di Giorgio Cremaschi
La doppia morale è sempre stata una costante delle classi dirigenti europee. Almeno da quando i governi e le rivoluzioni liberali alla fine del 1700 proclamarono i diritti umani, escludendo però da essi gli schiavi d'oltremare e gran parte del mondo del lavoro.
Questa Europa dalla doppia morale collassò esattamente cento anni fa con la prima guerra mondiale. Dopo venti anni di massacri il continente che uscì dalla sconfitta del fascismo sembrò proprio voler cambiare strada. La competizione tra est comunista ed ovest democratico liberale fu anche sulla realizzazione dell'eguaglianza sociale e sulla estensione dei diritti. Si sviluppò così lo stato sociale, quella che tuttora a me pare la più grande conquista collettiva della storia dell'umanità.
Il crollo del socialismo reale assieme alla svolta liberista nella politica economica mondiale, hanno messo in discussione in Europa la sostanza di fondo di quella conquista e hanno imposto una regressione di cui ogni giorno che passa misuriamo estensione e portata. È così tornata a governare la doppia morale, i diritti sociali e del lavoro sono diventati costi e le libertà materiali si fermano alla soglia della libertà di mercato. I nobili princìpi che sono a caposaldo della costruzione della Unione Europea sono diventati strumenti delle politiche di austerità e rigore.
Chi ha concepito quel disastro economico e sociale che si è rivelato l'Euro lo ha spesso giustificato spiegando che la moneta unica avrebbe dovuto essere il primo passo per una Europa unita, giusta e solidale. Ora questi buoni principi vengono proclamati per giustificare la continuità dell'Euro, dei patti fiscali e dei memorandum che lo sostengono.
In pochi anni cinquanta milioni di cittadini europei sono sprofondati in una povertà vicina a quella del vecchio terzo mondo. Il livello della disoccupazione è superiore a quello degli anni trenta del secolo scorso, la concentrazione della ricchezza e la diseguaglianza sociale, ci dicono diverse ricerche, stanno tornando a cento anni fa. E forse per questo la moderna Europa sta restaurando i suoi più antichi linguaggi della politica. Era dall'estate del 1914 che non risuonava così nettamente la parola ultimatum nella diplomazia continentale. Allora fu l'Austria Ungheria ad usarla nei confronti della piccola Serbia, oggi è tutta la UE a rivolgerla alla piccola Grecia.
Come tutti sanno al centro dell'aut aut rivolto da tutta Europa al governo greco non sta la questione del debito. Che esso sia inesigibile e che sia interesse degli stessi creditori dilazionarlo e persino abbuonarlo è economicamente scontato. Se ci fosse una manleva sul debito greco le borse festeggerebbero. Il punto è che questo non può avvenire mettendo in discussione le politiche di austerità sociale. La privatizzazione della sanità, della scuola, delle stato sociale e dei beni comuni, i licenziamenti di massa, il taglio brutale dei salari la disoccupazione strutturale, tutto questo deve continuare. La Grecia potrà avere altri soldi solo alla condizione di continuare quelle politiche economiche che l'hanno portata al collasso.
Come un barone medico della letteratura, che preferisce veder diffondersi una epidemia piuttosto che cambiare la cura, l'Europa esige la continuazione dell'austerità guidata dalla Troika. Al governo greco son concessi piccoli margini di facciata, ma la sostanza è ubbidire all'ultimatum. Piegarsi o perire questo il linguaggio antico della guerra che si costituzionalizza nell'Europa dell'austerità.
Parole di guerra che sempre più fanno scivolare i conflitti economici in situazione belliche vere e proprie. In Ucraina l'Europa rinnega il principio di autodeterminazione dei popoli, nel nome del quale ha bombardato Belgrado nel 1999 per dare indipendenza al Kosovo. E verso la Libia tornano le cannoniere, oggi si chiamano droni, senza che ci sia alcuna critica per venti anni di guerre umanitarie che son solo riuscite ad allevare e alimentare mostruosità.
L'ipocrisia domina una Europa ove ci si proclama "Charlie" dopo il massacro di Parigi, ma poi si condannano le vignette che ritraggono come nazista il ministro delle finanze della Germania. L'Europa dei diritti umani non riesce a salvare chi muore di freddo nei barconi del Mediterraneo, quando con il costo di un paio di F35 si potrebbe tranquillamente farlo per anni.
Chi governa questo continente oggi usa come primo strumento di consenso la paura. L'Europa imperialistica dell'800 si vantava di avere una missione imperiale nel mondo, il fardello civilizzatore dell'uomo bianco, scriveva Kipling, imponeva l'obbedienza agli altri popoli. Era orribile, ma oggi questa Europa delle banche chiede a tutto il mondo di salvare sé stessa e minaccia i propri popoli con la paura di perdere tutto se non saranno obbedienti.
Questa Europa non è più un punto di riferimento, ma un ostacolo alla ripresa del progresso della umanità. Questa Europa gretta e ipocrita ispira una vergogna che potrà cessare solo quando i suoi popoli, come hanno già fatto nel corso della storia, la rovesceranno dai suoi troni. Fino ad allora mi vergognerò di essere europeo.
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