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martedì 12 agosto 2014

Basta euro, o l’Italia è condannata

Nel sistema economico attuale la moneta che definiremo “pubblica” è creata da banche centrali indipendenti dalpotere politico, mentre lo Stato non può stampare moneta ma può agire esclusivamente attraverso il debito, un tipo di intervento che alla lunga può diventare insostenibile. D’altra parte, le banche private per mezzo del credito hanno la possibilità di creare liberamente una moneta che si può considerare di origine “privata”. Più precisamente, quando c’è crescita le banche private tendono a concedere prestiti molto generosi amplificando l’espansione, ma quando scoppia una crisi queste banche esasperano le difficoltà poiché in presenza di aspettative negative restringono il credito e quindi riducono l’offerta di moneta all’economia reale. E’ proprio durante una crisi che diventa cruciale il ruolo della moneta pubblica per sostenere l’economia.
Ma chi ha detto che il monopolio dell’emissione di moneta pubblica in capo alla banca centrale rappresenta il sistema più efficiente per contrastare unacrisi? Perché lo Stato non può creare moneta in una fase dicrisi? Se consideriamo il patrimonio economico e la legittimazione democratica, lo Stato è in grado di dare garanzie ben maggiori sul valore della moneta rispetto allebanchecentrali, che possiedono lingotti d’oro e non hanno nessuna responsabilità sociale. Se lo Stato creasse moneta la banca centrale ne perderebbe il monopolio. Per questo la proposta che abbiamo fatto è eversiva: i titoli di Stato dovrebbero funzionare non solo come riserva di valore ma anche come strumento di pagamento, e cioè dovrebbero circolare ed essere scambiati sul mercato per finanziare spese correnti e in conto capitale.
Eppure vi sono esperienze storiche in cui lo Stato ha creato la moneta: ai tempi di Abraham Lincoln negli Stati Uniti e con Hjalmar Schacht, ministro dell’economianonché presidente della Reichsbank nella Germania degli anni Trenta. Il presidente Lincoln aveva bisogno di denaro per finanziare la guerra civile e i banchieri internazionali gli offrirono un prestito al 24–36% di interesse; Lincoln rifiutò la loro richiesta perché non voleva gettare la nazione in un debito insostenibile e avanzò una proposta al Congresso affinché approvasse una legge che autorizzasse a stampare banconote del Tesoro degli Stati Uniti. Così Lincoln ignorò le pressioni dei banchieri e fece stampare oltre 400 milioni di dollari per pagare i soldati e gli impiegati e per comprare le forniture per la guerra. Le banconote statali permisero di finanziare le spese militari dell’esercito nordista che nel giro di un paio di anni riuscì a prevalere sulla confederazione sudista.
Oggi dobbiamo considerare la possibilità di superare il monopolio dellebanchecentrali che, essendo indipendenti dai governi democraticamente eletti, non hanno alcuna responsabilità sociale e lavorano con altri obiettivi rispetto a quello di assicurare il benessere collettivo. Al riguardo Marx scrisse: «La Banca d’Inghilterra, fondata nel 1694, cominciò col prestare il suo denaro al governo all’otto per cento; contemporaneamente fu autorizzata dal Parlamento a batter moneta con lo stesso capitale, tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in forma di banconote. Con queste banconote essa poteva scontare cambiali, concedere anticipi su merci e acquistare metalli nobili. A poco a poco divenne inevitabilmente il serbatoio dei tesori metallici del paese e il centro di gravitazione di tutto il credito commerciale».
Mettere in discussione il monopolio della banca centrale è un’idea che va contro tutte le convinzioni dominanti. Però, non possiamo nasconderci che in questa fase dicrisiprolungata il sistema attuale non sta funzionando: gli Stati non possono continuare a espandere l’indebitamento per creare lavoro e assicurare un reddito dignitoso a tutti, poiché il costo del debito impedisce l’espansione dell’economia. Ildebito pubblicoè diventato ormai una forma di schiavitù che sta mettendo a rischio l’esistenza dello stato sociale e la possibilità di realizzare una convivenza civile nella maggior parte delle società occidentali. Se fosse emessa una moneta statale – i titoli pubblici lo potrebbero essere – verrebbe intaccato il monopolio della Banca centrale europea, colpendo alle fondamenta l’edificio della moneta unica. Sarà la storia a dire se l’euro riuscirà a sopravvivere senza che vi siano cambiamenti radicali, oppure se sarà destinato a crollare sotto il peso di una disoccupazione e di una povertà insostenibili.
(Paolo Sylos Labini e Giorgio Ruffolo, “Ridiamo la moneta allo Stato”, intervento pubblicato da “Il Manifesto” il 26 luglio 2014 e ripreso dal blog di Sylos Labini).
Nel sistema economico attuale la moneta che definiremo “pubblica” è creata da banche centrali indipendenti dalpotere politico, mentre lo Stato non può Giorgio Ruffolostampare moneta ma può agire esclusivamente attraverso il debito, un tipo di intervento che alla lunga può diventare insostenibile. D’altra parte, le banche private per mezzo del credito hanno la possibilità di creare liberamente una moneta che si può considerare di origine “privata”. Più precisamente, quando c’è crescita lebanche private tendono a concedere prestiti molto generosi amplificando l’espansione, ma quando scoppia una crisi queste banche esasperano le difficoltà poiché in presenza di aspettative negative restringono il credito e quindi riducono l’offerta di moneta all’economia reale. E’ proprio durante una crisi che diventa cruciale il ruolo della moneta pubblica per sostenere l’economia.

