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sabato 30 settembre 2017

Per fare una Commissione sul Sistema Bancario che non servirà a nulla, Casini è il Presidente perfetto

di Mauro Bottarelli

E’ nata la Commissione d’inchiesta bicamerale sul sistema bancario, evviva! Ma invece che festeggiare, l’Italia si indigna. Che covo di gufi. Si sa, in questo Paese gli organi parlamentari d’inchiesta sono un po’ come la partita a carte quando nel weekend c’è brutto tempo: avevi messo in preventivo una bella escursione ma, siccome diluvia, una partita a scala 40 finché non spiove è la morte sua, buona per tutte le stagioni.





Solitamente non portano alcun risultato ma garantiscono titoli sui giornali, curriculum a chi ne fa parte e, soprattutto, la sensazione rituale di coscienza ripulita rispetto a vicende che, si sa, resteranno archiviate nell’ombra, almeno nei loro risvolti più inconfessabili. vedasi le stragi più o meno di Stato.
Quindi, appare quantomeno fuori luogo e degno di miglior causa lo sdegno che viene riversato su questa nuova pantomima: una in più, una in meno, la Repubblica saprà sopportare nella sua immensa pazienza.
Tanto più che nel caso di specie, non ci troviamo nemmeno di fronte a una parvenza di dissimulazione, il fatto che questa Commissione non servirà a un cazzo è ontologico e statutario: la prima relazione al Parlamento dovrà essere consegnata fra sei mesi, mentre quella finale fra un anno. Ovvero, non solo in sei mesi i commissari saranno chiamati a far luce su una ventina d’anni almeno di intreccio perverso fra banche, politica e sistema economico-industriale ma, ammesso che riescano (e vogliano) a cavare qualche ragno dal buco, il risultato sarà utile quanto la carta igienica, visto che potenzialmente verrà consegnato a un Parlamento con le Camere già sciolte per il voto di primavera. Il compromesso perfetto: specchietto per le allodole ideale per l’opinione pubblica ma, di fatto, utile alla reale risoluzione del problema quanto un’opinione di Roberto Saviano per i destini dell’umanità.

Ma stavolta si è voluti andare davvero oltre, perché al nulla si è voluto aggiungere il niente come capo della compagnia comica: la presidenza è infatti andata a Pier Ferdinando Casini con 21 voti favorevoli alla prima votazione. Plebiscito per Pier Ferdy, ovvero l’ennesimo delfino mancato di Berlusconi, finito spiaggiato sull’arenile dell’anonimato e della mediocrità politica, stante l’assenza di quid. Come Fini. Come Alfano. Come Fitto. Di suo, Casini non ha compiuto disastri inenarrabili come altri, è certamente stato presidente della Camera migliore di Laura Boldrini e si è sempre limitato al ruolo di comprimario inutile di bella presenza. Era il George Clooney del Parlamento, divorziato ma arcigno difensore della famiglia tradizionale come Silvio, noto ai più come marito di Azzurra Caltagirone, salvo poi essere caduto in disgrazia per un incidente domestico che ha posto fine al legame con la figlia del palazzinaro-editore. A far montare la maretta, però, è quanto scritto il 5 aprile scorso da Casini sul suo sito:

“Dall’inizio della legislatura si sono istituite commissioni d’inchiesta per quasi ogni argomento, è un cedere continuo alla demagogia e alla propaganda che non mi trova d’accordo”. Bravo, cazzo! Salvo poi definire la nascente Commissione sul sistema bancario “un impasto di demagogia e pressappochismo che, al di là delle migliori intenzioni, non produrrà nulla di buono per le istituzioni”. Ma il seme della ribellione covava in Casini da prima, esattamente da febbraio, quando in virtù del suo ruolo di presidente della Commissione Affari Esteri del Senato, sottolineò quanto segue: “Il fatto che la Commissione d’inchiesta sulle banche sia stata evocata come argomento polemico nel dibattito interno al PD, dimostra quanti rischi vi siano nella sua istituzione. Ho sempre denunciato la patologia di un Parlamento che ogni legislatura istituisce nuove Commissioni d’inchiesta, il più delle volte solo per interessi dei singoli o per affrontare in modo puramente scenografico quello che il legislatore dovrebbe risolvere con gli strumenti normativi che ha a disposizione”.

Insomma, concetti chiari. Ora, davvero qualcuno di voi nutriva in sé la certezza che Casini fosse ascrivibile alla categoria dei politici coerenti? Davvero qualcuno pensava che un democristiano doc come lui potesse tener fede a qualsivoglia patto, ancorché non scritto, con la propria coscienza politica e ideale? Stiamo parlando dell’ex leader dell’UDC, se non vi ricordate. Il quale, ovviamente, ieri ha attaccato, prima di essere attaccato: “Se qualcuno ritiene che questa Commissione diventi il palcoscenico di una lunga campagna elettorale non pensi di trovare complicità nel presidente. La commissione o lavora con serietà o diventa un nuovo elemento di discredito della politica. Guiderò la commissione senza timidezza per indagare le responsabilità personali o istituzionali”. Non ne abbiamo dubbi, tanto più che ha addirittura anticipato che i lavori avranno un ruolino di marcia da fabbrica nord-coreana, cinque giorni la settimana: ci credete?

