Intervista all'economista Alberto Bagnai
Nel Manifesto di solidarietà si parla di un'uscita controllata dall'unione monetaria. Non si tratta di utopia. Dietro al progetto per salvare un'Europa che i tecnocrati di Bruxelles stanno facendo capitolare in un abisso senza fondo c'è una tesi economica ben documentata, una sorta di exit strategy, per salvare l'Italia e tutti i Paesi dell'Eurozona dall'abbraccio mortale dell'euro.
Questo manifesto è stato sottoscritto anche da Alberto Bagnai, professore associato di Politica economica all'Università di Perugia, che nel libro Il tramonto dell'euro spiega chiaramente come e perché la fine della moneta unica salverebbe non solo il benessere del Vecchio Continente, ma anche la democrazia. "Se i Paesi del Nord non dovessero accettare di uscire dall'euro seguendo un iter concordato - spiega - l'Italia dovrà andarsene il prima possibile fuggendo da questa trappola".
Professor Bagnai, in Europa il vento sta cambiando. Queste elezioni potrebbero essere la vera chiave di volta?
"Il voto di fine mese è un referendum sull'euro, più esattamente sul modello di Europa che ha scelto come strumento di indirizzo politico l'euro. Sin dagli anni Settanta l'integrazione monetaria è stata scelta dai padri fondatori per condurre tutti i popoli europei all'unione politica. L'euro è insostenibile, e lo vediamo tutti dopo, ma lo si sapeva anche prima."
Chi sapeva?
"I padri fondatori, come Albertini, Spinelli, Prodi, Padoa Schioppa e Ciampi, sapevano benissimo - e lo hanno pure detto più volte - che una moneta unica sarebbe stata insostenibile per Paesi così diversi ma, creando delle crisi, avrebbe spinto i popoli a unirsi. Sicuramente quando dicevano, con grande lucidità queste cose, questi politici hanno sottovalutato il fatto che crisi economica significa anche morte ed esclusione sociale. Contro questo modello di uso della violenza economica per un fine politico si stanno ribellando i cittadini europei."
L'euro non ha mai unificato l'Europa, nemmeno in momenti di prosperità...
"A lungo ci è stata raccontata la bufala secondo cui una comune moneta crea una comune identità. In realtà il disegno era creare istituzioni comuni che avrebbero dovuto essere adottate come risposta alla crisi. Tuttavia, proprio per il fatto che un tedesco rimane diverso da un italiano per il semplice fatto che parlano lingue diverse, queste istituzioni comuni fatalmente diventano meno democratiche perché un elettore ha un controllo già abbastanza scarso sui politici che parlano la sua stessa lingua e che lui elegge, figuriamoci che controllo può avere su politici che parlano lingue diverse e che per di più lui non elegge. In questo momento l'Europa è retta da una commissione di non eletti e da una Banca centrale di non eletti. Quando quindi si parla di cedere sovranità, cioè democrazia, bisognerebbe per lo meno accertarsi che la si ceda a istituzioni altrettanto democratiche. In Europa è impossibile che questo accada."
I pensatori euroscettici sono stati sempre tacciati di pazzia. Perché questa feroce campagna mediatica contro di voi?
"L'euro nasce da un processo che è stato voluto da quella politica corrotta che lo stesso euro avrebbe dovuto moralizzare. Così, da quando il partito comunista, dopo essersi schierato nel 1978 contro l'unificazione monetaria, si è accodato con tutta la vecchia politica (corrotta o non corrotta) al disegno europeista, il dibattito è stato ampiamente falsato. Per uno studioso come me, che si occupa di economia monetaria internazionale, la situazione è schizofrenica: ai convegni internazionali ascolto teorie che in televisione ancora oggi sarebbero considerate eretiche. La campagna diffamatoria contro chi critica l'euro è una conseguenza dell'incapacità della vecchia politica di ammettere i propri fallimenti."
Perché?
"Dal punto di vista della scienza economica il dibattito sull'euro non è mai esistito. Si è saputo, almeno dal 1957, data dei Trattati di Roma, che l'Europa non avrebbe mai potuto darsi una moneta unica."
Ma uscire dall'euro si può o no?
"Questo è, innanzitutto, un problema politico."
In che senso?
