Certo, la realtà non induce all’ottimismo. Le tenebre intellettuali e il sonno della ragione continuano senza una vera soluzione di continuità. Davanti a una situazione sociale drammatica – e frutto inevitabile delle politiche di austerità europee, del potere dei mercati e della subordinazione della politica ai mercati nonché delle politiche (delle anti-politiche) delle larghe intese – governo e parlamento dovrebbero essere (e sentirsi) mobilitati a tempo pieno per cercare delle soluzioni. Da trovare in fretta, perché la crisi morde nella carne viva delle persone da troppo tempo, in un paese spinto a forza (da Monti, da Letta, dall’Europa, da Napolitano e oggi da Renzi e da questo Pd) lungo un piano inclinato fatto di recessione, impoverimento crescente, disarticolazione sociale (perfino il ceto medio si sta liquefacendo, anche se qualcuno si ostina a dire che non è così), perdita di futuro, annichilimento morale e incapacità di reazione. E invece.
E invece, ecco la riforma del Senato come diversivo. Come il più classico tra gli ‘aggeggi girevoli con più specchietti’ per attirare o meglio distogliere l’attenzione delle allodole (cioè noi); oppure, in senso figurato – e sempre secondo il dizionario della lingua italiana – ‘come espediente per attirare le persone ingenue e sprovvedute con promesse ingannatrici’.
Come un diversivo è la battaglia che Renzi sta conducendo per portare la ministra degli esteri ed essere la ministra degli esteri dell’Unione Europea. In realtà, avere la ministra Mogherini in Europa non cambia nulla se non cambia prima questaEuropa. E a questa Europa non basta chiedere (implorare) un po’ di flessibilità sul fiscal compact perché chiedere flessibilità nell’applicazione di regole irrazionali e sbagliate non serve a nulla (come invece crede Renzi e come sembra disposto a dare Mario Draghi a sostegno della crescita, ma solo sulla base di uno scambio con le riforme strutturali, inossidabile mantra neoliberista e ultima grande narrazione ideologica del novecento).
Prima infatti si devono cambiare le regole sbagliate imponendone di nuove e di giuste (neokeynesiane, da nuovo new deal europeo, da nuovo welfare, da sostegno alla domanda, nazionalizzando un sistema bancario incapace di dare credito e di sostenere l’economia e andando a tassare la rendita finanziaria e la speculazione e bloccando la sempre libera e dilagante finanza ombra). Voler rendere flessibile qualcosa di sbagliato vuol dire solo flessibilizzare l’incaprettamento dell’Europa. Un’Europa, per di più, che chiede/impone flessibilità nei mercati del lavoro ma che è rigidissima nel perseverare nell’errore dell’austerità e del fiscal compact.
Politiche sbagliate, quelle seguite da questa Europa dal 2008 (gli Usa hanno seguito strade sempre capitaliste ma diverse e ora i risultati si vedono). Certo, perfino questa Europa dovrebbe finalmente accorgersene, a meno di voler passare alla storia (non l’Europa, ma le sue cosiddette classi dirigenti, in realtà classidiligenti nel perseverare nell’errore/orrore neoliberista), come un’Europa incapace di cambiare verso davanti al disastro prodotto, perché per cambiare verso non basta scrivere al contrario le parole o farle vedere in uno specchio (lo specchio non cambia la realtà che riflette, solo la rappresenta rovesciata, ma sostanzialmente uguale).
Cambiare verso davvero significa imboccare una strada davvero di-versa. Che porti altrove. Che produca la soluzione del problema (la rimozione dell’errore e dell’orrore) e non la sua reiterazione all’infinito. Cosa che l’Europa junckeriana certamente non farà. Che non sta facendo Renzi. Che non sta facendo la Francia di Hollande, che invece di nominarlo nuovo primo ministro caccia il ministro dell’economia anti-austerity Montebourg (che aveva criticato le “letali politiche di austerità della destra tedesca”, ma che tuttavia aveva auspicato: dobbiamo fare come Renzi, forse non capendo bene ciò che vuole davvero Renzi) e incarica il primo ministro uscente Walls, neoliberista e pro-austerity, di formare un nuovo governo più neoliberista del precedente. Anche la Francia illuminista è dunque in piena tenebra e ci vuole restare. E l’incaprettamento che l’Europa (le sue classi diligenti) sta praticando su se stessa e sugli europei continua. A questo punto, si può solo forse sperare che vada in recessione anche la Germania, che crolli la fiducia delle imprese tedesche (ma la colpa è della crisi in Ucraina, ha subito replicato Angela Merkel)? Magra, cinica e controproducente soddisfazione.
Troppi sono i diversivi in circolazione (Senato, Mogherini, gli 80 Euro). Troppo egemone è l’ortodossia neoliberista (capitalista), se Hollande fa quello che fa e se ancora Angela Merkel ribadisce, con Rajoy che “dobbiamo continuare le politiche di consolidamento fiscale, deficit e debito pubblico devono avere livelli ragionevoli mentre vanno proseguite riforme strutturali che, seppur dolorose, sono necessarie per essere competitivi”.
Certo, quando Renzi dice che la riforma del Senato (come quella elettorale) ce la chiede l’Europa non sbaglia, perché si inserisce perfettamente nelle logiche da Contro-Riforma che l’Europa persegue da anni. Contro-Riforma capitalista: controla Riforma democratica del capitalismo che l’Europa aveva avviato nella seconda metà nel ‘900 inventando lo stato sociale, una democrazia più partecipativa, le nazionalizzazioni, le politiche industriali e sociali e ampliando (anche se con fatica e molte resistenze) il campo dei diritti e introducendo quelli sociali, dopo quelli civili e politici.
Una Contro-Riforma quella in corso (contro la democratizzazione del capitalismo e per la trasformazione autoritaria e anti-democratica della società in capitalismo puro e degli uomini in impresa) che il neoliberismo persegue con ostinazione e caparbietà da trent’anni, così come la Chiesa cattolica perseguiva la sua Controriforma contro la Riforma protestante. Un contro-riformismo per de-democratizzare la società e il potere (de-democratizzando il capitalismo), ma soprattutto per produrre un uomo nuovo capace di adattarsi (e solo di adattarsi) al capitalismo, senza più osare chiedere di modificarlo. Per il libero potere delle oligarchie (libere oligarchie in nessuno stato) e senza più la lentezza e il fastidio della democrazia. Per una Europa senza più società. Per un cittadino solo (s)oggetto economico.
Torniamo invece alla Costituzione (che è strettamente progettuale e programmatica). E facciamo riforme vere e non più controriforme (come il Jobs Act; e basta diversivi). Secondo quei principi scritti appunto in Costituzione, ma che sono indicati anche, ad esempio, nell’articolo 3 del Trattato dell’Unione europea, ovvero: “l’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociale”.
Riforme. Davvero strutturali. E quindi, abolire l’articolo 81 della Costituzione, quell’autentico corpo estraneo che impone un pareggio di bilancio per rispettare il quale si devono non-rispettare (come non sono stati rispettati) – cioè violare – almeno altri 20 articoli della stessa Carta.
Certo, per fare questo bisogna uscire dalla Contro-Riforma capitalista e dalla Chiesa contro-riformista di Bruxelles & di Francoforte & soprattutto della Germania (un paradosso della storia) e dalle sue Inquisizioni (le trojke). E ri-cominciare (almeno) una nuova Riforma (una ri-democratizzazione) del capitalismo.
Repetita iuvant. Forse.
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