Ma chi ha detto che il monopolio dell’emissione di moneta pubblica in capo alla banca centrale rappresenta il sistema più efficiente per contrastare una crisi? Perché lo Stato non può creare moneta in una fase di crisi? Se consideriamo il patrimonio economico e la legittimazione democratica, lo Stato è in grado di dare garanzie ben maggiori sul valore della moneta rispetto alle banche centrali, che possiedono lingotti d’oro e non hanno nessuna responsabilità sociale. Se lo Stato creasse moneta la banca centrale ne perderebbe il monopolio. Per questo la proposta che abbiamo fatto è eversiva: i titoli di Stato dovrebbero funzionare non solo come riserva di valore ma anche come strumento di pagamento, e cioè dovrebbero circolare ed essere scambiati sul mercato per finanziare spese correnti e in conto capitale.
Eppure vi sono esperienze storiche in cui lo Stato ha creato la moneta: ai tempi di Abraham Lincoln negli Stati Uniti e con Hjalmar Schacht, ministro dell’economia nonché presidente della Reichsbank nella Germania degli anni Trenta. Il presidente Lincoln aveva bisogno di denaro per finanziare la guerra civile e i banchieri internazionali gli offrirono un prestito al 24–36% di interesse; Lincoln rifiutò la loro richiesta perché non voleva gettare la nazione in un debito insostenibile e avanzò una proposta al Congresso affinché approvasse una legge che autorizzasse a stampare banconote del Tesoro degli Stati Uniti. Così Lincoln ignorò le pressioni dei banchieri e fece stampare oltre 400 milioni di dollari per pagare i soldati e gli impiegati e per comprare le forniture per la guerra. Le banconote statali permisero di Paolo Sylos Labinifinanziare le spese militari dell’esercito nordista che nel giro di un paio di anni riuscì a prevalere sulla confederazione sudista.
Oggi dobbiamo considerare la possibilità di superare il monopolio delle banche centrali che, essendo indipendenti dai governi democraticamente eletti, non hanno alcuna responsabilità sociale e lavorano con altri obiettivi rispetto a quello di assicurare il benessere collettivo. Al riguardo Marx scrisse: «La Banca d’Inghilterra, fondata nel 1694, cominciò col prestare il suo denaro al governo all’otto per cento; contemporaneamente fu autorizzata dal Parlamento a batter moneta con lo stesso capitale, tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in forma di banconote. Con queste banconote essa poteva scontare cambiali, concedere anticipi su merci e acquistare metalli nobili. A poco a poco divenne inevitabilmente il serbatoio dei tesori metallici del paese e il centro di gravitazione di tutto il credito commerciale».
Mettere in discussione il monopolio della banca centrale è un’idea che va contro tutte le convinzioni dominanti. Però, non possiamo nasconderci che in questa fase di crisi prolungata il sistema attuale non sta funzionando: gli Stati non possono continuare a espandere l’indebitamento per creare lavoro e assicurare un reddito dignitoso a tutti, poiché il costo del debito impedisce l’espansione dell’economia. Il debito pubblico è diventato ormai una forma di schiavitù che sta mettendo a rischio l’esistenza dello stato sociale e la possibilità di realizzare una convivenza civile nella maggior parte delle società occidentali. Se fosse emessa una moneta statale – i titoli pubblici lo potrebbero essere – verrebbe intaccato il monopolio della Banca centrale europea, colpendo alle fondamenta l’edificio della moneta unica. Sarà la storia a dire se l’euro riuscirà a sopravvivere senza che vi siano cambiamenti radicali, oppure se sarà destinato a crollare sotto il peso di una disoccupazione e di una povertà insostenibili.
(Paolo Sylos Labini e Giorgio Ruffolo, “Ridiamo la moneta allo Stato”, intervento pubblicato da “Il Manifesto” il 26 luglio 2014 e ripreso dal blog di Sylos Labini, gestito dall’associazione che si richiama al grande economista scomparso nel 2005 , nella quale milita l’ex ministro e saggista Ruffolo).

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