel 1992-93, conclusa dai berluscones nel ’94 e seguita da una serie di favori bipartisan a Cosa Nostra che però non hanno soddisfatto del tutto i boss detenuti.
Ora, alla vigilia del voto, si giocano due partite parallele e mortali. Quella dell’Ancien Régime, che tenta di salvarsi dall’ondata anti-sistema puntando sui soliti cavalli: quel che resta del centrosinistra e di B.. E quella dell’ala carceraria di Cosa Nostra, che tenta di salvarsi dal “fine pena mai” con l’arma prediletta, ancor più efficace delle stragi: il ricatto ai ricattabili. Perciò, su B. e Dell’Utri indagati per strage, ma soprattutto sui loro legami mafiosi già accertati, i politici e i media del sistema non vedono, non sentono e non parlano.
Chi non si rassegna a questo scenario horror ha una sola scelta: pretendere da tutti i politici perbene un Comitato di liberazione nazionale da B. e dal ricatto mafioso.[...]
fonte: Il Fatto Quotidiano
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