La recente débâcle del M5S in Abruzzo segnerebbe l’inizio della fine per il partito di Di Maio, come annunciano gli araldi dell’ancien regime italiano, formato da gruppi di parvenu, faccendieri di lungo corso, leccapiedi e baldracche che per 70 e più anni hanno speculato alle spalle e sulla pelle degli Italiani, grazie ad affiliazioni mafiose con lobby affaristiche, media compiacenti e, negli ultimi anni, neoliberisti senza scrupoli che tengono a libro paga politici a livello nazionale ed europeo, come insegna Più Europa della sig.ra Bonino.
E lasciamoli cantare. I fatti finora hanno confermato che tutte le volte che alle elezioni amministrative locali il MoVimento ottiene risultati inferiori a quelli delle politiche, si scatenano i coristi che ne annunciano la fine imminente. E sufficiente vedere i dati.
Alle elezioni politiche del 2013 il M5S ottenne un 23,8%, ma alle comunali di Giugno 2017 la media fu del 7,8%. Esattamente 9 mesi dopo nel Marzo 2018 conquista il 33,5% alle politiche. Poi alle comunali di Giugno 2018 la media è del 12% ed ora un 20% in Abruzzo, con una perdita rispetto alla Lega che sarebbe di 10 punti netti. Gli autori di necrologi dovrebbero quindi tacere, perché se il trend altalenante venisse nuovamente rispettato alle prossime Europee il M5S dovrebbe vincere con una percentuale da record. Tuttavia l’ennesima sconfitta in casa pentastellata ha lasciato il segno, o almeno dovrebbe.
Va bene osservare i risultati, ma, senza puntare il dito contro Sara Marcozzi che in Abruzzo ha dato il massimo, rimane un altro fatto su cui il M5S deve riflettere: come è possibile andare sistematicamente incontro a simili scenari deludenti?
Su scala nazionale il MoVimento è un gigante politico, ma sul territorio, a livello regionale o locale, nella stragrande maggioranza dei casi si rivela un nano, nonostante le campagne che porta avanti siano sacrosante.
Se dunque i valori e le linee programmatiche del M5S non sono in discussione (escludendo partiti dell’ex regime, pochi venduti o sprovveduti, sfido chiunque a sostenere razionalmente che aiutare chi è in difficoltà non va fatto, o che l’impianto affaristico mafioso non vada smantellato) è chiaro che a non funzionare non è il programma e i principi, quanto il sistema di selezione che porta il M5S ad essere rappresentato da candidati poco convincenti.
La Lega di Salvini seleziona accuratamente i propri rappresentanti politici a tutti i livelli delle competizioni elettorali, mentre il M5S cosa fa? Analogamente li seleziona, ma come? Con criteri oggettivi o con quelli dell’improvvisazione? Un dottorato ce l’hai perché l’hai conseguito o solo perché lo dichiari e intanto vai avanti perché qualcuno dietro le quinte ti dice “non preoccuparti, fin qui tutto bene”?
Un fatto esemplificativo. Per le elezioni nazionali 2013 sul palco del M5S a Parma si presentò un gruppo di diversi candidati. Fra costoro vi era Maria Mussini, che eletta di lì a poco sarebbe stata espulsa entro un anno. Mara Mucci avrebbe abbandonato meno di 2 anni dopo; Elisa Bulgarelli, silenziosa sul palco, sarà espulsa per una questione legata ai rimborsi, ma solo nel 2018, mentre per 5 anni ha potuto anche sostenere che le “battaglie” di Pizzarotti erano legittime arrivando al punto di mettere a lutto il suo profilo FB quando quest’ultimo se ne andò nel 2016… difficile capire con che zelo abbia servito gli ideali del MoVimento dai banchi del parlamento; Sarti, finita nella vicenda dei rimborsi prima delle politiche 2018, non verrà espulsa; Michele Dall’Osso, osannato da molti in ER come campione dei diritti, eletto nel 2013 e rieletto nel Febbraio 2018, passerà nel Dicembre 2018 a Forza Italia.
Di quelli che rimangono 3 non verranno eletti nel 2013. Di costoro uno diventerà un l’alfiere pizzarottiano, si presenterà alle nazionali del 2018, dove verrà dichiarato, per fortuna, incandidabile. L’altro, nonostante note simpatie per il sindaco di Parma, sarà eletto consigliere M5S a livello locale nel 2016, e sembra che abbia il vizio di votare per il PD – risulterebbero ben 21 votazioni in cui si schiera col PD in due anni e mezzo di sedute del consiglio comunale di cui fa parte. Un altro candidato, che sul palco si esprimeva a monosillabi, raggiungerà una delle più alte cariche dello stato.
