di Paolo Flores d’Arcais, da il Fatto quotidiano, 22 luglio 2014
Ho aderito subito con entusiasmo alle 10 proposte “aperte” lanciate dal Fatto Quotidiano. Con entusiasmo, perché l’iniziativa voluta da Antonio Padellaro, Marco Travaglio e Peter Gomez riprende la più nobile tradizione del grande giornalismo americano dall’epoca di Thomas Jefferson: l’impegno politico diretto delle testate democratiche. Allora, perché ancora inesistenti i grandi partiti politici rappresentativi, oggi in Italia perché ormai autoreferenziali, “rappresentativi” solo del kombinat affaristico-politico-corruttivo che caratterizza innanzitutto e per lo più l’establishment del nostro paese.
Esiste certamente un’opposizione parlamentare, che si esprime in sostanza esclusivamente nel Movimento 5 Stelle, il cui carattere ondivago e la cui struttura organizzativa e comunicativa “proprietaria” si sono però dimostrati deleteri di fronte alla potenza della tenaglia messa in atto dal patto Renzi-Berlusconi propiziato dal lord protettore del nuovo regime: Giorgio Napolitano.
In questa situazione, del resto, che nel servo encomio dei media verso il governo vede ormai la normalità, il giornalismo-giornalismo, proprio per essere tale, imparziale (che è cosa diversissima da equidistante) e soggetto solo alle “modeste verità di fatto” (senza il rispetto delle quali, ammoniva Hannah Arendt, ci si è già incamminati sulla via del totalitarismo) deve farsi anche, e sempre più spesso, direttamente agire politico.
Quanto al merito dei dieci punti, presentati come aperti, sottoscrivo sine glossa il 3 (opposizione), il 4 (immunità parlamentare), il 5 (Capo dello Stato), il 7 (magistratura e politica), l’8 (procuratori e pm), il 9 (informazione) e il 10 (cittadini attivi). Sul 6 (Csm) credo che i membri togati andrebbero semplicemente estratte a sorte (anziché votati “su una provvista” di estratti a sorte) poiché altrimenti il monopolio delle correnti (e cordate) sarebbe bensì indebolito ma non certo dissolto. I punti 1 e 2 mi sembrano invece i più deboli: penso che il senato andrebbe in effetti abrogato, oppure sostituito con un’assemblea non-legislativa, di “difensori civici”, composta dai sindaci (o loro delegati ) delle 50 città più popolose e da 50 estratti a sorte, con rotazione annuale, tra quelli delle altre città con più di 15 mila abitanti. Ma soprattutto di soli 100 membri dovrebbe essere composta la Camera dei deputati (legislativa) eletta per i due terzi in collegi uninominali col doppio turno (i due più votati vanno al ballottaggio se nessuno ha superato nel primo il 50 per cento: doppio turno all’italiana, come per i sindaci, visto che in Francia al secondo turno può accedere chiunque superi il 12,5 per cento). Un terzo, invece, con proporzionale in un solo collegio nazionale e con una sola preferenza. In tal modo i deputati conterebbero davvero (non vi sarebbero più “peones”) e i loro elettori potrebbero controllarli assai di più. E si metterebbe con le spalle al muro pro prio il finto riformismo di Renzi, contrapponendo al suo accordo con Berlusconi la radicalità di una riforma che abbatte i costi, restituisce autonomia e dignità all’eletto, consente di avere un vincitore la sera stessa del voto, ma non rende il governo padrone incontrastato della vita pubblica.
Sono proposte non nuove (lungamente argomentate su MicroMega fin dal giugno 1986). Che si oppongono con logica di riformismo autentico alla legge elettorale di Renzi/Berlusconi “italicum”, la peggiore in assoluto, la vera tabe autoritaria del pacchetto di “riforme” renziane, una legge mega-truffa che oltretutto consentirebbe a infinite liste “Forza Dudù” (non è uno scherzo, Berlusconi le ha fatte sottoporre a test dalla sua sondaggista di fiducia) di fare massa per un anticostituzionale mega-premio di coalizione.
Restano però essenziali due altri punti: un finanziamento della politica esclusivamente pubblico (tranne i piccoli oboli delle sottoscrizioni tradizionali dei militanti), che consista in risorse comunicative eguali per tutti (spazi radiotelevisivi, piazza a teatri attrezzati, ecc.) e un sistema di incompatibilità che vada assai oltre una legislazione sul conflitto d’interessi e impedisca le indecenze di ex “statisti” che diventano consulenti di multinazionali (Blair, Schroeder, ecc.). Si tratta, insomma, di rendere impossibile, a monte e a valle, ogni commistione di ruoli tra vita pubblica e incarichi privati, oltre che ogni passaggio, in entrambe le direzioni, tra incarichi di nomina politica e vita politica stessa.
E resta infine il capitolo su cui andrà ingaggiata la lotta cruciale, quello della giustizia, su cui l’asse Renzi-Berlusconi giocherà il vero jolly piduista. Lo sta già giocando, in realtà. Come dimostra l’agghiacciante sentenza, per la gioia dei Ferrara e Santanchè, che ha rottamato la legge eguale per tutti e codificato che chi ha potere non compie alcun reato se interviene presso un funzionario di polizia (o altro servitore dello Stato, cioè della “legge eguale per tutti”) perché non segua il dettato delle norme ma affidi la “vicenda” di sua competenza alle cure di una qualche signorina delegata dallo stesso potente di turno.
Sulla questione giustizia alla ripresa autunnale bisognerà dunque impegnarsi davvero nell’azione politica di massa, con un progetto giustizialista organico, manicheo, la legalità eguale o la “legalità” secondo potere e prepotenza, altrimenti il ventennio che continua a non finire, a perpetuarsi con nuove e più accattivanti maschere, distruggerà quello che resta di giustizia e libertà, di Costituzione e decenza, insomma dell’Italia repubblicana nata dalla Resistenza.
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