di Gustavo Zagrebelsky
Non basta parlare di oligarchie. La scienza politologica d'impostazione elitista ha scavato nel concetto, ha elaborato tipologie, ha studiato nascita, sviluppo, conflitti e morte delle oligarchie. Oggi questa tematica, almeno nella vulgata, si identifica e si semplifica, anzi si annebbia, parlando di casta. Se ne parla certamente in un senso molto generico. Ma nessuno immagina che le trasformazioni oligarchiche della democrazia odierna possano spiegarsi ricorrendo alle caste indiane, ai mandarini cinesi o alla società per ceti dell'Antico Regime.
Le oligarchie cambiano, si adattano alle condizioni sociali, adottano simboli e metodi conformi alla condizione spirituale del tempo e del luogo, producono cultura legittimante che risponde alle mutevoli aspettative di massa.
Ora, il punto fondamentale da considerare è che ogni sistema castale comporta una stratificazione sociale per piani orizzontali paralleli, sovra e sotto ordinati, più o meno relativamente impermeabili. A ciascuno di questi piani corrispondono stili di vita, gusti, culture, letteratura, musica, teatro, talora lingue, abitudini alimentari, leggi particolari.
Le oligarchie odierne, in società d'individui sciolti da appartenenze e liberi di fare di sé quel che vogliono e di legarsi a chi vogliono, si costruiscono, si modificano e si distruggono su moti circolari ascendenti e discendenti, dove tutto si confonde. Per comprendere questa differenza dobbiamo partire da un po' più lontano, per far luce su una divisione latente che oggi sembra sul punto di diventare conflitto esplicito.
È il conflitto tra chi appartiene e chi non appartiene a un qualche "giro" o cerchia di potere. Intendo con questa espressione - il "giro" - esattamente ciò che vogliamo dire quando, di fronte a sconosciuti dalle competenze e dai meriti incerti, o dai demeriti certi e dalle carriere improbabili, che occupano posti difficilmente concepibili per loro, ci domandiamo: a che giro appartengono? [...]
Nei "giri" ci si scambia protezione e favori con fedeltà e servizi. Questo scambio ha bisogno di "materia". Occorre disporre di risorse da distribuire come favori: per esempio, denaro facile e impieghi (Cimone e Pericle insegnano), carriere e promozioni, immunità e privilegi. Occorre, dall'altra parte, qualcosa da offrire in restituzione: dal piccolo voto (il voto "di scambio"), all'organizzazione di centinaia o migliaia di voti che si controllano per ragioni di corporazione, di corruzione, di criminalità; alla disponibilità a corrispondere al favore ricevuto con controprestazioni, personali o per interposta persona - oggi soprattutto per sesso interposto.
L'asettico "giro", in realtà, è una cloaca e questo è il materiale infetto che trasporta. Lo Stato si trasforma in bottino su cui mettere le mani, per dare e per avere. L'infezione, un tempo riservata a chi stava in alto nella scala sociale dove si trovava, concentrata la disponibilità della "materia prima" della corruzione, cioè la ricchezza e il potere, si universalizza, potendo estendersi a tutti i circuiti in cui ci si scambiano favori reciproci.
Qual è la forza che lo muove? Poiché la protezione e i favori stanno su e la fedeltà e i servizi giù, dietro le apparenze delle allegre comunelle e della combutta innocente, si annidano sopraffazione e violenza. Il ricatto è il cemento. Si entra se si è ricattabili, e tutti, se sono dentro, per qualche ragione lo sono. [...]
A parte gli eufemismi (comunità al posto di collusione; associazione al posto di reclutamento), il sistema ricattatorio raggiunge, dalle "classi dirigenti" (altro eufemismo), la base del sistema che, in democrazia, è il corpo elettorale. Non è vero ch'esso sia l'arbitro imparziale d'ultima istanza, nei momenti elettorali: anch'esso, per quote, è imbrigliato nel sistema dei "giri" attraverso i mille modi in cui si manifesta il voto di scambio. Di qui non solo segretezza, ma anche omertà. [...]
Questa struttura del potere mai come oggi è stata estesa, capillare, omnipervasiva. Se potessimo sollevare il velo e avere una veduta d'insieme, resteremmo probabilmente sbalorditi di fronte alla realtà nascosta dietro la rappresentazione della democrazia.
Catene verticali di potere, quasi sempre invisibili e talora segrete, legano tra loro uomini della politica, delle burocrazie, della magistratura, delle professioni, delle gerarchie ecclesiastiche, dell'economia e della finanza, dell'università, della cultura, dello spettacolo, dell'innumerevole pletora di enti, consigli, centri, fondazioni, eccetera, che, secondo i propri principi, dovrebbero essere reciprocamente indipendenti e invece sono attratti negli stessi mulinelli del potere, corruttivi di ruoli, competenze, responsabilità.
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