Penna, ovviamente intesa in senso metaforico, perché ormai sostituita dalla ben più letale tastiera che permette, non solo una maggior rapidità, ma soprattutto di meglio e più facilmente divulgare, conservare, e all’occorrenza modificare, quel che si è scritto.
Per far meglio comprendere la differenza che trovo tra penna e arma da fuoco, Il paragone che mi viene in mente è quello tra l’arma a colpo singolo e quella a raffica.
Con la penna si riescono a compiere le peggiori nefandezze e i danni più gravi … qualche volta ricevendo persino il plauso di chi rimane affascinato dal sapiente uso che, chi ha le giuste doti, ne riesce a fare.
Per convincersene basterà portare l’attenzione ai quotidiani esempi che i vari giornalisti non lesinano a offrirci, coadiuvati da una pletora di personaggetti, spesso privi persino di cognizioni di base minime sugli argomenti su cui invece discettano, troppe volte con arrogante alterigia, e che rilanciano quel che vogliono accreditare come verità indiscutibili, dalle reti televisive e radiofoniche, robustamente supportati da una sapiente amplificazione attraverso il web, al neppure troppo celato fine di indirizzare e condizionare chi ascolta. Le peggiori nefandezze possono divenire, agli occhi di un lettore distratto o già predisposto, verità supinamente digerite e uniche.
Prendiamo il caso della diatriba, o forse sarebbe più esatto definirla vera e propria guerra politica, attuata attraverso lo strumentale utilizzo di un potere dello Stato o più esattamente di alcuni suoi appartenenti, che, da più di due decenni direi, saltuariamente e chirurgicamente, sconfinano dal proprio ambito per invadere aree di pertinenza di altri poteri, e certo non per tutelar diritti o affermare la Legge, ma per ben altri e assai poco commendevoli finalità.
La questione della nave Diciotti
Abbiamo sentito dire di tutto e di più su quella vicenda. Tralasciamo il coro di ignoranti che, seppur in assenza non solo di titolo ma di nozioni minime, sentono irrefrenabile l’esigenza di dire la loro su argomenti che neppure capiscono, e che però … purtroppo, fruiscono di spazi televisivi per esporre il loro “nulla”, e cerchiamo di delimitare il discorso alla sostanza. Lasciamo perdere anche quel che hanno scritto quelli che invece le cognizioni e le capacità tecniche le possiedono, come i componenti del Tribunale per i Ministri di Catania, che hanno ritenuto la sussistenza di quel reato, il sequestro di persona, dottamente argomentando, e supportando il loro ragionamento con precisi richiami a norme costituzionali, nazionali e internazionali, e guardiamo quella norma, l’art. 605 del codice penale, di cui viene accusato il Ministro Salvini. Forse mi sbaglierò, ma sono convinto che la maggioranza non lo abbia neppure letto, e ne riporto il testo, solo del primo comma, tanto per la riflessione che voglio suggerire, le aggravanti non ci interessano.
“Sequestro di persona. Chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da 6 mesi a otto anni”.
Bene, venendo alla questione specifica, allora la domanda da porsi è: quale sarebbe la condotta che concretizza la privazione della libertà personale? Quella di dire a qualcuno … “Tu a casa mia non entri. Vattene dove ti pare, ma non qui”? Lasciamo perdere che per entrare in qualsiasi Paese del mondo si deve esser muniti dei titoli che ogni Paese esige, lasciamo perdere che entrare senza titolo in un Paese costituisce reato, più o meno diversamente regolamentato, ma dico, in questo caso quale sarebbe la condotta del reato? Possibile che, dopo lo stupro della lingua italiana, brutalizzata dalla pretesa di storpiarla con la forzata introduzione di espressioni, oltre che brutte, semplicemente stupide, perché frutto, non della naturale evoluzione di una lingua, ma di arroganti pretese di affermazioni di questo o quel principio, peraltro neppure condiviso dalla maggioranza, dobbiamo assistere inermi anche a queste violente, non in senso fisico, brutalizzazioni del diritto?
