Per il DEF il Governo ha scelto la via del deficit, dimostrando di non essere asservito alla Commissione europea.
Coraggiosamente, e seguendo la strada che già il Ministro Paolo Savona e Giorgio La Malfa avevano indicato, i due leader di maggioranza hanno dato forza all’esigenza di metter fine allo stato di austerità che da anni strangola l’economia italiana, intraprendendo un’espansione della domanda con un piano di spesa finanziato in deficit.
Tuttavia, v’è da essere consapevoli del fatto che le ripercussioni della manovra sul costo del servizio del debito (e sulla stessa sostenibilità di quest’ultimo) possono essere tali da ridurne l'efficacia, al limite anche da pregiudicarne gli obiettivi.
E, in ogni caso, la strada intrapresa aumenta, non riduce, la dipendenza dell’Italia dai mercati finanziari, muovendo nella direzione opposta a quella auspicabile, che peraltro gli stessi “azionisti di maggioranza” del Governo ambiscono a realizzare.
D’altra parte, non ci si deve nemmeno arrendere all’idea che non vi siano alternative valide alle politiche di austerità. Tali politiche sono state da ultimo sostenute da Carlo Cottarelli e Giampaolo Galli, i quali hanno criticato la via del deficit, affermando che l’Italia deve ridurre il debito attraverso ulteriori dosi di austerità e accrescere il PIL potenziale con riforme strutturali, sostenendo che non è il maggior deficit a generare crescita, e ricordando che la crescita si è prodotta solo là dove si sono ridotti deficit e debito.
È assai importante, a nostro avviso, ragionare su quanto ignora chi sostiene la linea dell’austerità. E riteniamo sia importante farlo proprio per invitare il Governo a considerare che un’alternativa valida e possibile tanto alla via del deficit quanto alla linea dell’austerità c’è.
La linea dell’austerità ignora che:
- Le manovre deflative abbattono permanentemente il PIL, come mostrano Antonio Fatás e Larry Summers. Se si somma la riduzione di capacità produttiva dovuta al calo di investimenti e quella dovuta alla fuga di manodopera, soprattutto quella qualificata e giovane, si ottiene l’avvicinamento tra PIL corrente e PIL potenziale, ma infelicemente per effetto della riduzione del secondo, non per l’aumento del primo. La contrazione del PIL, oltretutto, accresce il peso del debito e richiede ulteriori interventi recessivi in un continuo avvitamento (come si è visto in Grecia dove il rapporto Debito/PIL è aumentato dal 110% al 180% in dieci anni);
- tutti i paesi che sono usciti dalla crisi hanno fatto ricorso a politiche fiscali espansive;
- gli interventi strutturali, di cui l’Italia pure necessita, non fanno recuperare l’abisso fra PIL corrente e potenziale, causato dal vertiginoso crollo della domanda scatenato dalla crisi finanziaria e dalle politiche in risposta adottate; l’impatto dell’impulso fiscale in un contesto di forte sottoutilizzo delle risorse produttive non si scarica interamente sul deficit ma, stimolando il reddito, genera risorse fiscali aggiuntive che possono, in parte o in tutto, coprire il deficit.
Cruciale è a tal fine che la qualità della manovra incida sulle aspettative degli operatori e induca incrementi di spesa non transitori del settore privato (investimenti e consumi) che accrescano la crescita dell’economia.
Esiste una terza via fra deficit e austerità e si chiama Moneta Fiscale. Consiste nello stimolare la crescita attraverso la creazione di potere d’acquisto senza incorrere in nuovo debito. La Moneta Fiscale è uno strumento finanziario negoziabile e trasferibile, non di debito, il cui valore certo risiede nell’impegno dello Stato emittente ad accettarlo a due anni dall’emissione in cambio di un equivalente sconto su tutte le obbligazioni fiscali del possessore. L’emissione dello strumento a titolo gratuito consentirebbe allo Stato di immettere nuovo potere d’acquisto nelle mani di famiglie, lavoratori e classi disagiate, di ridurre il cuneo fiscale per le imprese e di finanziare opere pubbliche e spese sociali, generando crescita nell’arco del periodo di differimento dei titoli e, con essa, le risorse fiscali per sostenerne il costo: non si ricorrerebbe a nuovo deficit e non s’inasprirebbe il debito. Costruendo un opportuno circuito commerciale e di pagamento su scala nazionale, la liquidabilità dello strumento potrebbe anche farne un mezzo di pagamento volontariamente accettato dal pubblico: non si metterebbe in discussione il ruolo dell’euro come moneta legale unica.
Miracolo o pietra filosofale? Nulla di ciò. Si tratterebbe piuttosto di attuare quello che la teoria economica insegna e che l’evidenza empirica dimostra.
Primo, nelle fasi di stagnazione economica e bassi tassi d’interesse il moltiplicatoredel reddito è assai elevato: un euro di spesa in più genera più di un euro di PIL aggiuntivo e produce maggior gettito fiscale.
