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lunedì 3 febbraio 2014
Fiom: “Fiat, ricatti e menzogne. Ma il governo è assente”
Michele De Palma, volto emergente del sindacato di Landini, attacca:"I promessi investimenti non sono mai arrivati, i lavoratori - dopo aver rinunciato ai propri diritti - cosa hanno guadagnato?". Inoltre chiede alla Camusso di ritirare la firma dall'accordo con Confindustria, "una pessima intesa che limita le libertà sindacali".
intervista a Michele De Palma di Giacomo Russo Spena
Lo chiama semplicemente “l’amministratore delegato”. Per mantenere le giuste distanze. Michele De Palma coordina per la Fiom le iniziative sindacali nel Gruppo Fiat. O meglio, ora, nella Fiat Chrysler Automobiles (Fca), la neonata azienda di Sergio Marchionne: “Un film già scritto, lo sapevamo dal 2010 che sarebbe finita così”, ci dice.
È iniziato il nuovo corso della Fca, sede legale in Olanda e quella fiscale in Gran Bretagna. I media stanno dipingendo Marchionne come un supermanager, capace di conquistare il mercato dell’auto negli Stati Uniti. Ma Luciano Gallino, in un commento su Repubblica, fa la domanda delle domande: che cosa ne viene al nostro Paese, ai lavoratori italiani, al pubblico bilancio, dalla nascita della Fiat Chrysler Automobiles?
Nessuna novità, sta avvenendo quel che è già successo alla Cnh Industrial. Non solo la Fiom ma anche economisti, sociologi e altri addetti ai lavori si sono resi conto da tempo delle menzogne dell’amministratore delegato. Adesso siamo al paradosso, il lavoratore in cassa integrazione paga le tasse nel nostro Paese mentre l’azienda sceglie di farlo in Stati con pressione fiscale inferiore. Inoltre, non sono mai giunti gli investimenti promessi. Abbiamo stabilimenti fantasma e problemi invece reali e concreti: cosa si produrrà ora a Mirafiori, Cassino, Pomigliano, Melfi, e cosa accadrà a Termini Imerese? Dati alla mano, lo scorso anno sono state prodotte 370mila auto quando Fabbrica Italia prevedeva la creazione di 1milione e 400mila veicoli. Questa è la triste verità.
Sta dicendo che Marchionne non ha mantenuto i patti?
A partire dal referendum di Pomigliano, ha proposto uno scambio: occupazione in cambio di diritti. In altre parole, ha imposto l’uscita dal contratto nazionale, maggiore flessibilità e ottenuto l’esclusione dalla fabbrica del sindacato conflittuale (la Fiom), in nome della tutela dei posti di lavoro. Un ricatto. E invece ora ci sono migliaia di operai in cassintegrazione a zero ore, stabilimenti fermi, lavoratori a rischio licenziamento e nessuna prospettiva per il futuro. A chi elogia l’operato dell’amministratore delegato chiedo: ma gli operai, in tutto questo, cosa ci hanno guadagnato?
Tra l’altro il marchionnismo, in tal senso, sembra fare scuola. L’Electrolux pare orientata nello stesso senso: o i lavoratori accettano compressione di diritti e diminuzione salariale, o la produzione viene trasferita all’estero. Come se ne esce?
Le posso fare una domanda io?
Prego.
Ma il “modello Fiat” non doveva rimanere un’eccezione? Come mai è diventata la regola?
Eh, me lo dica lei.
La compressione dei diritti e la flessibilizzazione estrema delle forme di lavoro mettono fuori mercato gli stabilimenti perché nella concorrenza verso il basso c’è sempre qualcuno con un costo della manodopera inferiore al tuo. Con tale logica si rischia di tornare allo schiavismo. In realtà succede da tempo nel settore manifatturiero e nelle piccole e medie imprese: sistema del ricatto salariale per i lavoratori e conseguente abbassamento della qualità dei prodotti. Non se ne esce finché al tavolo delle trattative non si siedono tutti i soggetti: da noi manca il governo. Il ministro dello Sviluppo Zanonato dopo gli incontri con l’amministratore delegato Fiat si sente sempre rassicurato ma poi, nel concreto, siamo punto e accapo. L’esecutivo è totalmente assente e passivo.
Nel resto d’Europa com’è la situazione?
Il panorama dell’automobile non è idilliaco ma è ripartito grazie a nuovi investimenti e puntando sull’innovazione, mentre la Fiat perde di anno in anno quote di mercato, non ha ideato una macchina ibrida o elettrica. Dal punto di vista del bilancio grava sulle risorse dello Stato, che paga la cassa integrazione in deroga finché può farlo, dopo di che ci saranno migliaia di licenziamenti. E, nel frattempo, le condizioni dei lavoratori sono pessime: gli operai sono in pochi e lavorano tanto. Non a caso sono in aumento, tra loro, le patologie muscolo-scheletriche per l’enorme mole di carichi. In Francia di fronte alla crisi della Peugeot il governo ha riflettuto e messo sul tavolo le ipotesi della ricapitalizzazione pubblica o nuovi investimenti. Da noi invece? Come Fiom non siamo affezionati al feticcio della Fiat, a noi interessa solamente che l’azienda – qualsiasi siano i proprietari – torni a lavorare e difenda occupazione e diritti degli operai.
Passiamo al congresso Cgil. Lo strappo tra Susanna Camusso e Maurizio Landini si può ricucire o siamo ad uno scontro insanabile?
La Camusso ha firmato un accordo con Confindustria senza che esso sia stato oggetto di una discussione. Un accordo, pessimo, che prevede sanzioni verso i sindacati o i lavoratori eletti, introduce l’arbitrato interconfederale in sostituzione dell’autonomia delle singole categorie e fa comparire elementi che configurano una concezione proprietaria dei diritti sindacali. Di fatto vengono limitate le libertà sindacali, anche in contrasto con la recente sentenza della Corte costituzionale sulla Fiat. Il tutto espone i lavoratori al prossimo attacco che sarà quello contro il diritto di sciopero. Quella firma va ritirata.
Intanto in vista delle prossime europee si sta costruendo una lista della società civile che sostiene come presidente della Commissione a Bruxelles Alexis Tsipras. Anche i partiti della cosiddetta sinistra radicale sembrano interessati. Che ne pensa?
La Fiom è un sindacato. Rimane fuori dalle elezioni. Ed io non amo parlare di politica.
Insisto. Avrà un giudizio personale, qual è?
Non mi convincono i progetti a sinistra che nascono in prossimità delle scadenze elettorali. La discussione rimane in un circuito chiuso e non è capace di parlare al Paese: gli operai di Termini Imerese si fermano al tripolio Berlusconi-Renzi-Grillo, neanche sanno dell’esistenza di una quarta opzione. E visti i precedenti di Sinistra Arcobaleno e Rivoluzione Civile, il problema è il rapporto esistente tra realtà e rappresentanza e al momento mi sembra proprio non ci sia tale spazio politico.
Neanche se si riesce a costruire qualcosa di nuovo e non settario?
Se nasce tale lista e va bene, non posso che compiacermi ma vedo i grossi limiti come il personalismo. Tsipras è un’ottima figura, trovo però assurdo che in Italia si discuta di lui e non di Syriza, il suo partito, e di come sia passato dal 2 al 30 per cento in pochi anni o come la sinistra greca si sia autorganizzata. La rottamazione renziana la sconfiggi solo con l’innovazione ed essa è nelle pratiche mutualistiche, nella lotta sindacale, nelle occupazioni, nell’idea alternativa di società. Non mi convincono le discussioni a sinistra che vanno avanti secondo le scadenze elettorali.
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