"La decisione è stata politica. Serviva, infatti, a guidare i popoli europei verso un certo obiettivo. Tuttavia, adesso, i politici svicolano dai loro compiti e chiedono aiuto ai tecnici. Negli ultimi cento anni abbiamo assistito a centinaia di dissoluzioni di unioni monetarie. Nel caso dell'Europa ci sono grosse difficoltà a prevedere i possibili scenari perché i percorsi di smantellamento sono plurimi: l'euro rimane se, per esempio, la Germania se ne va e lascia l'euro ai Paesi del Sud; l'euro non rimane se Paesi come la Francia e l'Italia se ne vanno; l'euro raddoppia se, come propongono Luigi Zingales e Joseph Stiglitz, si decide di segmentare la moneta in euro del nord ed euro del sud. Insomma, in assenza di una guida politica è molto difficile capire quali dei possibili scenari potrebbe presentarsi e, quindi, ragionare sugli eventuali costi."
Qual è l'ipotesi migliore per l'Italia?
"In un'ottica europea la strada migliore è che i Paesi del Nord si separino progressivamente seguendo un iter di smantellamento concordato. In questo modo i costi sarebbero contenuti e si eviterebbe il panico sui mercati finanziari. Dal punto di vista italiano i costi dipendono dal timing. Se dobbiamo uscire unilateralmente, prima lo facciamo meglio è."
Perché?
"Ogni giorno muore un'impresa o un imprenditore. Prolungando questa agonia rischiamo di arrivare a una situazione in cui, rendendo potenzialmente convenienti le nostre esportazioni, il riallineamento del cambio urterebbe contro il problema che non ci sarebbero più imprese in grado di produrre beni da vendere all'estero."
Chi ci guadagna a tenere i Paesi dell'Eurozona ancorati alla moneta unica?
"Una valuta forte favorisce le imprese che delocalizzano, cioè portano produzione e lavoro all'estero. Se l'Italia ha una valuta forte diventa più facile acquistare, per esempio un impianto in Romania. Una volta prodotto il bene, però, non può essere venduto al romeno perché troppo costoso per le sue tasche. Pertanto va riportato in Italia. A quel punto la valuta forte avvantaggia ulteriormente l'imprenditore nella reimportazione del bene. Basta, quindi, andare a vedere chi ha fatto questo tipo di operazione. Due esempi noti, fra quelli intervenuti nel dibattito, sono Della Valle e Squinzi che hanno delocalizzato massicciamente. Non deve dunque stupire se in questo periodo la Confindustria, che è guidata da industriali che hanno delocalizzato all'estero, sia ferocemente avversa all'ipotesi di uscita dall'euro. Al contrario le piccole e medie imprese che hanno deciso di mantenere le linee produttive in Italia sono contrarie, ma non hanno una voce. La Confapi è stata di fatto radiata dal dibattito."
E nel mondo accademico?
"Ci sono casi sorprendenti, come quello di Alberto Alesina che nel 1997 definiva l’euro “un rischio da non correre”, e oggi che il rischio si è materializzato chiede dalle colonne del Corriere della Sera qualsiasi sacrificio pur di difendere la moneta unica. Non so se si tratti di convenienza personale o più semplicemente di conformismo, una malattia professionale degli economisti. Poi, certo, gli squilibri che l’euro crea sono una miniera d’oro per istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale, che su questi squilibri prosperano e acquistano potere politico, e naturalmente per quella parte del mondo accademico che ruota attorno ad esse."
E per quanto riguarda il sistema delle banche?
"Naturalmente è avvantaggiato da tutto quello che facilita la possibilità per consumatori e imprese di indebitarsi. L'euro si inserisce, infatti, in un disegno di finanziarizzazione del capitalismo dove si tende a comprimere la retribuzione dei lavoratori, con un aumento della disuguaglianza. Nel momento in cui il lavoratore guadagna come prima ma è molto più produttivo di prima, sul mercato vengono immessi più prodotti che possono essere comprati. Se però i salari sono gli stessi di prima, bisogna indebitarsi per fare acquisti. Ed è in questo contesto che il sistema finanziario si arricchisce. Tutto quello che facilita la capacità di cittadini, cittadini e imprese di indebitarsi va ovviamente a favore di chi offre credito. E l'euro ha enormemente facilitato questo processo."
Il famoso dividendo dell'euro...
"La riduzione dei tassi era un'opportunità ma soprattutto un costo, perché i tassi d'interesse bassi e l'abolizione di rischio di cambio hanno sicuramente favorito un indebitamento eccessivo di tanti operatori. Pur essendo ostile il sistema bancario non può continuare a vivere di una situazione di regole che di fatto impediscono la creazione di valore attraverso industria, commercio e servizi."