- Le manovre deflative abbattono permanentemente il PIL, come mostrano Antonio Fatás e Larry Summers. Se si somma la riduzione di capacità produttiva dovuta al calo di investimenti e quella dovuta alla fuga di manodopera, soprattutto quella qualificata e giovane, si ottiene l’avvicinamento tra PIL corrente e PIL potenziale, ma infelicemente per effetto della riduzione del secondo, non per l’aumento del primo. La contrazione del PIL, oltretutto, accresce il peso del debito e richiede ulteriori interventi recessivi in un continuo avvitamento (come si è visto in Grecia dove il rapporto Debito/PIL è aumentato dal 110% al 180% in dieci anni);
- tutti i paesi che sono usciti dalla crisi hanno fatto ricorso a politiche fiscali espansive;
- gli interventi strutturali, di cui l’Italia pure necessita, non fanno recuperare l’abisso fra PIL corrente e potenziale, causato dal vertiginoso crollo della domanda scatenato dalla crisi finanziaria e dalle politiche in risposta adottate; l’impatto dell’impulso fiscale in un contesto di forte sottoutilizzo delle risorse produttive non si scarica interamente sul deficit ma, stimolando il reddito, genera risorse fiscali aggiuntive che possono, in parte o in tutto, coprire il deficit.
Cruciale è a tal fine che la qualità della manovra incida sulle aspettative degli operatori e induca incrementi di spesa non transitori del settore privato (investimenti e consumi) che accrescano la crescita dell’economia.
Esiste una terza via fra deficit e austerità e si chiama Moneta Fiscale. Consiste nello stimolare la crescita attraverso la creazione di potere d’acquisto senza incorrere in nuovo debito. La Moneta Fiscale è uno strumento finanziario negoziabile e trasferibile, non di debito, il cui valore certo risiede nell’impegno dello Stato emittente ad accettarlo a due anni dall’emissione in cambio di un equivalente sconto su tutte le obbligazioni fiscali del possessore. L’emissione dello strumento a titolo gratuito consentirebbe allo Stato di immettere nuovo potere d’acquisto nelle mani di famiglie, lavoratori e classi disagiate, di ridurre il cuneo fiscale per le imprese e di finanziare opere pubbliche e spese sociali, generando crescita nell’arco del periodo di differimento dei titoli e, con essa, le risorse fiscali per sostenerne il costo: non si ricorrerebbe a nuovo deficit e non s’inasprirebbe il debito. Costruendo un opportuno circuito commerciale e di pagamento su scala nazionale, la liquidabilità dello strumento potrebbe anche farne un mezzo di pagamento volontariamente accettato dal pubblico: non si metterebbe in discussione il ruolo dell’euro come moneta legale unica.
Miracolo o pietra filosofale? Nulla di ciò. Si tratterebbe piuttosto di attuare quello che la teoria economica insegna e che l’evidenza empirica dimostra.
Primo, nelle fasi di stagnazione economica e bassi tassi d’interesse il moltiplicatoredel reddito è assai elevato: un euro di spesa in più genera più di un euro di PIL aggiuntivo e produce maggior gettito fiscale.
Secondo, una volta avviato un forte e sostenuto programma di spesa e riduzione del cuneo fiscale, gli investimenti privati crescono (si chiama “acceleratore”, come ben richiama Jason Furman).
Terzo, la crescita della domanda migliora la produttività, secondo quanto Kaldor e Verdoorn scoprirono già tempo addietro (e come non abbiamo mancato di ricordare per correggere alcune analisi errate sulla produttività italiana). L’effetto combinato di moltiplicatore e acceleratore rilancia il PIL reale e rianima i prezzi, abbattendo il rapporto Debito/PIL.
Terzo, la crescita della domanda migliora la produttività, secondo quanto Kaldor e Verdoorn scoprirono già tempo addietro (e come non abbiamo mancato di ricordare per correggere alcune analisi errate sulla produttività italiana). L’effetto combinato di moltiplicatore e acceleratore rilancia il PIL reale e rianima i prezzi, abbattendo il rapporto Debito/PIL.
La nostra proposta, altrove tecnicamente illustrata, mostra che far crescere il PIL e abbattere il peso debito si può, assumendo valori conservativi di moltiplicatore e acceleratore e preservando l’equilibrio nei conti esteri.
Alcuni commentatori hanno criticato la Moneta Fiscale sostenendo che essa viola il Fiscal Compact. Abbiamo risposto con rigore a queste critiche (si veda qui e qui) spiegando che lo strumento è coerente con le regole contabili europee e che le previste clausole di salvaguardia proteggono il bilancio da eventuale inadeguata copertura fiscale. Bruxelles e mercati potrebbero stare tranquilli, così come le prospettive di una forte e stabile ripresa economica migliorerebbero l’umore dei creditori (e con esso lo spread).
Si tratta di dar luogo a un vero e proprio cambiamento di visione, che il Governo dovrebbe saper pilotare, portandoci finalmente a dismettere quell’odioso abito mentale dell’austerità da cui promana solo cupo pessimismo e smarrimento verso l’avvenire, non certo buoni presupposti per la crescita.
Alcuni commentatori hanno criticato la Moneta Fiscale sostenendo che essa viola il Fiscal Compact. Abbiamo risposto con rigore a queste critiche (si veda qui e qui) spiegando che lo strumento è coerente con le regole contabili europee e che le previste clausole di salvaguardia proteggono il bilancio da eventuale inadeguata copertura fiscale. Bruxelles e mercati potrebbero stare tranquilli, così come le prospettive di una forte e stabile ripresa economica migliorerebbero l’umore dei creditori (e con esso lo spread).
Si tratta di dar luogo a un vero e proprio cambiamento di visione, che il Governo dovrebbe saper pilotare, portandoci finalmente a dismettere quell’odioso abito mentale dell’austerità da cui promana solo cupo pessimismo e smarrimento verso l’avvenire, non certo buoni presupposti per la crescita.
fonte: MegaChip
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