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giovedì 14 novembre 2013
Da Terra dei Fuochi a Terra pulita: la Campania in piazza contro il biocidio
Dopo le parole del pentito Schiavone assume un grande rilievo la manifestazione di sabato 16 novembre nella Terra dei fuochi. Per rilanciare l’idea di comunità contro lo Stato-Mafia, il welfare contro la dismissione dei diritti e il risanamento del territorio contro l’avvelenamento della popolazione. Una battaglia nazionale che parla di democrazia, diritto alla salute e beni comuni di cui i movimenti sono i soli protagonisti.
di Antonio Musella
La storia del nostro Paese è piena di conflitti che hanno riguardato la sfera del bios e che si sono immediatamente posti come irriducibili al modello di sviluppo capitalista – spesso in maniera sostanziale più che formale. Dagli anni Ottanta le battaglie che spesso sono state definite “ambientaliste” hanno segnato fasi importanti di protagonismo sociale in Italia.
Così verso la fine degli anni zero, le lotte per la difesa dei commons sono arrivate da noi facendo esplodere la stagione delle lotte territoriali. Abbiamo imparato a conoscere nuove categorie ed a declinare in maniera differente quelle che conoscevamo già. “Territorio”, “beni comuni”, sono diventate categorie chiave di un nuovo paradigma che ha segnato anche l’elaborazione – ed il protagonismo – dei movimenti antisistemici in Europa e soprattutto in Italia. Le esperienze che vanno dal No Tav al No Dal Molin hanno caratterizzato quel ciclo e caratterizzano ancora il conflitto sociale dei territori dove si sviluppano. Eppure tra il 2007 ed il 2011 la Campania aveva dato un contributo a quella stagione, a partire da un terreno che raramente aveva visto un protagonismo politico degno di nota. Le lotte contro la costruzione di discariche ed inceneritori in Campania racchiudevano in sé elementi identici a tutte le altre battaglie in difesa dei beni comuni.
Il tema della democrazia Vs autoritarismo, con l’opposizione delle comunità territoriali organizzate in comitati indipendenti contro lo stato d’eccezione caratterizzato dai poteri commissariali; distribuzione della ricchezza Vs speculazione capitalista, con i modelli di impiantistica che si andavano a contrapporre, da un lato quelli imposti dalle istituzioni (discariche ed inceneritori appunto) e quelli reclamati dai comitati come compostaggio, differenziata e trattamento a freddo; socializzazione dei saperi Vs accademia asservita, con la capacità di contrapporre una circolazione libera delle conoscenza tra le comunità che generava un processo di autoformazione permanente contro una accademia ufficiale che preferiva le consulenze e le prebende elargite dalle istituzioni; alternativa sostenibile Vs paradigma sviluppista, con un modello di sviluppo non fondato sull’aggressione al territorio e sul saccheggio delle risorse che al tempo stesso non risultasse un mero esercizio di decrescita dai sapori bucolici ma che puntasse su un uso delle tecnologie e dei saperi, per disegnare un modello di sviluppo capace di definirsi, anche nei suoi valori fondanti, come alternativa al capitalismo neoliberista.
Qualche volta in certi ambienti intellettuali, quelli degli incendiari parolai, la portata di quel ciclo di mobilitazioni fu sminuito bollandolo, a torto, come “la lotta dei rifiuti”. Quasi come se quel processo di etnicizzazione tanto caro al potere – i rifiuti sono un problema dei napoletani che sono incapaci – avesse incredibilmente permeato anche il piano dell’elaborazione di alcuni ambienti attigui ai movimenti sociali. Eppure quel ciclo ha portato in piazza migliaia di persone esprimendo eventi con una carica conflittuale, intesa non solo come scontro fisico di piazza ma inteso come contrapposizione cruciale tra interessi contrapposti nell’esercizio della sovranità, difficile da ritrovare in altri territori.
Oggi possiamo senza dubbio definire di essere davanti ad un ciclo di mobilitazioni nuove in Campania. Siamo davanti ad un nuovo movimento che il prossimo 16 novembre avrà a Napoli il suo momento di massima visibilità. E’ il movimento Stop Biocidio nato da un percorso lungo costituito innanzitutto da una nuova narrazione dei bisogni del territorio campano. Al centro dell’elaborazione ancora una volta il bios, ma con una declinazione che tiene conto del contesto complessivo in cui il biocidio, ovvero lo sterminio di esseri viventi, si agisce.
