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di Piero Bevilacqua, da il manifesto, 9 maggio 2014
La scena di Genny ‘a Carogna, il capo-curva napoletano che tiene in scacco una manifestazione sportiva a cui partecipano decine di migliaia di spettatori, presenziata da alcune fra le maggiori cariche dello Stato, seguita in tv da milioni di spettatori, è stata resa possibile solo dalla violenza plebea e dallo sterminato squallore che caratterizza da anni l’ambiente calcistico italiano? O non è piuttosto la manifestazione drammatica, l’ultimo gradino di degradazione cui è giunta la decomposizione dello spirito pubblico nazionale? Perché Genny ‘a Carogna, non è un episodio, un lazzo folklorico uscito dai bassifondi della vita napoletana. E’ un pezzo della nostra storia, reso legittimo dal filo rosso che marchia da decenni il nostro passato e soprattutto preparato dagli sfregi subiti dalla legalità repubblicana negli ultimi anni.
Ma come si fa – lo fanno televisioni e i giornali – a dare tanto spazio a questo episodio e ai soliti strombazzati provvedimenti governativi e non dire nulla, o quasi, di ciò che quell’episodio rappresenta, quale elemento di continuità allarmante viene a rappresentare nel processo degenerativo della vita civile italiana? Forse che la capacità di ricatto di un tifoso nei confronti dell’intero Stato è disgiungibile, ad esempio, dalla gara che tanti giornalisti italiani (prevalentemente di sinistra) hanno ingaggiato per intervistare Berlusconi nei loro programmi televisivi? I semplici di mente obietteranno: che cosa c’entra?
Ma Berlusconi ha subito una condanna definitiva per un reato grave contro la Pubblica amministrazione che egli doveva rappresentare e tutelare. Non è dunque un pregiudicato, che ha colpe nei confronti della collettività, e per questo, quanto meno, non deve essere reso protagonista della scena pubblica nazionale?
Berlusconi non ha solo subito questa condanna. Com’è noto — e ci si dimentica volentieri — si è macchiato di svariati delitti infamanti, alcuni accertati, altri prescritti, altri oggetto di processi in corso — dalla corruzione dei giudici allo sfruttamento della prostituzione, dall’”acquisto” di parlamentari alla concussione. Ora, non tutto è stato penalmente sanzionato o è rilevante. Ma il pedigree politico di Berlusconi è indubbiamente quello di un capo-curva, per così dire, della vita politica nazionale.
In qualunque paese civile d’Europa e del mondo egli sarebbe oggi in carcere e comunque tenuto lontano dalla vita pubblica. Da noi succede l’impensabile: viene addirittura ricevuto dal presidente della Repubblica, il 3 aprile scorso, per la seconda volta dopo la condanna. La maggiore carica dello stato riceve un pregiudicato che ha inferto ferite gravissime al senso della legalità del nostro paese, a partire dal conflitto di interessi.
Ma qualche superstite persona onesta è in grado ancora di domandarsi quale effetto produce un simile evento nell’immaginario civile degli italiani ? Berlusconi è un condannato o è stato graziato? O addirittura è innocente e il colpevole potrebbe essere Napolitano? Da che parte è il torto da che parte è la ragione? Chi ha frodato il fisco per centinaia di milioni? La magistratura italiana commina davvero sanzioni a chi delinque, o chiude un occhio se il delinquente è un potente?
E allora di che stupirsi se i poliziotti applaudono i loro colleghi assassini, come hanno fatto a Rimini, visto che essi sono rientrati in servizio dopo aver pestato a morte un ragazzo inerme? Di che stupirsi se Giuseppe Scopelliti, ex presidente della regione Calabria, condannato a 6 anni in prima istanza, viene candidato dal suo partito, membro del governo, alle elezioni europee? Nel nostro paese i servizi segreti di uno statarello dittatoriale possono sequestrare una persona (la Shalabayeva) e il ministro responsabile (Alfano) , restare al suo posto. E’ ancora ministro dell’Interno del governo che “combatte la palude”.
E’ questa la melma a cui è stato ridotto lo spirito pubblico del nostro paese. E’ questo il cancro che si sta mangiando la nostra amata Italia, la causa vera e profonda del nostro declino: l’inosservanza universale delle regole della vita comune, la legge del più forte come principio di regolazione sostanziale del rapporto fra le classi e fra le persone.
Qualcuno sa dire con quale autorevolezza un ceto politico che ha sconvolto l’etica civile e la decenza politica del nostro paese può chiamare i cittadini a concorrere a uno sforzo collettivo di cambiamento e addirittura di salvezza? E non è vero che Renzi sta cambiando verso, come va reclamizzando tra gli schiamazzi della sua petulante corte governativa e parlamentare. Le sue scelte e la sua stessa parabola portano l’illegalità diffusa della società italiana e dei partiti dentro le istituzioni. Senza essere stato eletto è a capo del governo e pretende di riformare la Costituzione con un parlamento privato di legittimità da parte della Corte costituzionale. Come ha ricordato con argomenti inoppugnabili Alessandro Pace. (Repubblica, 26/3/2014)
L’arbitrio e lo sconvolgimento delle regole, vale a dire la morale di base della criminalità organizzata — che non a caso da noi, unici al mondo, dura e prospera dalla metà del XIX secolo — si espande anche nelle istituzioni, plasma la vita dei partiti, si fa strada dentro lo Stato.
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