di Antonio Maria Rinaldi
Per troppo tempo la classe dirigente politica italiana e la stessa letteratura economica di regime, hanno colpevolmente taciuto sull’importanza di quella decisione con cui il Tesoro, guidato allora da Beniamino Andreatta, “sollevò” la Banca d’Italia di Carlo Azelio Ciampi, dall’obbligo “d’intervento” nelle aste dei titoli pubblici finalizzato per calmierare i tassi d’interesse. Provvedimento che generò, con l’esplosione dei tassi d’interesse corrisposti sui titoli pubblici lasciati alla sola determinazione dei mercati, l’era dei c.d. “bot people” che sottrassero risorse vitali all’economia reale e a danno della ricchezza collettiva per quella dei detentori dei titoli.
Le stesse aziende trovavano più conveniente investire la liquidità in titoli di Stato che in investimenti produttivi e innovazione e le finanze pubbliche assunsero lo scomodo ruolo di distribuire un dividendo che nessuna attività industriale avrebbe ragionevolmente mai potuto erogare.
A distanza di 36 anni da quella decisione è possibile fare una obiettiva analisi tirando le somme degli effetti che ebbe sull’incremento dello stock di debito pubblico, che raddoppiò nel giro di appena 14 anni principalmente per l’aumento vertiginoso dei tassi d’interesse, e che condannò i cittadini e il sistema delle imprese a un sempre maggior drenaggio fiscale per sopperire alla mancanza della funzione di prestatore dello Stato.
(Elaborazione propria su dati Banca d’Italia)
Fu l’inizio di una lunga serie di cessioni di Sovranità del nostro Paese e che condizionò negativamente la nostra adesione a Maastricht. L’elevato debito, rispetto ai parametri imposti dal Trattato istitutivo della UE, non ci permise di avere il giusto potere contrattuale che invece un grandissimo Paese industriale come il nostro avrebbe dovuto e potuto ottenere. Iniziò l’era della deindustrializzazione italiana pianificata e voluta da chi non aveva a cuore gli interessi del Paese ma quelli dei gruppi dominanti e delle multinazionali che iniziavano a guardare l’Italia come un enorme outlet dove venire a fare shopping a buon mercato.
In verità non fu un divorzio, ma un vero e proprio matrimonio d’interesse celebrato sull’altare del neoliberismo, e la risposta consenziente, praticamente già concordata, di Ciampi del 6 marzo 1981 alla lettera di Andreatta del 12 febbraio precedente, ne è la conferma (in fondo si riportano gli originali). Quindi una scelta prettamente politica ma mascherata abilmente da una “tecnica” i cui effetti li stiamo ancora oggi subendo negativamente.
Ma la vera e propria “polpetta avvelenata” dell’accordo Tesoro-Banca d’Italia non fu tanto la “non più obbligatorietà” d’intervento sul mercato primario, cioè all’atto dell’emissione dei titoli di Stato per la copertura finanziaria dello Stato, in quanto l’Istituto d’emissione sarebbe rimasto comunque “libero” di intervenire, ma l’indicazione in diversi metodi tecnici da adottare, introducendo un nuovo meccanismo per le aste competitive marginali. Questo aspetto sempre taciuto è la vera causa del disastro di quella nefasta decisione.
Questo nuovo sistema avrebbe infatti consentito agli operatori, con marginali quantitativi sapientemente non acquistati (non sapremo mai chi lo suggerì al duo Andreatta-Ciampi), di ottenere tassi altissimi su tutto l’ammontare dell’emissione sebbene già assegnati precedentemente a tassi inferiori!
Nella pratica, ad esempio, se una emissione per 100 Mld di lire di BTP veniva soddisfatta al tasso 5% per 97 Mld e i restanti residui 3 Mld a 5,5%, tutti e 100 Mld venivano assegnati alla fine allo stesso tasso del 5,5%! Praticamente il “paradiso” per le banche d’affari grazie a questo “regalino” tecnico voluto dai vertici del Tesoro e Banca d’Italia. Chi vi scrive a quei tempi era responsabile operativo presso la direzione generale titoli di una banca italiana e lo stupore, scaturito dal nuovo meccanismo di asta competitiva marginale che favoriva smaccatamente il mercato, fu enorme e suscitò da subito molte perplessità.
La funzione di prestatrice d’ultima istanza della Banca Centrale era venuta meno e l’operatività fu relegata al solo mercato secondario, dove notoriamente è ben più difficile e arduo controllare la dinamica dei tassi d’interesse. Di fatto inizia nel luglio del 1981, data esecutiva dell’accordo, il trasferimento dal potere dello Stato di creare base monetaria per soddisfare il fabbisogno pubblico alla sola determinazione del mercato diventandone di fatto suo ostaggio. Con quella nefasta decisione si preferì il giudizio dei mercati a quello dei cittadini!
Fu il primo tangibile passo verso l’abdicazione di uno dei basilari principi su cui si basa uno Stato Sovrano: il potere di monetizzare almeno parte del debito e determinare autonomamente, senza condizionamenti, le proprie politiche economiche e monetarie. Come ragionevolmente è possibile gestire in modo ottimale il proprio debito pubblico se si è privati di uno degli strumenti indispensabili? Tutte le Banche Centrali emittenti mondiali rivendicano questa prerogativa a pieno supporto delle proprie politiche economiche e nell’interesse della collettività. Traspare chiaramente che fosse nelle precise volontà di chi realizzò l’accordo, una vera e propria “congiura fra il ministro e il governatore”, estraniando dalla condivisione e dal coinvolgimento “i classici canali della dialettica democratica”. Il provvedimento infatti non passò dal Parlamento o dal governo ma fra le scrivanie di Andreatta e Ciampi.
La decisione del divorzio, come già detto, fu una scelta politica e non tecnica: bisognava iniziare a dimostrare di appartenere alle “regole” europee e il prezzo da pagare era il modello neo liberista di riferimento, dove tutto doveva essere lasciato alla determinazione dei mercati nella convinzione-presunzione che solo i mercati, senza la presenza attiva dello Stato, avrebbero autoregolato in modo ottimale il sistema finanziario. Ma sappiamo benissimo che questo non è avvenuto e non poteva avvenire: anzi i mercati, enfatizzati sempre più dall’evoluzione della globalizzazione senza nessuna regolamentazione, hanno provocato disastri inimmaginabili e difficilmente sanabili. Solo il ruolo degli Stati, per mezzo delle proprie piene Sovranità, avrebbero potuto concretamente sostituirsi a questo modello errato, mentre si è fatto di tutto, e la costruzione monetaria europea ne è il più tangibile esempio, per favorire interessi di parte a scapito della collettività con il paradosso che quando i primi hanno avuto problemi i secondi sono stati chiamati nel risolverli!
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