Mi si potrebbe replicare, “ma lo hanno detto dei giudici e hanno anche spiegato (motivato), il perchè”. E allora? Qualcuno pensa davvero che i giudici non siano capaci di sbagliare, come ogni altro essere umano? Oddio, se non vogliamo riconoscer loro natura divina … perché se è così … alzo le mani. Sul fatto che i giudici parlino con i provvedimenti e che sempre motivino il loro convincimento, mi torna in mente un aneddoto che mi raccontò anni fa un amico, che trovo assai pertinente e assai significativo.
Quando non esistevano ancora i computer, il padre di un mio amico, Avvocato, aveva una delle biblioteche giuridiche private più complete e fornite di Roma. Essendo i rapporti di allora tra Avvocati e Magistrati innanzitutto sotto il profilo del rispetto, questo Avvocato metteva a disposizione, di colleghi e Magistrati che ne avessero bisogno, la sua biblioteca per le loro consultazioni e studi. Come è naturale, altri essendo i rapporti, come dicevo, erano normali gli scambi di idee sui casi concreti per i quali gli ospiti si recavano da lui, e ne nascevano dotte e approfondite disquisizioni giuridiche, finalizzate a individuare la corretta interpretazione della Legge nel caso in esame. In un caso, di natura civilistica piuttosto intricato, di cui lungamente il padre del mio amico discettò con l’amico Magistrato che si era recato a consultare i testi, e che gli aveva sottoposto la questione per sentire anche il suo parere, ovviamente tecnico, e non di merito, accadde che il Magistrato, già orientato a dar ragione a una parte, nonostante i documenti facessero propendere le ragioni verso l’altra, dopo avere ascoltato e discusso a lungo con l’Avvocato, concluse infine dicendo che ci avrebbe riflettuto ancora. Qualche tempo dopo, tornato dall’Avvocato per altre consultazioni di testi, si sentì chiedere cosa avesse deciso per la questione di cui avevano tanto parlato. La risposta fu che aveva dato ragione alla parte coinvolta alla quale le carte dicevano aver torto. Alla ovvia domanda rivoltagli dall’Avvocato “e adesso come fai con la motivazione?”, sapete che rispose quel Magistrato? “Una motivazione si trova sempre!” Serve che commenti? Certamente no, ma credo che il racconto di questo piccolo episodio di vita vissuta, dovrebbe indurre a riflettere … anche sul caso “Diciotti” e su quelli eventualmente a venire. Capito perché ho esordito sulla pericolosità dell’arma … penna?
Fonte: QUI
Prendiamo il caso della diatriba, o forse sarebbe più esatto definirla vera e propria guerra politica, attuata attraverso lo strumentale utilizzo di un potere dello Stato o più esattamente di alcuni suoi appartenenti, che, da più di due decenni direi, saltuariamente e chirurgicamente, sconfinano dal proprio ambito per invadere aree di pertinenza di altri poteri, e certo non per tutelar diritti o affermare la Legge, ma per ben altri e assai poco commendevoli finalità.
La questione della nave Diciotti
Abbiamo sentito dire di tutto e di più su quella vicenda. Tralasciamo il coro di ignoranti che, seppur in assenza non solo di titolo ma di nozioni minime, sentono irrefrenabile l’esigenza di dire la loro su argomenti che neppure capiscono, e che però … purtroppo, fruiscono di spazi televisivi per esporre il loro “nulla”, e cerchiamo di delimitare il discorso alla sostanza. Lasciamo perdere anche quel che hanno scritto quelli che invece le cognizioni e le capacità tecniche le possiedono, come i componenti del Tribunale per i Ministri di Catania, che hanno ritenuto la sussistenza di quel reato, il sequestro di persona, dottamente argomentando, e supportando il loro ragionamento con precisi richiami a norme costituzionali, nazionali e internazionali, e guardiamo quella norma, l’art. 605 del codice penale, di cui viene accusato il Ministro Salvini. Forse mi sbaglierò, ma sono convinto che la maggioranza non lo abbia neppure letto, e ne riporto il testo, solo del primo comma, tanto per la riflessione che voglio suggerire, le aggravanti non ci interessano.
