di Vincenzo Cirigliano
Nella dialettica comune è cresciuta in questi giorni la diatriba su quanto sia opportuno e doveroso oggi inserire in Italia il Reddito di Cittadinanza, contrapposto a chi ne sottolinea solo il presunto messaggio negativo che un provvedimento del genere può innescare all'interno della società italiana. Chi ne parla positivamente ha, come è naturale che sia, enfatizzato le caratteristiche più palpabili del Reddito di Cittadinanza, quali ad esempio la lotta decisa allo stato di povertà, che oggi colpisce sei milioni e mezzo di cittadini, a fronte di altri nove milioni di cittadini ritenuti a rischio indigenza nel Paese.
Enfatizza allo stesso tempo la funzione di indirizzamento al lavoro, propria di questa misura, che riguarda migliaia di giovani che stentano ad entrare nel mondo del lavoro e che in molti casi sfocia in decisioni importanti che volgono lo sguardo fuori dal nostro Paese.
In pochi sottolineano alcuni punti focali, cosa molto plausibile considerando l'importanza e la delicatezza del tema che il mainstream dell'informazione è attento a non fare emergere per ovvie ragioni legate a chi oggi controlla l'informazione, punti che sfuggono alla moltitudine e che rappresentano delle caratteristiche non di secondaria importanza, che di sicuro eleverebbero ancor di più la discussione sul Reddito di Cittadinanza. Da rappresentante Sindacale ho personalmente avuto modo di constatare direttamente quello che andrò ora a raccontarvi. Negli ultimi 10 anni mi è più volte capitato di sedermi ai tavoli di trattativa sindacale, come rappresentante dei Lavoratori, con la parte datoriale, ed ho avuto modo di constatare direttamente, quale è stata la differenza di approccio alla trattativa che si è avuto modo di registrare all'indomani dell'entrata in vigore del Jobs Act di Renzi. Le armi che i difensori dei lavoratori avevano in mano nel periodo ante jobs act facevano perno in maniera consistente sull'articolo 18, che di fatto impediva alle Aziende di liberarsi facilmente dei lavoratori, dovendo giustificare le motivazioni e le giuste cause di eventuali licenziamenti. Questo si traduceva in fase di trattativa in una maggiore attenzione ed ascolto che la parte datoriale dedicava alle istanze dei lavoratori, che potevano essere di ordine normativo o economico, ben sapendo che accontentare in qualche modo queste istanze avrebbe facilitato in qualche modo la produttività, fermo restando l'impossibilità di poter contare su armi spendibili con potenzialità adeguate per demolire quelle certezze su cui potevano contare i lavoratori a livello normativo, che impedivano di fatto di disfarsi di quella forza lavoro che si percepiva come scomoda e pretenziosa, ad ampia sindacalizzazione, difficilmente sostituibile con forze giovani italiane ed extracomunitarie, più avvezze a piegarsi a salari molto più contenuti ed a tutele più scarne. Non si sarebbe in alcun modo potuto procedere senza incorrere in azioni legali che si sarebbero, nel 90% dei casi, concluse a favore dei lavoratori.
Demolito l'art. 18 e fatto passare una normativa che di fatto smantellava questa rete protettiva, quale è oggi il Jobs Act, e che avalla il licenziamento anche senza giusta causa, a fronte di un mero ed esiguo indennizzo, che escludeva di fatto la reintegra del lavoratore anche qualora l'azienda fosse nel torto, la trattativa sindacale assumeva contestualmente delle peculiarità alquanto diverse ai tavoli negoziali, in cui l'Azienda aveva gioco facile nell'abbassare sistematicamente le pretese delle maestranze lavorative in sede di discussione, siano esse di ordine normativo od economico, certa di poter contare su un'arma inattacabile quale quella di poter procedere ad eventuali licenziamenti di lavoratori, anche senza giusta causa. Aspetto non da poco, che andava ad incidere sugli scioperi e relativi fermi produttivi da attuare parallelamente alle trattative, a cui in tanti lavoratori si sottraevano per paura che la parte datoriale li puntasse in proospettiva di futuri e probabili dichiarazioni di esubero del personale. Consapevoli oltretutto , i lavoratori, delle enormi difficoltà che ci sarebbero state, una volta usciti, per rientrare nel circuito lavorativo, visto la cronica mancanza di lavoro ed una disoccupazione a due cifre.