E la finanza da che parte sta?
"L'euro è condannato dalla storia. Abbiamo visto cadere, nel giro di meno di un secolo, il gold standard, accordo di cambi fissi basato su un ancoraggio con l'oro, e il sistema di Bretton Woods, sistema di cambi fissi basato su un ancoraggio con il dollaro. Ora vedremo cadere anche l'euro che è un sistema di cambi fissi basato sull'ancoraggio col niente perché è una moneta che dietro non ha neanche uno Stato, cioè quell'istituzione che da sempre è stata garante del sistema monetario.
Chi sapeva?
"I padri fondatori, come Albertini, Spinelli, Prodi, Padoa Schioppa e Ciampi, sapevano benissimo - e lo hanno pure detto più volte - che una moneta unica sarebbe stata insostenibile per Paesi così diversi ma, creando delle crisi, avrebbe spinto i popoli a unirsi. Sicuramente quando dicevano, con grande lucidità queste cose, questi politici hanno sottovalutato il fatto che crisi economica significa anche morte ed esclusione sociale. Contro questo modello di uso della violenza economica per un fine politico si stanno ribellando i cittadini europei."
L'euro non ha mai unificato l'Europa, nemmeno in momenti di prosperità...
"A lungo ci è stata raccontata la bufala secondo cui una comune moneta crea una comune identità. In realtà il disegno era creare istituzioni comuni che avrebbero dovuto essere adottate come risposta alla crisi. Tuttavia, proprio per il fatto che un tedesco rimane diverso da un italiano per il semplice fatto che parlano lingue diverse, queste istituzioni comuni fatalmente diventano meno democratiche perché un elettore ha un controllo già abbastanza scarso sui politici che parlano la sua stessa lingua e che lui elegge, figuriamoci che controllo può avere su politici che parlano lingue diverse e che per di più lui non elegge. In questo momento l'Europa è retta da una commissione di non eletti e da una Banca centrale di non eletti. Quando quindi si parla di cedere sovranità, cioè democrazia, bisognerebbe per lo meno accertarsi che la si ceda a istituzioni altrettanto democratiche. In Europa è impossibile che questo accada."
I pensatori euroscettici sono stati sempre tacciati di pazzia. Perché questa feroce campagna mediatica contro di voi?
"L'euro nasce da un processo che è stato voluto da quella politica corrotta che lo stesso euro avrebbe dovuto moralizzare. Così, da quando il partito comunista, dopo essersi schierato nel 1978 contro l'unificazione monetaria, si è accodato con tutta la vecchia politica (corrotta o non corrotta) al disegno europeista, il dibattito è stato ampiamente falsato. Per uno studioso come me, che si occupa di economia monetaria internazionale, la situazione è schizofrenica: ai convegni internazionali ascolto teorie che in televisione ancora oggi sarebbero considerate eretiche. La campagna diffamatoria contro chi critica l'euro è una conseguenza dell'incapacità della vecchia politica di ammettere i propri fallimenti."
Perché?
"Dal punto di vista della scienza economica il dibattito sull'euro non è mai esistito. Si è saputo, almeno dal 1957, data dei Trattati di Roma, che l'Europa non avrebbe mai potuto darsi una moneta unica."
Ma uscire dall'euro si può o no?
"Questo è, innanzitutto, un problema politico."
In che senso?
"La decisione è stata politica. Serviva, infatti, a guidare i popoli europei verso un certo obiettivo. Tuttavia, adesso, i politici svicolano dai loro compiti e chiedono aiuto ai tecnici. Negli ultimi cento anni abbiamo assistito a centinaia di dissoluzioni di unioni monetarie. Nel caso dell'Europa ci sono grosse difficoltà a prevedere i possibili scenari perché i percorsi di smantellamento sono plurimi: l'euro rimane se, per esempio, la Germania se ne va e lascia l'euro ai Paesi del Sud; l'euro non rimane se Paesi come la Francia e l'Italia se ne vanno; l'euro raddoppia se, come propongono Luigi Zingales e Joseph Stiglitz, si decide di segmentare la moneta in euro del nord ed euro del sud. Insomma, in assenza di una guida politica è molto difficile capire quali dei possibili scenari potrebbe presentarsi e, quindi, ragionare sugli eventuali costi."