Se su 10 persone che ti rappresentano 5 ti piantano in asso vuoi per grana o per improvvise conversioni sulla via di Damasco, altri 3 se la filano con chi nel M5S non ci sarebbe mai dovuto entrare o col PD, e dei pochi rimasti una parla quando le accendono il telecomando, e tutti sono stati selezionati col metodo “democratico” e prima di ricevere il biglietto per il Parlamento erano sul palco a gridare “W Grillo!” per poi scoprirlo “dittatoriale” appena scesi dal treno alla stazione Termini, allora qualche domanda dovremmo porcela, oppure no? Cosa è cambiato da allora? Poco perché, seppure negli anni durante le varie consultazioni primarie per selezionare i candidati siano stati introdotti alcuni vincoli temporali di iscrizione, il sistema continua a fare acqua.
Basti osservare che nelle politiche dello scorso anno comparvero magicamente dei prescelti calati dall’alto, che prima di approdare al M5S avevano fatto per anni i giri di tutte le chiese e parrocchie ed infine deciso di darsi una ripulita “rivoluzionaria”, oppure “nuovi delfini della politica” iscrittisi al M5S giusto in tempo per le elezioni. Alcuni presero dei bei pacchetti di voti alle primarie, nonostante nessuno li avesse mai visti ad un banchetto prima della scadenza miracolosa della presentazione della candidatura. Non si conoscono loro interventi o articoli di analisi politica o di critica, ma solo post in cui si limitano a fare copia e incolla di slogan prima usciti sul blog. E poi, inspiegabilmente, te li ritrovi a presentare petizioni a Bruxelles e ad avere svolto nei mesi scorsi tutte – proprio tutte! – le iniziative di merito che servono a mettere in pole position i candidati in vista delle nuove Europee, seppure le regole che identifichino tali attività e il sistema dei “9 meriti” siano state pubblicate da poco su Rousseau. Diamine, bisogna ora solo capire se sia chiaroveggenza stellare o se qualcuno li abbia parakulati. Voi che dite?
Nel campo di quelli selezionati come tecnici spesso il trend si conferma. Lorenzo Bagnacani, scelto nel 2013 dall’allora amministrazione 5 Stelle di Parma come rappresentante del comune in IREN, proviene da Reggio Emilia da cui era stato caldamente consigliato al sindaco di Parma. Quest’ultimo lo presenta in conferenza stampa mentre Bagnacani si prodiga a sottolineare che si ridurrà lo stipendio in linea con i valori del M5S, ma… non lo farà mai, anzi glielo aumentano e non risulta che abbia mai ufficialmente rinunciato ad un ghello! E sia chiaro: fin qui ci poteva anche stare. Ha detto una cosa e ne ha fatto un’altra, non è un campione di coerenza, ma non era tenuto a ridursi lo stipendio: OK, ma chi lo ha proposto? Li avete mai sentiti prendere pubblicamente le distanze da Bagnacani o da altri sponsorizzati che poi al momento opportuno hanno girato tacchi e cambiato giacca per indossare vestiti nuovi con tasche più grandi? No. In realtà quasi nessuno ha aperto bocca.
Questo almeno fino a due giorni fa, quando l’amministrazione Raggi ha finalmente deciso di dire basta allo spettacolo offerto da Bagnacani. Però ci sono voluti 6 anni nei quali alcuni che si stracciano le vesti al grido di “cambiamento” e “rivoluzione” addirittura applaudono, mentre Bagnacani, che non sembra abbia portato molta fortuna a Roma, dopo non averne portata assolutamente a Parma, fa carriera nel M5S con verosimili incrementi – mai riduzioni – di paga. Viene da chiedersi come sia stata possibile una simile escalation. Serve poco criticare la Democrazia Made in Bettola di Bersani e compagni se l’unica cosa sostanziale che riesci a fare è sostituirla con quella Made in Reggio, di natura incerta ma che sicuramente di quella bersaniana rappresenta il correlativo oggettivo e che con gli ideali del M5S ha a che vedere come Renzi con Che Guevara. Se Bersani andava buttato nella pattumiera ai suoi epigoni vogliamo dare un premio? Ma chi vogliamo prendere per il kulo con questi sistemi?!
