Non è cambiato niente. Oggi come 50 anni fa la colpa è sempre dei giornalisti. “Il caso Lillo” è devastante se inquadrato al di là dei dettagli tecnici. Ha ragione Travaglio: “Ora è il momento di uscire dai tecnicismi e alzare lo sguardo. Non siamo né il primo né l’ultimo giornale a pubblicare notizie segrete e a subirne le conseguenze (…) quando si tocca il più intoccabile degli intoccabili – Matteo Renzi – bisogna prepararsi a tutto.”
In passato altri giornali sono stati sotto attacco; mi sono occupato - lavorando a La passione dell’etica, Mondadori - dei fatti relativi al tentato colpo di stato del generale De Lorenzo.
Può essere utile richiamarli. Il caso esplose nel 1967. Intrighi, complotti, trame: “Il Paese è stato ad un passo dal colpo di Stato militare” (L’Espresso, 14 maggio 1967). Denunce forti. Per i suoi articoli Scalfari, nonostante la richiesta d’assoluzione del pubblico ministero Occorsio, venne condannato. La candidatura al Parlamento gli garantì l’immunità parlamentare. Perché richiamo questi fatti? Perché con tutta evidenza, oggi, siamo di fronte a un altro caso - diverso, certo - di “giornalismo di denuncia” che finisce sotto inchiesta: la penna di un giornalista è, di nuovo, nel mirino.
Marco Lillo e il Fatto Quotidiano sono massacrati per aver rivelato e denunciato lo scandalo Consip. La sintesi perfetta l’ha trovata Vauro: “Caso Consip, perquisito Lillo. “Devo alzare le mani?” “No, chiudere la bocca”. E’ in gioco il diritto all’informazione, questo è il punto, anche se lo si nega con incredibile inversione dei fatti: il giornalista che denuncia diventa il responsabile e passa in secondo piano il fatto denunciato. Giuliano Ferrara scrive, addirittura, che è “Il nostro Watergate”. Paragone assurdo: 1. Nel caso Watergate nessuno attaccò il capo del governo; al contrario: era il Presidente e capo del governo responsabile dell’intrigo e fu proprio lui (Nixon), messo sotto accusa, a doversi dimettere; 2. In America, un giornale libero, il Washington Post, denunciò le trame del Potere. Ormai è storia: Watergate significa: “Un giornale che denuncia e un Presidente che si dimette”. In Italia è il giornalismo a trovarsi sotto accusa. E’ gravissimo. “Perquisizioni, ordini di esibizione, cassetti scassinati, computer e telefonini sequestrati”: la sede del Fatto è stata invasa, maltrattata, umiliata, offesa. Neanche nei primi anni Sessanta, sotto governi autoritari, “L’Espresso” - testata di dura opposizione - subì un trattamento simile. E’ una vergogna!
Una vergogna anche il silenzio di molti intellettuali. Sartre: “Lo scrittore è ‘in situazione’ nella sua epoca: ogni parola ha i suoi echi. Ogni silenzio anche. Io ritengo Flaubert e Goncourt responsabile della repressione che seguì la Comune perché non hanno scritto una riga per impedirla. Non era affar loro, si dirà. Ma il processo di Calas era affare di Voltaire? La condanna di Dreyfus era affare di Zola? L’amministrazione del Congo era affare di Gide? Ciascuno di questi autori, in una circostanza particolare della vita, ha misurato la propria responsabilità di scrittore. L’occupazione ci ha insegnato la nostra.” Insomma. L’intellighenzia italiana non ha niente da dire se un giornalista che indaga e denuncia viene intimidito? E’ normale che si perquisiscano - in un Paese libero - le sedi dei giornali? E’ giusto che la libertà di stampa subisca un attacco che ricorda altri tempi? Cosa significa - di cosa è sintomo - il silenzio assordante di opinion leader e giornaloni? “Repubblica” ieri non aveva spazio per l’incursione inaudita in un giornale di opposizione: doveva occuparsi (pag. 23) di un tema decisivo: “La sfida della bresaola”.
Ho la massima stima per la magistratura e fiducia nel suo lavoro. Mi limito a dire che il caso Consip non è “il nostro Watergate”; che Marco Lillo non è un mostro; che in Italia, ogni volta che vengono toccati i potenti si apre “un’indagine sull’indagine”. Non è cosa di poco conto. E’ tema serio, soprattutto se cominciano a perquisire le sedi dei giornali. Impossibile non pronunciarsi. Sartre: “Noi non vogliamo perdere niente del nostro tempo; forse ce n’è di meglio, ma è il nostro tempo; non abbiamo che questa vita da vivere” con questi eventi. Intellettuali, scrittori, è davvero possibile tacere senza sentirsi complici – col silenzio – di quanto accade?
fonte: MicroMega
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