di Giuseppe Masala.
Mentre la crisi ucraina sta spingendo il blocco occidentale (NATO + UE) e la Russia in direzione di una nuova guerra fredda, assistiamo a una vera e propria offensiva economica da parte delle potenze eurasiatiche (Cina + Russia).
Un fenomeno questo non troppo analizzato dai nostri mass media, che passano la lente d'ingrandimento sulla singola operazione ma non sulla strategia complessiva.
Da un lato la Russia si concentra nella "reintegrazione" di quel che era lo spazio sovietico, sia con l'allargamento e approfondimento della "Unione Eurasiatica" (Russia, Bielorussia, Kazakistan e Armenia ), sia attraverso la firma di nuovi trattati di cooperazione. Solo in questi giorni abbiamo assistito alla firma di un trattato di "cooperazione e integrazione" tra Russia e Sud Ossezia (una delle due repubbliche ribelli resesi indipendenti dalla Georgia) e al vertice tra Putin e il presidente del Kirghizistan per discutere dell'entrata di questa nazione nell'Unione Eurasiatica.
Non solo: ieri durante il vertice trilaterale tenutosi nella capitale kazaka Astana tra Putin (Russia), Nazarbaev(Kazakistan) e Lukashenko (Bielorussia), il capo di Stato russo ha lanciato l'idea di creare una moneta comune tra questi stati. Un'idea che più di ogni altra chiarisce la volontà russa di "riunificare" in una sfera geopolitica più compatta molti paesi che facevano parte dell'Unione Sovietica. È evidente la volontà russa di riuscire a raggiungere quel peso demografico, economico, politico e strategico tale da riproiettarla a pieno titolo tra le superpotenze, oltre che evitare a tutti i costi che paesi come il Kazakistan e la Bielorussia possano essere attratti nel campo avverso Occidentale magari dopo una 'provvidenziale' Rivoluzione colorata'.
Dall'altro lato anche la Cina pare aver abbandonato il basso profilo che da sempre contraddistingue la sua azione politica ed economica. Nel giro di pochi giorni abbiamo assistito ad una spettacolare"offensiva" della superpotenza asiatica, rivelata dalla richiesta di entrare in qualità di paesi fondatori nella sua "Asian Infrastructure Investment Bank"da parte di alcuni paesi pur strettamente legati agli USA e alla sfera dell'Occidente: Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia e Australia.
Non solo in Italia indiscrezioni di stampa paventano l'acquisto da parte di una società statale cinese (la ChemChina) della super blasonata Pirelli.
Ad un'analisi più approfondita, questi fatti sono la punta dell'iceberg di una strategia ben più complessa che riguarda l'Italia (e non solo). Infatti, in questi ultimi anni alcune società statali cinesi hanno acquisito partecipazioni in importantissime società italiane. L'esempio più eclatante è il 35% di CDP Reti (che controlla due campioni quali Terna, ossia la rete elettrica, e Snam Rete Gas) acquisito dal colosso cinese State Grid Corporation, ma non dimentichiamo le partecipazioni in Saipem ed Enel, o ancora l'acquisizione della casa di moda Krizia e le partecipazioni in altre 272 società medie e piccole (fonte: KPMG "China Outlook 2015").
Solo a titolo esemplificativo, non va dimenticato che anche altre nazioni quali Portogallo e Grecia hanno visto sbarcare in grade stile i capitali del "regno di mezzo". Il Portogallo ha visto l'acquisto di una forte partecipazione nella società Energias de Portugal e nella sua rete elettrica, la Grecia invece ha visto acquistare il Porto del Pireo, che nei progetti dovrà diventare il più importante d'Europa superando perfino Rotterdam.
Al di là dell'aspetto economico legato a una politica ben nota (la "go out policy") e tendente a internazionalizzare le imprese cinesi anche attraverso la riduzione delle proprie immense riserve in valuta estera, sembrerebbe di essere di fronte ad una vera e propria offensiva diplomatica. Quali obiettivi possiamo ipotizzare? Esercitare una influenza in molti paesi della NATO e della UE, controbilanciare l'influenza americana e in definitiva tentare di limitare l'aggressività contro la Russia e in prospettiva anche contro la Cina stessa (gli USA non hanno mai nascosto il loro piano di contenimento nei confronti di Pechino, definito "pivot to Asia").
Vedremo se questa strategia funzionerà o se addirittura aumenterà la disperazione dell'Impero in difficoltà.
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