Ora Di Maio annuncia la nascita di una segreteria perché dall’alto forse cominciano a rendersi conto che non funziona, che bisogna aprirsi alla società civile, e attrarre candidati dal mondo della cultura e dell’imprenditoria anche per le consultazioni amministrative, come è stato fatto per le politiche. E ben venga, ma se a dirigere la segreteria ci mettono pezzi da ’90 come quelli che hanno scelto i Bagnacani o alcuni dei candidati di cui sopra, allora abbiamo finito prima di iniziare. Sarà l’eterno ritorno dell’identico perché le cose continueranno come prima. Nessuno pretende di trovare delle Giovanne D’Arco o dei Guevara disposti ad immolarsi sull’altare della democrazia rivoluzionaria e populista, ma non dovrebbe essere difficile promuovere un minimo di capacità, onestà intellettuale e fedeltà dimostrata sul campo invece delle semplici garanzie degli amici degli amici, che sembrano non capire che se uno vale uno è altrettanto vero che zero vale zero, e se è amico tuo zero rimane, anche se hai le stelle cucite sul colletto. O è forse davvero un’operazione “troppo” difficile da concepire e realizzare?
Il M5S si sta avvicinando ad un momento cruciale per la propria credibilità e futuro politico. Per essere credibili saper protestare non basta; devi governare. Ma per essere credibile quando governi, devi farlo consegnando quanto hai promesso, e laddove non riesci devi spiegare il perché. Se ti limiti ad occupare delle sedie alla meno peggio gli elettori, che non sono solo quel popolo cornuto che immaginavano i mafiosi ne Il Giorno della Civetta, se ne accorgono e ti lasceranno. Nella massa dei votanti vi sono persone prive di ambizioni politiche, ma che con le proprie capacità da anni sostengono il M5S e vogliono solo vedere le cose cambiare per il meglio. Costoro si spendono quotidianamente dando energie, promuovendo iniziative, scrivendo articoli, proponendo dibattiti, difendendo il M5S in forum e nella vita politica e privata delle comunità a cui appartengono. Se di fronte a continue musate vedono la riproposizione di uno schema dove le loro iniziative sono bollate come quelle di utili idioti che fanno da contorno ad imbelli ed incapaci scherani di capobastone prepotenti, costoro si romperanno definitivamente le tasche, e lasceranno il M5S dove sta, proprio perché da persone consapevoli sanno che non possono aspettarsi niente da chi si è imbarcato perché ama la grana e ad altri valori o al cambiamento dimostra di non essere interessato.
Nel Dicembre scorso è stata inaugurata a Piacenza una mostra – Annibale, un mito Mediterraneo – che ripercorre l’epopea del generale cartaginese che attraversò le Alpi con un esercito di 90.000 uomini e 40 elefanti nell’autunno inoltrato del 218 A.C. All’inizio i Romani pensarono che la traversata avrebbe risolto il problema mentre loro non erano riusciti a bloccare il nemico prima che passasse il Rodano. Per poco non fu così, ma nel momento in cui 36.000 cartaginesi con quello che era rimasto dei pachidermi sbucarono nella valle del Po, si resero conto di aver sbagliato… un po’ come quello che a posteriori deve essere successo a Fassino dopo aver preso in giro Grillo dicendogli “Fai un partito e presentati alle elezioni se ci riesci. Vedremo allora cosa combini”.
Annibale discese in Italia con schiere di Iberici e Nord-Africani aggregando a sé tribù celtiche di Boi ed Insubri, i Liguri, e tutti coloro che soffrivano la dominazione di Roma. Con la precisione inesorabile di un ariete che batte una breccia distrusse un esercito consolare dopo l’altro. Dopo il primo scontro di cavalleria sul Ticino, sbaragliò metà delle forze che la Repubblica schierò alla Trebbia nel Dicembre del 218, aggirò ed intrappolò nella nebbia le legioni sul lago Trasimeno, fino allo scontro di Canne del 2 Agosto del 216 A.C., dove con forze pari alla metà di quelle avversarie colse una vittoria travolgente e terribile. Von Schlieffen sottolinea come in quel pomeriggio di Agosto il generale Cartaginese sostenne uno scontro combattuto magnificamente e pianificato nei minimi dettagli, riuscendo a esprimere l’essenza di una letale combinazione fatta di cultura militare e spirito guerriero. Fece scattare una trappola che in poche ore portò all’accerchiamento e alla distruzione dell’esercito che Roma gli aveva mandato contro, in una battaglia di annientamento che vide la morte di 75.000 – 50.000 secondo Livio – romani e loro alleati, di cui 29 tribuni militari ed oltre 80 tra consoli, ex-consoli, questori, e senatori, che costituivano gran parte dell’allora classe dirigente di Roma.
