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giovedì 30 novembre 2017

Fazio che strazio

di Marco Travaglio


"Per misurare il peso di un politico italiano, basta vedere le domande che gli fanno i giornalisti Rai. Renzi fu omaggiato per tre anni con domandine-assist finché restò il padrone d’Italia. Poi perse il referendum, lasciò il governo e, quando si affacciava in tv, incontrava giornalisti che fino ad allora mai si erano sognati di criticarlo neppure per le giacche e le cravatte, e di botto ne approfittavano per dirgli – fuori tempo massimo – tutto quello che non gli avevano mai detto a Palazzo Chigi.



Le loro domande incalzanti, normali in qualunque democrazia, suonavano maramalde in un’Italia disabituata al giornalismo.
La stessa cosa era accaduta a B., osannato, incensato e leccato per 17 anni fino alle dimissioni del novembre 2011, e poi preso a pesci in faccia da chiunque passasse per la strada. Da allora persino Bruno Vespa prese a strapazzarlo (a suo modo, si capisce) fino a sembrare qualcosa di simile a un giornalista. Infatti l’altra sera, vedendo Fabio Fazio alle prese con B., ci è venuta un’insana nostalgia per Vespa: forse nemmeno lui sarebbe riuscito a restare silente dinanzi alle enormità dell’anziano Caimano.

L’intervista senza domande di Fazio a B. ha riportato alla ribalta l’annosa polemica sugli intrattenitori che intervistano (si fa per dire) i politici al posto dei giornalisti. Ma Fazio ha vinto vari premi giornalistici ed è stato per anni iscritto all’Albo, salvo poi uscirne per poter fare spot. E comunque, affiliato o meno all’Ordine, è un professionista capace ed esperto nel campo dell’informazione, molto più di tanti telegiornalisti doc (altrettanto scarsini in fatto di domande).

Non occorreva la tessera dell’Ordine per muovere a B. le obiezioni che qualunque italiano che abbia vissuto in Italia e non su Marte nell’ultimo quarto di secolo gli avrebbe mosso. Era lo stesso B. a suggerirle appena apriva bocca. Pareva quasi che sfidasse l’intervistatore a sbottare, che lo provocasse per farsi bloccare, che ce la mettesse tutta per farlo scompisciare. Ma Fazio niente, non raccoglieva, lasciava dire e passava oltre.

Chissà quanta gente da casa avrà pensato, mentre B. deplorava la piaga dell’evasione fiscale: “Adesso glielo dirà che ha una condanna per frode”. O, quando B. definiva Dell’Utri “prigioniero politico” e “una delle persone migliori al mondo”: “Adesso glielo dirà che è un pregiudicato per mafia”. O, quando B. annunciava una legge per vietare ai parlamentari di cambiare partito: “Gli ricorderà che lui ne ha comprati a carrettate nel ’94, nel 2006 e nel 2010, e ha una condanna prescritta per l’acquisto del senatore De Gregorio alla modica cifra di 2 milioni”.

O, quando B. parlava delle sue conoscenze di “minorenni immigrati”: “Ora gliela farà una battuta su Ruby”. Invece B. gli strappava le obiezioni di bocca e Fazio la teneva ben chiusa. Uno strazio penoso anzitutto per lui, che un tempo, quand’era a Rai3, era un ragazzo simpatico perché non si era ancora gonfiato di milioni (20 all’anno ne spende la Rai per l’originalissimo “format” di Chetempochefa, consistente in un tavolo e alcune sedie occupate da una sfilata di ospiti, quasi tutti per promuovere il libro, il disco o il film), finiva regolarmente nelle liste di proscrizione del centrodestra, anche se non se ne vedeva il perché.

Poi però si è fatto furbo, infatti B. gli ha chiesto di tornare presto da lui, tanto bene si è trovato in sua compagnia. Tutto ciò, con la distinzione fra informazione e intrattenimento, non c’entra: anche un addetto alle pulizie avrebbe saputo cosa obiettare alle balle di B. Poi però avrebbe perso il posto. Perché B. è di nuovo potente, anche se la Rai è tutta di Renzi, anzi proprio per questo.

Il 10 maggio 2008, B. era appena tornato al governo per la terza volta, ma non aveva ancora fatto in tempo a riberlusconizzare Viale Mazzini. Quella sera, ospite di Fazio, ricordai i rapporti del neopresidente del Senato, Renato Schifani, con vari soggetti poi condannati per mafia, citando fatti documentati e in gran parte noti (e poi ritenuti veri dal Tribunale di Torino) e aggiungendo una battutaccia sullo scadimento della classe politica. Apriti cielo. Fui attaccato più dal centrosinistra che dal centrodestra e la sera dopo Fabio inscenò, terreo in volto, un imbarazzante autodafé da processo staliniano, o maoista. Prima lesse un comunicato del dg Claudio Cappon (“La Rai si dissocia e manifesta nei confronti del presidente del Senato Schifani la più alta considerazione e rispetto… stigmatizza un comportamento – inaccettabile in qualsiasi programma del Servizio Pubblico – che mette in campo critiche, insulti e diffamazioni senza alcuna possibilità di contraddittorio”). Poi aggiunse: “Questa trasmissione ha sempre cercato di rispettare due principi: totale libertà di espressione a tutti gli ospiti… e non offendere nessuno, tantopiù se assente e dunque impossibilitato a difendersi… Quindi non posso che scusarmi, e a maggior ragione per il rispetto che è dovuto all’istituzione che il presidente Schifani rappresenta… Mi scuso quindi con il pubblico se ieri sera non è avvenuto quanto ho detto… Chiedo scusa…”.

Ora naturalmente nessuno chiede a Fazio di scusarsi per le non-domande a B. né per le impudiche bugie che B., grazie a lui, ha rifilato a oltre 2 milioni di telespettatori-elettori. Il contraddittorio, nel servizietto privato dei partiti, si invoca solo quando qualcuno dice qualche verità, non quando si sparano balle a raffica. A meno che l’ospite non sia un politico di opposizione (immaginate quante domande sui processi avrebbe rivolto Fazio a una Raggi o a un’Appendino, accusate non di stragi mafiose, corruzione, frode fiscale ecc., ma di una frase su una nomina e di reati colposi per una disgrazia). È questa l’unica, vera turbativa che falserà le prossime elezioni. Altro che fake news.

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