Con la discussione sul DEF che sta per aprirsi, il lavoro nelle varie Commissioni camerali e la “trolley-rule” che impone il lavoro nel Palazzo solo dal martedì a giovedì pomeriggio? E fate bene, perché non ci credono nemmeno loro. Tanto che cazzo gli frega, sanno di non dover produrre nulla di concreto. E, soprattutto, di non dover per forza pestare i piedi a qualcuno. Certo, il vice-presidente della Commissione, Renato Brunetta, già minaccia sconvolgimenti, manco volesse svelarci la verità sulla morte di Roberto Calvi o sul caffé un po’ amaro recapitato a Michele Sindona o sulla brutta fine, molto annunciata nei palazzi romani, di Giorgio Ambrosoli. Certo da uno che è così modesto da reclamare il Nobel per l’economia ad ogni intervista, non puoi certo aspettarti il basso profilo ma quando nella Commissione che ti appresti a vice-presiedere sarà presente Franco Vazio, già avvocato di Giovanni Berneschi, ex numero uno di Carige, condannato a 8 anni e 2 mesi per il crac della banca ligure, stare zitto sarebbe un’opzione da prendere in considerazione seriamente.

E invece no, tocca montare un’altra volta il teatrino. Eppure, un modo per cacciare via le critiche malevole, mie comprese, ci sarebbe: convocare, come primo atto dopo l’insediamento ufficialmente, Federico Ghizzoni, ex ad di Unicredit e porre fine una volta per tutte alla querelle che ha visto contrapporsi Ferruccio De Bortoli e Maria Elena Boschi riguardo l’interessamento personale messo in campo dall’allora ministro per le Riforme presso il banchiere al fine di trovare una soluzione per Banca Etruria. De Bortoli raccontò il fatto nel suo ultimo libro e, per tutta risposta, la Boschi annunciò querela: mai arrivata. E, ormai, impossibilitata ad arrivare dai tempi garantiti dal codice per presentare denuncia. Verrebbe quindi da pensare che nel giusto fosse l’ex direttore del “Corriere della Sera”, quindi sarebbe interessante sapere la versione ufficiale.

Ghizzoni, infatti, è vincolato da un patto di riservatezza con Unicredit che lo costringe al silenzio ma, avendo la Commissione d’inchiesta parlamentare gli stessi poteri della magistratura, in questo caso sarebbe libero da ogni limitazione. E lui stesso ha già detto che, di fronte al Parlamento, in questo caso rappresentato dalla Commissione, parlerebbe. Perché non farlo come primo atto? Perché non offrire uno spiraglio di verità agli obbligazionisti inchiappettati dalle quattro banche e poi dalle venete, un simbolico regalo di Natale per poter dire che al governo sapevano e hanno agito nell’ombra per cercare di salvare il salvabile, prima del bail-in?
O forse i renzianissimi Orfini e Bonifazi, anch’essi in Commissione, preferiranno scavare nel buco pugliese che parte da Banca 121 di De Bustis, dalemiano ed ex Deutsche Bank, colpendo in un sol colpo baffino e l’oppositore Michele Emiliano, quest’ultimo per collocazione geografica? E quanti avranno da dribblare il fatto che si arrivi davvero alla verità sulle banche venete, sugli intrecci politici di anni di sperperi e regali, di fondazioni bancarie che agivano un po’ da hedge fund e un po’ a decisore politico? E mi limito agli anni recenti, non scomodo triangolazioni poco nobili dello Ior e la filiale BNL di Atlanta. Dai, convocate Ghizzoni, fatelo subito, prima che si sciolgano le Camere e presentate pubblicamente le risultanze della sua audizione, per amore della verità e per il fatto che “se qualcuno ritiene che questa Commissione diventi il palcoscenico di una lunga campagna elettorale, non pensi di trovare complicità nel presidente”.

Dai, scherzo. Non si mette Casini presidente, se si intende fare una cosa seria. Una cosa che, tipo, potrebbe fare domande scomode sul “suicidio” di David Rossi, responsabile comunicazione di MPS ed emulo di Pino Pinelli nel volare giù dalle finestre. Oppure dare volti e nomi a quell’accusa, sempre di Ferruccio De Bortoli, nei confronti del governo Renzi e del microcosmo che lo circondava di “stantio odore di massoneria”. Perché, forse, è quello il nodo da preservare gelosamente con il vincolo del silenzio. Un qualcosa che solo il profilo da barzelletta del mandato e dei componenti di questa Commissione può garantire. Perché una volta insediata e con i lavori cominciati, fosse anche una singola seduta, la decadenza delle Camere per scioglimento in vista del voto, manderà tutto in archivio. Per sempre. Noi ridiamo per Casini ma non c’è un cazzo da ridire: stanno insabbiando tutto.

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