Analogamente la strabiliante vittoria del M5S nei collegi del Sud durante le ultime elezioni politiche non è stata frutto del caso. Puntando sul Reddito di Cittadinanza e il recupero dei diritti, parlando al cuore di vasti strati della popolazione abbandonati a sé stessi da anni, il M5S ha annientato gli avversari grazie ad un’accurata campagna mediatica e ha conquistato milioni di elettori. Ma dopo il successo cosa è avvenuto?
Dopo il trionfo di Canne Annibale continuò ad occupare il Sud Italia, mentre tentava in tutti i modi di attirare nuovamente il nemico in una trappola per assestargli il colpo mortale, ma non vi riuscì più. All’inizio delle ostilità le legioni di Roma furono condotte al disastro da generali mediocri, incapaci di tenere testa al genio di Annibale che usava astuzia e forza dove era necessario, e spesso l’astuzia era più pericolosa della forza come il Trasimeno e Canne avevano dimostrato. Ma dopo tre anni di disfatte Roma stava imparando e, forte di un sistema che da 500 anni selezionava la propria classe dirigente e le leve dell’esercito in modo sistematico, non considerò per un solo momento di cedere, neppure dopo aver visto le sue legioni disfatte in serie l’una dopo l’altra fino all’ecatombe di Canne. All’indomani della carneficina in Senato dissero “abbiamo subito una terribile sconfitta. La situazione è grave”; nessuno pensò di gettare la spugna e consegnarsi ai Cartaginesi. Nell’esercito di Annibale vi erano mercenari che si battevano se pagati, ma anche Celti non unicamente a caccia di bottino e motivati dalla riconquista della libertà, come altre popolazioni peninsulari stanche dei soprusi dello strapotere Romano.
Con queste genti Annibale voleva creare alleanze stabili, per sottrarle definitivamente alla sfera di influenza dell’Urbe, e a tal fine scongiurò i diffidenti membri dell’elite cartaginese ed il senato della città punica di inviargli più truppe e mezzi, necessari per soppiantare Roma in Sud Italia, al momento messa in crisi dal genio di un solo uomo. Ma i suoi interlocutori non l’ascoltarono mai veramente, troppo impegnati a far le scarpe ai Barca e in giochi di potere interni. Nella loro cecità si ritennero soddisfatti di aver vendicato la sconfitta della Prima Guerra Punica e aver messo in crisi Roma per un po’, recuperando qualche rotta commerciale, mentre la Repubblica preparava la riscossa. E questa arrivò, organizzata con cura prima con Quinto Fabio Massimo, che, a differenza dei suoi predecessori, evitò di affrontare Annibale in campo aperto e permise a Roma di consolidare il fronte interno, e poi con Scipione. Annibale, lasciato solo e con scarsi rinforzi, dopo 16 anni di campagne in Italia, impossibilitato a creare un solido sistema che si sostituisse a quello Romano nonostante le sue incredibili vittorie, fu richiamato a Cartagine minacciata di invasione. Sappiamo come finì.
L’Italia di oggi è un po’ come la Repubblica Romana di 2200 anni fa. Come la folgore cartaginese il M5S ha ottenuto due successi nazionali strepitosi che lo hanno consacrato primo partito galvanizzando gli Italiani con campagne per la solidarietà nazionale, la lotta alle lobby affaristico mafiose, il lavoro, la meritocrazia, il recupero di diritti reali che la Costituzione stabilisce per i cittadini, contro un sistema clientelare di caste chiuse e circoli affaristico-familiari che hanno depredato risorse prima e diritti poi, lasciando l’Italia e il suo popolo sul baratro. Proprio come Annibale il M5S ha riunito le popolazioni dell’Italia in una grande crociata contro una sistema politico che imponeva controllo e tributi continui privando i ceti medio-bassi di aspettative ad una vita migliore e di diritti reali, né più né meno di come Roma privava di diritti i popoli italici e ne requisiva sistematicamente le risorse per mantenere in primis il proprio apparato socio-economico e la sua macchina da guerra. E i popoli dell’Italia, ora come allora, hanno risposto entusiasti.