Qui entrano in gioco anche le politiche del lavoro che si mettevano in atto a cornice di queste cambi normativi epocali e che, da quanto sfuggito casualmente nel corso di una intervista televisiva all'on D'Attorre, prevedevano una percentuale di disoccupazione strutturale prevista dalle istituzioni europee intorno all'11% per il nostro Paese, proprio per indebolire la posizione contrattuale dei lavoratori e quindi una coseguente facilità di perseguire politiche di deflazione salariale, da sempre fortemente perseguite da Bruxelles per compensare l'impossibilità per le aziende Italiane di ritrovare competitività, in ambito internazionale, attraverso la svalutazione competitiva monetaria, impossibile da attuarsi dal momento in cui siamo entrati nel Sistema Euro a cambio fisso, tanto voluto dai grandi poteri economici che perseguivano ed avallavano da anni politiche di taglio di diritti e di Salari della classe media lavoratrice.
Una situazione paradisiaca quella del Jobs Act, creata su specifiche richieste della parte datoriale legata a doppio filo e facilmente identificabile proprio con ambienti affini ai grandi potentati economici, una situazione idilliaca funestata da un Governo, quello Giallo Verde Italiano, che in maniera devastante cercava di dirottare i loro piani verso politiche di redistribuzione e di equità sociale, proprio quelle politiche da loro sempre rifiutate e combattute. Il Reddito di Cittadinanza rappresenta, oltre che un potente argine alla Povertà, il più grande tentativo di riappropriarsi di quel potere contrattuale che i lavoratori hanno visto svanire in maniera coatta, con le emanazioni delle Norme contenute nel Jobs Act e con la volatilizzazione dell'Art.18. Rappresenta inoltre, indirettamente, una sorta di "No Fly Zone" al di sotto di cui nessun datore di lavoro potrà scendere in ambito salariale ( da non confondersi con il Reddito Minimo), oltre che un argine al voto di Scambio Politico e a volte anche mafioso, tipico del nostro Paese.
E' questo il vero terrore dei potentati economici Europei che rivedono, nell'avvento del Reddito di Cittadinanza in Italia, lo spettro di una classe Media lavoratrice che rialza la testa e si risiede ai tavoli negoziali forte del fatto di non dover più fare i conti con uno Stato latitante, che ti abbandona nel momento in cui ricadi nello spettro tetro della disoccupazione, condizione che ti espone al ricatto salariale machiavellicamente amplificato in Italia da una platea enorme di disoccupati opportunamente programmata, come sottolineavo prima, e da un fenomeno migratorio sostenuto ad hoc in questi anni e che mira proprio a creare quell'esercito di riserva di cui parlava Marx, condizione essenziale per fare Dumping Salariale a discapito delle classi più deboli.
E' questo il vero motivo, opportunamente taciuto dal mainstram asservito dell'informazione italiana ed Europea, per cui si è innescato a livello Comunitario e tra i grandi poteri Economici e Finanziari l'allarme legato a quel Governo Italiano che vuole cambiare quel paradigma, con tanta fatica costruito ed imposto negli ultimi venti anni. Ed è questo il motivo di una mobilitazione a tutti i livelli di tutto un Sistema che si è radicalizzato attorno a questo paradigma e che oggi scende in campo per demonizzare questo cambiamento, adducendo una motivazione legata ai conti ed ai bilanci che è solo la foglia di fico posta ad argine, per nascondere i veri motivi, le vere preoccupazioni, le vere paure che stanno scuotendo la piramide del Potere in Italia ed in Europa.
In questo contesto, davvero preoccupante appare la posizione del Sindacato che discute in questi giorni la possibilità di scendere in piazza, per contrastare i principi del Def delineato da questo Governo, limitandosi a non guardare all'essenza e alle finalità dei provvedimenti messi in campo a favore dei cittadini, attivandosi solo ed unicamente per sminuire la portata rivoluzionaria di questi provvedimenti, limitandosi a focalizzarsi solo su quelle parti più strumentalizzabili, se raccontate ovviamente in maniera distorta, attraverso cui si cerca di svilire tutto l'impianto normativo di Governo.
Da lavoratore, oltre che da Rappresentante Sindacale vi chiedo di non farlo, vi chiedo di fermarvi finchè siete in tempo, potrebbe essere questo il colpo finale per sancire la fine del Sindacato in Italia, in prospettiva di un'operazione alquanto azzardata che dimostra di non tener conto di come si sia oggi riposizionato il consenso all'interno delle realtà Produttive Italiane e che in maniera massiccia, da Sud a Nord, premiano e sostengono le attuali forze di Governo. Il Sindacato si sganci da chi politicamente lo vuol dirottare e strumentalizzare e si riappropri delle sue prerogative originarie legate solo ed esclusivamente alla tutela del Lavoro e dei Lavoratori. No ad un Sindacato Politicizzato, No al Sindacato della Previdenza Complementare, No al Sindacato dei Fondi Sanitari. Si ad un Sindacato che si rifà ai principi ampiamente sanciti dalla Carta Costituzionale in tema Previdenza, in tema Sanità ed in tema Diritti e che pone al centro lo Stato ed il cittadino e mai, dico mai, l'Interesse Privato.
Nessun commento:
Posta un commento