di Emiliano Brancaccio.
La vittoria di Syriza in Grecia ha suscitato diffuse speranze di cambiamento della politica economica europea. Ma l'ultimatum lanciato ieri dalla BCE al governo greco chiarisce che una tangibile svolta negli indirizzi europei è a dir poco improbabile. La verità è che il governo di Alexis Tsipras sarà prima o poi costretto a scegliere: o l'agonia di un'austerità appena un po' mitigata oppure la difficile impresa di un'uscita dall'euro, con un effetto domino su tutta l'Unione.
In una intervista rilasciata a Micromega il 13 gennaio scorso, sostenevo che la Commissione europea e la BCE avrebbero al massimo offerto al nuovo governo greco "un'austerità appena un po' mitigata, un piatto avvelenato che condannerebbe Syriza alla stessa agonia che ha ridotto ai minimi termini il Pasok di Papandreou". L'intervistatore obiettava però che un governo guidato dalla sinistra greca potrebbe minacciare di ripudiare il debito per convincere le istituzioni europee ad abbandonare la logica perniciosa dell'austerity. Io replicavo che anche un parziale ripudio unilaterale del debito "indurrebbe la BCE a bloccare le erogazioni e determinerebbe una nuova crisi di liquidità".
La mia previsione si basava su un precedente: il modo in cui due anni fa la BCE ha gestito la crisi a Cipro. Mentre il governo cipriota faticava a trovare una maggioranza parlamentare per approvare il piano di austerity imposto dalle autorità europee, la BCE pubblicò un comunicato di poche righe in cui dichiarava che la liquidità di emergenza a favore della Banca centrale di Cipro sarebbe stata fornita solo per altre 72 ore. Dopodiché, l'erogazione di credito da parte della BCE sarebbe stata interrotta fino all'accettazione del piano di austerità da parte delle autorità cipriote.
Ebbene, ieri sera la BCE ha diramato un nuovo comunicato, questa volta indirizzato alla Grecia. L'istituto guidato da Mario Draghi ha revocato la possibilità per le banche greche di consegnare in garanzia titoli del debito pubblico di Atene in cambio di liquidità. La BCE giustifica la decisione affermando che al momento non è possibile stabilire se il nuovo governo greco porterà a termine la revisione del programma di pagamento dei debiti concordata dal precedente esecutivo con i creditori internazionali. Per il momento la BCE lascia ai greci la possibilità di attingere dallo sportello per la liquidità di emergenza, ma per quanto tempo? E' evidente che siamo al cospetto di un nuovo ultimatum, molto simile a quello indirizzato a Cipro nel 2013.
La vera questione è se il nuovo esecutivo greco sarà costretto a piegarsi alla BCE, come fece quello cipriota, o se disporrà di opzioni alternative. Per rispondere a questo interrogativo occorre valutare se la Grecia sia realisticamente in grado di minacciare un'uscita dall'euro. In un recente articolo che prende spunto dal modello per l'economia greca del Levy Economics Institute, abbiamo spiegato che un eventuale ritorno della Grecia alla dracma e una politica espansiva avrebbero senso solo se si riuscisse a tenere in equilibrio il saldo delle importazioni e delle esportazioni verso l'estero. Si tratta di un'impresa difficile per un paese portato allo stremo, che se però venisse tentata provocherebbe un effetto domino sulla tenuta complessiva dell'Unione monetaria europea. E' questo il nodo reale della vicenda, ed è su di esso che bisognerebbe concentrare l'analisi.
In tempi più illuminati del nostro si sostenne acutamente che l'invito a sperare è in fondo un invito a ignorare. Chi conosce non spera, ma innanzitutto prevede.
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