Ma la guerra non è la condizione permanente dell’animo umano, come insegnano i Greci e Hanson in L’Arte Occidentale della Guerra, per cui finché da Roma la casta di regime continua a mettere in campo degli impresentabili, il M5S vince, come vinse Annibale capace di sfruttare debolezze ed incapacità degli avversari. Ma per la legge delle probabilità tale quadro non può riproporsi all’infinito. Il campo avverso, che negli ultimi anni ha prodotto dei Renzi, delle Boschi e dei Martina, non sarà sempre e solo dominato da ottusi e da una pletora di babbi di minkia, spacconi senza spessore politico che dichiarano di “mangiare pop corn” mentre guardano lo show del governo, accusano gli altri di fascismo e discriminazione e al congresso del proprio partito siedono in una tribuna rigidamente divisa dal resto degli altri delegati, a riprova di come intendano veramente l’uguaglianza e la democrazia. Qualora il sistema promuovesse un Quinto Fabio Massimo e poi uno Scipione che sappiano riprendere i grandi temi che la sinistra Italiana di governo ha gettato alle ortiche per il proprio portafoglio, per ripresentarli con coerenza e forza all’elettorato, potrebbero essere guai seri. Se per allora il M5S non avrà messo in campo un organismo atto a selezionare personale capace, e non torme di squinternati millantatori che ti piantano in asso se vedono altrove la prospettiva di due euro in più, spesso messi lì da qualche capobastone che con trasparenza, rivoluzione e democrazia non centra nulla, ecco che allora sarà davvero la fine.
Morale: l’arrivo di Annibale, proprio come il trionfo del M5S, sorprese e travolse il nemico in breve tempo, ma negli anni non riuscì a creare un sistema alternativo a quello degli avversari radicandolo sul territorio, come il M5S non è stato in grado di fare finora. Dopo 16 anni lo slancio iniziale e il prestigio dei successi del generale cartaginese si esaurì – e nell’epoca dell’informazione digitale per il M5S i tempi sono sicuramente più ridotti rispetto a quelli delle Guerre Puniche – senza che questi fosse riuscito a sconfiggere definitivamente Roma né a scalzarla nei rapporti con le popolazioni Italiche. Ecco che allora queste ultime – come parte dell’elettorato Italiano ha già fatto – e perfino i Celti alleati finirono per ribellarsi ai Cartaginesi e si schierarono nuovamente con Roma, Annibale fu richiamato in patria e il sipario si chiuse. Se tale scenario finora scongiurato si profilasse, non ci sarà neppure bisogno di un banditore della reazione che si metta a predicare di tanto in tanto “Delenda Carthago”, perché quel che resterà del M5S non farà più paura a nessuno né in patria né altrove. Questo è il rischio concreto.
E se questo accadrà non sarà per jella, ma perché in guerra, come in politica, quello che i combattenti, per quanto abilmente guidati o valorosi, possono provare e conseguire sul campo di battaglia può essere surclassato da elementi molto più importanti, di natura astratta e proprio per questo ancora più pericolosi. Il capitale, la tecnologia, la natura e le scelte del governo e le aspettative che esso offre e non semplicemente la forza degli eserciti – o dei partiti – e gli obiettivi per cui si mobilitano e combattono, sono fattori chiave nei conflitti e spesso alla lunga decidono chi deve vivere e chi no. Lo dimostra la Seconda Guerra Mondiale che fu vinta dagli Alleati non perché i loro soldati fossero ideologicamente superiori ai nazifascisti o più motivati di questi, per quanto aberrante il nazismo sia stato, ma perché per ogni proiettile che Krupp produceva nel ’44-’45 la General Motors gliene rispediva quattro.
Nei secoli successivi a Canne gli eserciti di Roma avrebbero affrontato altri geni tattici quali Sertorio, Spartaco e il suo comando di esperti gladiatori, Giugurta, lo scaltro Mitridate, Vercingetorige e le sue orde galliche sotto le mura di Alesia e le moltitudini di Parti che disfecero Crasso e il suo esercito in oriente. Costoro complessivamente massacrarono in battaglia circa mezzo milione di legionari, ma le loro vittorie non produssero alla lunga il benché minimo effetto sulla Repubblica che continuò ad espandersi consolidando il controllo dei territori gravitanti attorno al bacino del Mediterraneo: infatti la quasi totalità di questi avversari furono uccisi o ridotti in catene, e i loro eserciti regolarmente massacrati, dispersi, crocifissi e gli scampati resi schiavi.