“Sequestro di persona. Chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da 6 mesi a otto anni”.
Bene, venendo alla questione specifica, allora la domanda da porsi è: quale sarebbe la condotta che concretizza la privazione della libertà personale? Quella di dire a qualcuno … “Tu a casa mia non entri. Vattene dove ti pare, ma non qui”? Lasciamo perdere che per entrare in qualsiasi Paese del mondo si deve esser muniti dei titoli che ogni Paese esige, lasciamo perdere che entrare senza titolo in un Paese costituisce reato, più o meno diversamente regolamentato, ma dico, in questo caso quale sarebbe la condotta del reato? Possibile che, dopo lo stupro della lingua italiana, brutalizzata dalla pretesa di storpiarla con la forzata introduzione di espressioni, oltre che brutte, semplicemente stupide, perché frutto, non della naturale evoluzione di una lingua, ma di arroganti pretese di affermazioni di questo o quel principio, peraltro neppure condiviso dalla maggioranza, dobbiamo assistere inermi anche a queste violente, non in senso fisico, brutalizzazioni del diritto?
Mi si potrebbe replicare, “ma lo hanno detto dei giudici e hanno anche spiegato (motivato), il perchè”. E allora? Qualcuno pensa davvero che i giudici non siano capaci di sbagliare, come ogni altro essere umano? Oddio, se non vogliamo riconoscer loro natura divina … perché se è così … alzo le mani. Sul fatto che i giudici parlino con i provvedimenti e che sempre motivino il loro convincimento, mi torna in mente un aneddoto che mi raccontò anni fa un amico, che trovo assai pertinente e assai significativo.
Quando non esistevano ancora i computer, il padre di un mio amico, Avvocato, aveva una delle biblioteche giuridiche private più complete e fornite di Roma. Essendo i rapporti di allora tra Avvocati e Magistrati innanzitutto sotto il profilo del rispetto, questo Avvocato metteva a disposizione, di colleghi e Magistrati che ne avessero bisogno, la sua biblioteca per le loro consultazioni e studi. Come è naturale, altri essendo i rapporti, come dicevo, erano normali gli scambi di idee sui casi concreti per i quali gli ospiti si recavano da lui, e ne nascevano dotte e approfondite disquisizioni giuridiche, finalizzate a individuare la corretta interpretazione della Legge nel caso in esame. In un caso, di natura civilistica piuttosto intricato, di cui lungamente il padre del mio amico discettò con l’amico Magistrato che si era recato a consultare i testi, e che gli aveva sottoposto la questione per sentire anche il suo parere, ovviamente tecnico, e non di merito, accadde che il Magistrato, già orientato a dar ragione a una parte, nonostante i documenti facessero propendere le ragioni verso l’altra, dopo avere ascoltato e discusso a lungo con l’Avvocato, concluse infine dicendo che ci avrebbe riflettuto ancora. Qualche tempo dopo, tornato dall’Avvocato per altre consultazioni di testi, si sentì chiedere cosa avesse deciso per la questione di cui avevano tanto parlato. La risposta fu che aveva dato ragione alla parte coinvolta alla quale le carte dicevano aver torto. Alla ovvia domanda rivoltagli dall’Avvocato “e adesso come fai con la motivazione?”, sapete che rispose quel Magistrato? “Una motivazione si trova sempre!” Serve che commenti? Certamente no, ma credo che il racconto di questo piccolo episodio di vita vissuta, dovrebbe indurre a riflettere … anche sul caso “Diciotti” e su quelli eventualmente a venire. Capito perché ho esordito sulla pericolosità dell’arma … penna?
Fonte: QUI
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