Qual è l'ipotesi migliore per l'Italia?
"In un'ottica europea la strada migliore è che i Paesi del Nord si separino progressivamente seguendo un iter di smantellamento concordato. In questo modo i costi sarebbero contenuti e si eviterebbe il panico sui mercati finanziari. Dal punto di vista italiano i costi dipendono dal timing. Se dobbiamo uscire unilateralmente, prima lo facciamo meglio è."
Perché?
"Ogni giorno muore un'impresa o un imprenditore. Prolungando questa agonia rischiamo di arrivare a una situazione in cui, rendendo potenzialmente convenienti le nostre esportazioni, il riallineamento del cambio urterebbe contro il problema che non ci sarebbero più imprese in grado di produrre beni da vendere all'estero."
Chi ci guadagna a tenere i Paesi dell'Eurozona ancorati alla moneta unica?
"Una valuta forte favorisce le imprese che delocalizzano, cioè portano produzione e lavoro all'estero. Se l'Italia ha una valuta forte diventa più facile acquistare, per esempio un impianto in Romania. Una volta prodotto il bene, però, non può essere venduto al romeno perché troppo costoso per le sue tasche. Pertanto va riportato in Italia. A quel punto la valuta forte avvantaggia ulteriormente l'imprenditore nella reimportazione del bene. Basta, quindi, andare a vedere chi ha fatto questo tipo di operazione. Due esempi noti, fra quelli intervenuti nel dibattito, sono Della Valle e Squinzi che hanno delocalizzato massicciamente. Non deve dunque stupire se in questo periodo la Confindustria, che è guidata da industriali che hanno delocalizzato all'estero, sia ferocemente avversa all'ipotesi di uscita dall'euro. Al contrario le piccole e medie imprese che hanno deciso di mantenere le linee produttive in Italia sono contrarie, ma non hanno una voce. La Confapi è stata di fatto radiata dal dibattito."
E nel mondo accademico?
"Ci sono casi sorprendenti, come quello di Alberto Alesina che nel 1997 definiva l’euro “un rischio da non correre”, e oggi che il rischio si è materializzato chiede dalle colonne del Corriere della Sera qualsiasi sacrificio pur di difendere la moneta unica. Non so se si tratti di convenienza personale o più semplicemente di conformismo, una malattia professionale degli economisti. Poi, certo, gli squilibri che l’euro crea sono una miniera d’oro per istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale, che su questi squilibri prosperano e acquistano potere politico, e naturalmente per quella parte del mondo accademico che ruota attorno ad esse."
E per quanto riguarda il sistema delle banche?
"Naturalmente è avvantaggiato da tutto quello che facilita la possibilità per consumatori e imprese di indebitarsi. L'euro si inserisce, infatti, in un disegno di finanziarizzazione del capitalismo dove si tende a comprimere la retribuzione dei lavoratori, con un aumento della disuguaglianza. Nel momento in cui il lavoratore guadagna come prima ma è molto più produttivo di prima, sul mercato vengono immessi più prodotti che possono essere comprati. Se però i salari sono gli stessi di prima, bisogna indebitarsi per fare acquisti. Ed è in questo contesto che il sistema finanziario si arricchisce. Tutto quello che facilita la capacità di cittadini, cittadini e imprese di indebitarsi va ovviamente a favore di chi offre credito. E l'euro ha enormemente facilitato questo processo."
Il famoso dividendo dell'euro...
"La riduzione dei tassi era un'opportunità ma soprattutto un costo, perché i tassi d'interesse bassi e l'abolizione di rischio di cambio hanno sicuramente favorito un indebitamento eccessivo di tanti operatori. Pur essendo ostile il sistema bancario non può continuare a vivere di una situazione di regole che di fatto impediscono la creazione di valore attraverso industria, commercio e servizi."
E la finanza da che parte sta?
"L'euro è condannato dalla storia. Abbiamo visto cadere, nel giro di meno di un secolo, il gold standard, accordo di cambi fissi basato su un ancoraggio con l'oro, e il sistema di Bretton Woods, sistema di cambi fissi basato su un ancoraggio con il dollaro. Ora vedremo cadere anche l'euro che è un sistema di cambi fissi basato sull'ancoraggio col niente perché è una moneta che dietro non ha neanche uno Stato, cioè quell'istituzione che da sempre è stata garante del sistema monetario.
Andrea Indini
Fonte: www.ilgiornale.it
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