Stop Biocidio si caratterizza su delle dicotomie estremamente avanzate: comunità Vs Stato-Mafia, con la volontà di imporre il controllo popolare sui processi di bonifica nei confronti di uno Stato che ha contribuito ad avvelenare i territori attraverso le sue articolazioni mafiose come ormai ampiamente dimostrato dalle recenti notizie giudiziarie; welfare Vs dismissione dei diritti, con la richiesta, ad esempio, di un potenziamento del servizio sanitario pubblico per garantire ai cittadini campani l’accesso al diritto alla salute ed alla possibilità di curarsi contro la dismissione del servizio sanitario nazionale che si sta sviluppando in tutto il paese; è territorio Vs emigrazione, con la declinazione della concetto di “risanamento” preferito a quello di “bonifica”, dove per risanamento si intende non solo la “pulizia dai veleni” ma la possibilità di produrre ricchezza su quel territorio in maniera sostenibile e solidale come alternativa all’emigrazione. Allo stesso modo questo movimento ha mutuato dai cicli di lotta precedenti i temi della democrazia e dell’alternativa al modello di sviluppo vigente, oltre che alla socializzazione dei saperi – anche se in questa fase è ancora lento un processo di autoformazione permanente.
Un movimento interclassista per composizione, indisponibile alla mediazione per constatazione dell’ineluttabilità dello scontro degli interessi tra comunità e Stato, indisponibile alla cooptazione da parte delle organizzazione classiche del consenso come i partiti ed anche a quelle forme di partecipazione politica nuova, come il fenomeno grillino, che è oggettivamente poco rilevante nel movimento forse perché troppo impegnato a compilare i moduli per il rimborso degli scontrini. Temi, proposte politiche, composizione sociale che permettono di legare in un unico quadro questioni diverse. Un esercizio su cui spesso i movimenti sociali hanno avuto grande difficoltà. Una difficoltà che spesso si è acuita quando i movimenti hanno perpetrato nell’errore di scambiare la tendenza dei processi reali per la realizzazione di fasi di trasformazione radicale “qui ed ora”.
In un Paese dove le realtà autorganizzate fanno fatica a riprendere slancio, nonostante la buona riuscita delle manifestazioni del 18 e 19 ottobre, in un Paese dove l’alternativa politica e sociale resta un obiettivo per pochi ed una piano di astrazione per i più, il movimento Stop Biocidio è un’occasione cruciale.
L’avvelenamento dei territori, i danni alla salute delle persone, l’aumento delle morti, la qualità della vita sempre peggiore, l’assenza di welfare, la ricorrente impunità per i responsabili degli scempi sui territori stanno agendo da fattori aggreganti. Non solo in Campania. Nel Lazio è già nata la Rete Stop Biocidioche sta vedendo il protagonismo dei comitati contro la discarica di Falcognana ed alcune associazioni e centri sociali romani, in Abruzzo è nata poche settimane fa la prima assemblea regionale Stop Biocidio che si è tenuta a Pescara, così come in Puglia si sta sviluppando un percorso che tende a ricomporre soggettività ed individualità proprio su questo tema.
Infine è davvero straordinaria la manifestazione del 3 novembre scorso a Modena promossa dagli emigranti Campani in Emilia Romagna contro il biocidio della propria terra d’origine e di quella che vivono. Dall’esperienza di queste iniziative si può capire l’enorme potenzialità di questo movimento in tutto il paese. Se a questi percorsi recenti, che senza dubbio vedono nella Campania e nelle province di Napoli e Caserta un centro assolutamente nevralgico, aggiungiamo le campagne portate avanti in Veneto o in Toscana su questi temi allora capiamo che forse la scala di priorità delle realtà di movimento dovrebbe guardare con grande attenzione a quello che avviene intorno al tema dello stop al biocidio. Certo lavorando per un movimento vero e non intendendo questo percorso come una chiave di uscita dalla crisi dei gruppi, nè tanto meno, per altri aspetti, scambiando questa possibilità come uno strumento per colmare la crisi della rappresentanza.
Il biocidio è già una questione di tutto il paese. Lo è innanzitutto per le istituzioni che proprio dal movimento campano sono state immediatamente sfidate con la richiesta di un tavolo tra comitati e governo per trasformare le proposte dei primi in soluzioni, quindi per intenderci senza mediazioni. Nell’arco politico istituzionale sono rimasti ormai in pochi nel ruolo dei negazionisti. Lo sono i leghisti – basta ascoltare le dichiarazioni recenti del senatore Arrigoni – e qualche lobbista amico dei poteri forti. Per il resto dal Pd al Pdl tutti sembrano annuire con la testa in un ipnotico quanto imbarazzante senso di smarrimento. Ma già ci sono i pescecani: alcuni – i più coscienti del problema all’interno dei partiti e del governo – vorrebbero trasformare la richiesta di soluzioni che viene dal basso in grande affare utilizzando i soldi pubblici per le bonifiche come una nuova torta da spartire insieme ai poteri economici e mafiosi. D’altronde oltre alla Campania ci sono 59 tra siti di interesse nazionale e regionale su cui c’è bisogno di una bonifica già programmata, senza contare quelli che non sono classificati come S.i.n o S.i.r.
Ma resta il punto dell’inconsistenza del governo e della politica dei partiti su questo punto. Non hanno risposte e non riescono a declinare le responsabilità davanti alla rabbia generata dai lutti e dai veleni.
Questo solo grazie alla mobilitazione campana ed ai primi campanelli d’allarme che giungono da altre regioni.
E se davvero da domani tutti si lavorasse in questo senso? T’immagini...
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