Questo avvenne perché sul campo i nemici di Roma non si scontrarono – e lo stesso valse per Annibale a Canne – semplicemente contro una massa di avversari, ma contro un ideale espresso da un sistema che lo sosteneva, un sistema che, nelle parole di Giuseppe Flavio, produceva una macchina da guerra che conduceva “manovre di addestramento che sono battaglie senza spargimento di sangue, e battaglie che sono manovre con spargimento di sangue”. Era lo stesso sistema che perse brutalmente a Canne, che di lì a poco subì in Spagna un altro rovescio che gli costò 20.000 morti, vide gran parte dei soci dell’Italia centro-meridionale disertare, che fu abbandonato da Capua e da altre città alleate mentre la flotta cartaginese razziava impunita le coste della Sicilia. Un sistema che durante l’incubo della Seconda Guerra Punica, ricorda Livio, non pronunciò “una sola parola di pace”, ma nel giro di 16 anni dal disastro di Canne sconfisse Annibale, vinse la guerra e mise in ginocchio Cartagine, sulla quale anni dopo sparse il sale.
Potrebbe dunque accadere di nuovo che la gran parte dei cittadini Italiani arrivino a pensare che il futuro dei propri figli sia in mani migliori sotto l’egida di partiti tradizionali che potrebbero rinnovarsi, e che sono già stati premiati alle regionali, che non nelle speranze riposte in una compagine populista talvolta raffazzonata che non convince, così come i contadini della penisola all’epoca della Seconda Guerra Punica finirono per preferire il sistema Romano a quello instabile di alleanze cartaginesi, ispirato sì da un sentito e generico richiamo alla libertà, ma alla lunga mantenuto solo dal denaro e dal bottino e fondato sull’odio verso Roma.
Chi crede di poter vincere ed abbattere politicamente sistemi complessi e consolidati con materiale umano selezionato con criteri da casting televisivo o presentato come “fidato” da amici degli amici è un folle, ancora prima di qualsiasi altra cosa. O esiste qualcuno col cervello fritto al punto tale da credere seriamente che persone che per essere elette ricorrono ad inventarsi competenze e fanno a spintonate all’interno di multiformi e dubbie correnti locali, dove emergono raccomandati doc appoggiati da capetti di mezza tacca sponsorizzati da guru autoreferenziali introdottisi nel M5S, cambieranno mai qualcosa?
Pur con tutta la fantasia del caso vi è il fondato dubbio che chi si fa valere con simili mezzucci e non rispetta nessuna regola se non quella del proprio interesse, non sarà mai in grado, non solo di “volare alto” e discutere seriamente ad un tavolo internazionale di problemi di geopolitica del Mediterraneo o degli standard di sicurezza da adottare per contrastare l’ISIS, ma semplicemente di affrontare gli esponenti di Confindustria o rinegoziare condizioni favorevoli in un contratto nazionale di lavoro. Come la fai la rivoluzione culturale con persone culturalmente impreparate che si propongono come vessilliferi del fare che poi, nella loro pochezza, si riduce al dire di fare? Come la cambi concretamente l’Italia con gente così? Con quali esempi? Mah…non era il M5S quello che si batteva contro la casta degli amici degli amici? E allora non dovrebbe essere difficile capire che per governare al meglio, per cambiare davvero, la prima cosa da fare è selezionare coloro che ti dicono apertamente cosa c’è che non funziona, affinché su quello si possa intervenire, invece che circondarsi si servi acritici disposti solo a dire “sissignore” per il proprio tornaconto.
Lo scontro in atto in Italia è una lotta all’ultimo sangue, brutale, cruda, esasperata, senza esclusione di colpi mirati a screditare il M5S e il programma rivoluzionario che porta avanti. Perché vi sia probabilità di riuscita non può essere condotta da chi si autoproclama generale senza aver sentito un colpo sparato dal vivo se non quelli della sua fervida e stupefacente immaginazione. E neppure può essere affidata a candidati incompetenti, figure ignare delle battaglie passate, privi di esperienza ed attivismo concreto e di una dialettica incisiva, capaci solo di agire come yesman di sfruttatori parakulati a loro volta, che si crogiolano nella loro personale fortuna mentre, forse inconsapevoli, sono attorniati da sciacalli in attesa di azzannare a morte la svolta democratica e populista per ridurla ad un simulacro.
E’ davvero ora di eliminare l’anarchia sterile, fintamente democratica e de facto clientelare che per 10 anni ha caratterizzato l’organizzazione interna e che, per inciso, non avrebbe mai dovuto essere tollerata, sia perché contraria a quel cambiamento che il M5S vuole realizzare, sia perché, in politica e più in generale nelle cose umane, non si può pensare realisticamente di risolvere un problema proponendo come soluzione la causa che l’ha creato.
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