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venerdì 29 luglio 2016

Renzi e Padoan, prima di fare altri danni, farebbero bene a ripassare la Curva di Leffer

di Gianmaria Vianova

Servono 5 miliardi in più, titolano i giornali. Il bilancio non torna, qualcosa evidentemente non va. Non era difficile aspettarselo. Il rispetto di rigide norme fiscali e il perseguimento attivo del pareggio di bilancio hanno come risultato continui tagli alle spese, e quindi ai servizi, e aumenti di tasse, e quindi contrazione della domanda. La cieca visione politica di governi discutibilmente nominati nuota nella più incosciente delle acque: quella del dogmatismo, del fondamentalismo contabile.





La pressione fiscale ufficiale viaggia attorno al 43% (anche se il paper “Paying taxes 2016” del World Bank Group porta al 64,8% il dato effettivo).
Non si può essere sul tetto d’Europa nel calcio, così ripieghiamo sulla tassazione. Eppure non basta. FMI e OCSE spingono per un aumento dell’IVA al 25%, ritenuto necessario per arginare la grave “situazione debitoria” che vige nel nostro paese. Aumentare ulteriormente il gettito diventa un obbligo quando il 30% dell’imposta sul valore aggiunto risulta evasa, secondo i suddetti organi internazionali.

Qui casca l’asino, l’intero apparato che sostiene l’austerità otto anni dopo lo scoppio della crisi mondiale: aumentare le tasse non necessariamente porta ad un aumento del gettito, anzi. Oltre un certo livello di tassazione, vuoi per la repressione dei consumi, vuoi per la diminuzione del reddito, vuoi per un periodo di crisi o per una incentivazione all’evasione, l’aspettativa delle entrate stimata dallo Stato risulta eccessiva e quindi inefficace. Nulla di nuovo sotto il sole: quando i Pink Floyd registravano “The Wall” l’economista americano Arthur Laffer consigliava a Reagan di abbassare le imposte, perché oltre una certa soglia le entrate ne avrebbero risentito. La storia ricorderà la teoria con il nome di “Curva di Laffer”, snobbata e apparentemente smentita dalla storia. Peccato che dopo il crollo di Lehman Bros i libri di macroeconomia risultino attuali quanto un Commodore 64: verità sono state cancellate e dall’oblio vecchie conoscenze sono state riesumate. Laffer basava la sua curva sul principio Keynesiano secondo il quale la tassazione è nulla con una aliquota dello 0% e del 100%. Strizzando l’occhio al teorema di Weierstrass, una aliquota compresa tra 0 e 100 avrà il gettito massimo, e quella sarà la percentuale da adottare. Evidentemente la veridicità di tale ipotesi andrebbe rivalutata alla luce di uno Stato, quello italiano, che si ostina a reprimere la crescita spingendo sulla leva fiscale prociclicamente, ricavandone soltanto “buchi” e necessità di correggere il tiro. Un processo iterativo, demenziale e senza soluzione di continuità. Ci si chiede quando l’esecutivo potrà rivedere il proprio controproducente modo di gestire i conti pubblici: non si tratta solo di teorie economiche più o meno condivisibili ma del futuro dell’intera nazione, soggiogata da contabili belgi, finlandesi e tedeschi che non guardano negli occhi il contribuente italiano, ma solo il libro giornale firmato Padoan. L’IVA al 25% (per scongiurarla, tra l’altro, servono altri 8 miliardi) darebbe un ulteriore colpo alla nuca ai consumi, compromettendo una ripresa che in realtà non c’è. “Cercasi statisti”, reciterebbe un annuncio appeso a Montecitorio.

Non solo IVA quindi. La minaccia arriverebbe proprio dal bilancio pubblico. Tra 8 miliardi per l’imposta sul valore aggiunto, 5 miliardi dovuti alle mancate aspettative di crescita e un’altra buona dose destinata a rispettare le promesse di Renzi, si stimano quasi 20 miliardi vacanti. Una caccia al tesoro, al netto di una flessibilità tanto sbandierata ma che nulla ha realmente apportato alla vita dei cittadini. È il vincolo esterno, bellezza: senza i trattati europei tutto questo dolore non l’avremmo nemmeno percepito. Dall’altra sponda della Manica gli Inglesi, ora extra-comunitari, promettono di abbassare le tasse alle imprese. Dall’altra parte del mondo il premier giapponese Abe ha annunciato 240 miliardi di euro di investimenti (soldi creati dal nulla, tra l’altro) nonostante il loro rapporto debito/PIL sia il più alto del pianeta. È il masochismo e non la democrazia che regna sovrano in questo atomo opaco del male, per dirla “alla Pascoli”: quando vorremo liberarci dalla gabbia capiremo che le chiavi sono rimaste sotto il cuscino per tutto questo tempo.


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