di Mario Giordano
Non ci hanno bocciato? Possibile? Ma comesi permettono? Con tutto quello che abbiamo fatto per loro? E adesso come facciamo? Immaginiamo lo sconcerto l’altra notte, nelle redazioni dei giornaloni, succursali del Partito dell’Apocalisse, di fronte alla ferale notizia: Standard & Poor’s non ha declassato l’Italia. Mantiene la tripla B. Non ci aggiunge quel meno, che sarebbe stato un bel più. Più Spread. Più caos. Più polemiche. Come si fa di fronte a tanta ostinazione? Per fortuna i colleghi dei giornali hanno risorse infinite. E quindi in un batter d’occhio hanno trovato la soluzione: Standard & Poor’s non ha declassato l’Italia, ma noi facciamo come se l’avesse declassata lo stesso.
Non è un’idea fantastica? I titoli del resto erano già pronti in pagina: perché cambiare? Perché rovinare una bella (cioè brutta) storia con la verità?
Così la versione dei quotidiani ieri mattina è apparsa subito chiara: Standard & Poor’s non ci ha bocciato, ma è come se ci avesse bocciato. La volontà conta più della realtà. Tenetelo a mente perché è il ritornello che sentirete per tutta la prossima settimana, nei talk show della sera, nelle dichiarazioni ai tg: Il Corriere della Seradetta la linea, titolando a tutta pagina: «Standard & Poor’s taglia le previsioni sull’Italia». L’articolo comincia: «Dopo la bocciatura di Moody’s, tocca a Standard & Poor’s…». Il Sole 24 Ore punta sui «dubbi sul futuro». La Stampasulle «prospettive negative». Il massimo, però, come sempre lo dà Repubblica, che spara in prima pagina a caratteri cubitali: «Manovra altra bocciatura». Ma come? Altra bocciatura? Anche se non c’è il declassamento? E se ci fosse stato il declassamento, allora, come avrebbero titolato? Manovra incenerita? Manovra distrutta con il napalm? Cucù cucù la manovra non c’è più?
La prova dei colleghi di Repubblica è davvero straordinaria. Colpiti nel sonno dal mancato declassamento, si sono immediatamente attivati per trasformare l’evento positivo in una meravigliosa catastrofe. E infatti l’articolo dedicato al fatto comincia, più che con una notizia, con una profezia: «Non ancora un downgrading….». Non ancora, capito? Quindi il fatto rilevante non è che il declassamento (loro che sono chic lo chiamano downgrading) non c’è stato. Ma che ci sarà. Di sicuro. In futuro. Parola di Repubblica. «La manovra è bocciata su tutta la linea», ci spiegano. Anche se gli esperti di Standard & Poor’s «non hanno spinto i loro giudizi fino alle conseguenze estreme del declassamento».
Ecco: le conseguenze estreme, Ora qualcuno si potrebbe chiedere: ma se Standard & Poor’s ci ha bocciato su tutta la linea, come sostiene l’autorevole quotidiano, perché poi non ci ha declassato? Logica vorrebbe questo, non vi pare? Se io ti boccio su tutta la linea, poi ti declasso. Se non ti declasso, vuole dire che non ti boccio. Almeno non «su tutta la linea». Ma, si sa, la logica in certe redazioni ha avuto (lei sì) un downgrading spaventoso negli ultimi tempi.
Ora so che cosa stanno pensando nei giornaloni importanti e nei circoli dei benpensanti bocconiani che nei prossimi giorni ci martelleranno in ogni possibile talk show: «Ma Giordano, su dai, c’era l’outlook negativo…». In effetti: come avevo fatto a non pensarci? Il declassamento non c’è stato, ma c’è stato l’outlook negativo. Cioè una previsione del futuro. E quindi la preoccupazione per il futuro equivale alla bocciatura. Lo vedete che non si finisce mai di imparare? È un po’ come se domattina mia figlia fosse interrogata a scuola: «Ti do 6, ma stai attenta che se smetti di studiare rischi di prendere 5», dice la prof. E lei viene a casa in lacrime: «Mi hanno bocciata». Io a buon senso direi: no, figlia mia, la prof giustamente si preoccupa, ma non ti ha bocciata. Però, ecco, perché io abbia qualche speranza di convincerla bisogna fare in modo che mia figlia non legga Repubblica. E forse nemmeno il Corriere.
Perché Repubblica e il Corriere, al contrario, ci stanno spiegando proprio questo: quello che conta non è il voto (in quanto positivo), ma l’avvertimento. Quindi anche se hai 6 in pagella ma l’outlook negativo del prof sei bocciato. Il ministro dell’Istruzione è pregato di tenerne conto per i prossimi scrutini. Ora, però, se stanno così le cose, sempre per via di quel residuo di logica cui restiamo aggrappati, resta un dubbio: perché quando Moody’s, qualche giorno fa, ci ha abbassato il voto mantenendo stabile l’outlook, contava il primo e non il secondo? Cioè: perché conta sempre quello che va male per noi? Venerdì, per dire, per tutto il giorno si parlava di declassamento dell’Italia da parte di Standard & Poor’s. Molti lo davano già per scontato. Se, alla fine di tanti timori, non arriva il declassamento è una notizia buona non vi pare? No, c’è l’outlook negativo. E, a guardare bene, forse anche uno degli esperti di Standard & Poor’s che ha alzato il sopracciglio destro mentre osservava i nostri bilanci. Dunque sarà certamente una tragedia.
Ho come la vaga impressione che il partito dell’Apocalisse la stia aspettando, questa benedetta tragedia. E rimanga come deluso ogni mattina che l’Italia si risveglia, nonostantele sue aspettative, ancora in piedi. Ma come? Nemmeno un downgrading oggi? Nemmeno uno spread a 400? Un crollo in Borsa? Una banca che faccia crac? Uno straniero che sparga un po’ di letame su di noi? Ma come? Niente? Che dite? Bloomberg difende l’Italia? Non datene notizia per carità. Pure il Wall Street Journal? Servo di Trump, non merita un rigo. Pure il Financial Times? Pure loro? Ma come si permettono? E adesso ci si mettono anche le agenzie di rating? Con tutto quello che abbiamo fatto per questi impuniti? Abbiamo taciuto i loro fallimenti, abbiamo nascosto Lehman Brothers e Parmalat, abbiamo fatto finta che non avessero promosso Enron e Argentina pochi giorni prima del crac, le abbiamo elette a divinità assoluta, arbitri del bene e del male, verità intoccabile: e loro non ci danno nemmeno una bocciatura come si deve? Chiara e pulita? Non c’è più religione, neppure nelle agenzie di rating. Ci tocca fare da soli, come sempre. Il declassamento non c’è stato, quindi siamo stati declassati. Tiè. D’ora in avanti è fatto obbligo dire così.
fonte: QUI
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