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martedì 28 ottobre 2014

Oggi è la Grecia, domani è l'Italia

DI PHILIPPE MENUT E ALEXANFRUNS
publico.es

Philippe Menut, ex-reporter di France 2 e France 3 diventato giornalista indipendente, ha realizzato un documentario. Si tratta di un grande affresco, allo stesso tempo umano ed economico, sulle cause e le conseguenze della crisi greca: il film da la parola a lavoratori dipendenti, militanti, economisti, medici, ministri, disoccupati, filosofi, e offre un punto di vista interno della crisi, testimoniando della resistenza e della solidarietà del popolo greco. La Grecia è un laboratorio. Il documentario apre il dibattito e lancia l’allarme sul futuro dell’eurozona in crisi, lasciata in mano al capitalismo finanziario.






Nel vostro film «La tempesta greca» [La tourmente grecque, in originale] vengono messe in luce una serie di manipolazioni mediatiche, che cercano di giustificare quella che è una vera e propria guerra economica e sociale contro la Grecia. Lei, da giornalista critico, come spiega questa inversione di ruoli, con le vere vittime – i cittadini greci – presentati come i responsabili della crisi?
Ho iniziato a girare il film proprio a partire da questa constatazione. Ero disgustato dal fatto che i Greci fossero spesso presentati, peraltro fin dall’inizio della crisi, come i responsabili di una situazione della quale sono vittime. Mi sono quindi trovato ad interrogarmi sulle ragioni stesse della crisi.
Queste dicerie, questi depistaggi, hanno sicuramente una funzione: mascherare la politica economica in corso, che mette in piedi una tremenda austerity nei confronti del popolo greco e dei servizi pubblici per realizzare un massiccio trasferimento di capitali pubblici verso la speculazione internazionale. Tra l’altro non si tratta solo di denaro pubblico greco, ma anche europeo. Sono stati stanziati 245 miliardi in un sedicente piano europeo di salvataggio del quale i Greci e l’economia reale greca non hanno praticamente visto alcun effetto. Il film lo dimostra: queste enormi somme vanno direttamente nelle tasche dei creditori del debito pubblico greco, che hanno prestato con tassi a volte maggiori del 20%... Tali prestiti hanno quindi la garanzia del contribuente europeo! Ed è tutto organizzato dalla Troika, sono loro i veri padroni del Paese: gli inviati della Commissione Europea, della BCE e del FMI (che più che altro esercita qui il ruolo di «esperto»).

Secondo lei, qual è la responsabilità dei media europei nel dare una visione distorta della realtà di questo Paese?
I media europei, in primo luogo quelli tedeschi, e soprattutto il Bild – primo quotidiano per tiratura in Europa – giocano un ruolo considerevole nel formare l’opinione pubblica. D’altro canto non è solo la realtà greca ad essere travisata, ma quella della crisi di tutta l’Europa.
Le grandi testate francesi, meno aggressive ma altrettanto efficaci, ci parlano di «riforme strutturali» (laddove dobbiamo tradurre con «austerity imposta alla popolazione»); di «rassicurare i mercati» (ovviamente finanziari, ma questo non lo dicono mai); di «ristabilire la fiducia» (idem come sopra, e neanche in questo caso dicono tutto). Lo scopo è sostenere il fatalismo nei confronti di un sistema economico neoliberale «che non avrà alternative», come diceva Margareth Thatcher.
La cosa più paradossale di questa ideologia dominante è che riesce a far credere che non ci sia ideologia dominante… Si spingono le persone a dire che «non fanno politica» mentre in questo modo non fanno altro che confermare che in realtà la stanno facendo eccome…
Mi rendo conto che, come tutti, anche io uso il termine «crisi» per praticità. In realtà questo termine è inappropriato. Questa crisi non è una catastrofe, non è una fatalità. È in realtà non è altro che un aumento deliberato e brutale delle disuguaglianze.

La chiusura della televisione pubblica greca nel 2013, e la decisione dei suoi dipendenti di dare via ad un programma di informazione indipendente, è un chiaro esempio della capacità di resistenza del popolo greco. Qual è la lezione da trarre da questa esperienza?
Ci sono momenti in cui il popolo è forte, creativo e audace nei confronti di un potere indebolito. La lotta della televisione pubblica (la ERT) ne è un esempio. Il film ne parla, ve la riassumo: l’11 giugno 2013 il governo, su richiesta della Troika, chiude l’emittente e licenzia i 2650 dipendenti. Immediatamente si verifica una grande mobilitazione in Grecia e una protesta generalizzata in tutto il mondo. Giornalisti e tecnici occupano l’edificio ma il governo greco, preso in contropiede, non se la sente di ordinare le cariche della MAT (la polizia antisommossa) contro il personale. Così l’occupazione dura 5 lunghi mesi, un vero periodo di autogesione, con le trasmissioni che riprendono e che vengono diffuse su internet. Con una totale indipendenza e un vero pluralismo, queste trasmissioni hanno peraltro avuto un grande successo. Il 7 novembre 2013, alla fine dei 5 mesi, il governo ha deciso – sempre su consiglio della Troika! – di far sgomberare il personale. Dopodiché gli ex-dipendenti ERT hanno lanciato una nuova radio-televisione, la ERT Open.

Quando si parla del debito della Grecia, sembra che la Germania abbia interesse a nascondere un importante episodio storico, riguardante il denaro che deve alla Grecia dopo la II Guerra Mondiale. Potrebbe spiegarci meglio questo importante capitolo che, nel film, è trattato attraverso la testimonianza di un ex-partigiano combattente?
Manolis Glésos, 92 anni, è un «monumento» in Grecia. È uno dei primi resistenti d’Europa, noto perché nel maggio del 1941 tolse la bandiera nazista dalla sommità dell’Acropoli. Una delle sue battaglie attuali è quella di chiedere alla Germania il pagamento dei danni di guerra e la restituzione di un prestito forzoso che i nazisti fecero alla Banca di Atene. Il totale del debito dovuto alla Grecia dalla Germania si aggira sui 162 miliardi di euro attuali… Vale a dire più della metà del debito che ora la Germania pretende dalla Grecia in maniera così intransigente.

Uno dei medici intervistati nel film, nel corso di una manifestazione, spiega che la chiusura di sette ospedali ad Atene significa che molto semplicemente sempre più persone finiranno a morire per strada. L’impatto delle misure di austerity in Grecia, in particolare nel settore sanitario, sembra apocalittico…
È sufficiente una sola cifra. Secondo una rivista scientifica inglese e secondo Médecins du Monde, la mortalità infantile è aumentata del 43% dall’inizio delle misure di austerity. In Grecia, ma anche nel resto d’Europa in crisi, la sanità rappresenta il principale bersaglio dei tagli. Perché non si taglia l’istruzione statale? Semplicemente perché non è possibile ridurre il numero totale degli allievi. Al contrario, è possibile intervenire sulla durata delle cure, si possono ridurre i rimborsi, ecc… Nel film, si vede un grande ospedale che resta aperto ma che, in mancanza di mezzi, si muove come al rallentatore, mezzo vuoto.

La sua panoramica sulla Grecia rischia di doversi allargare ben presto ad altri paesi…
All’epoca delle prime riprese non avevo previsto di parlare dell’importanza del capitalismo finanziario, e neanche dell’Unione Europea. Sono state le mie inchieste, i miei interlocutori a portarmici in maniera del tutto naturale. Il film apre un dibattito sull’Unione economica e monetaria.
Alcune interviste più «forti» spiegano la necessità di una rottura con l’euro, altre spiegano che bisogna essere pragmatici e che occorre in primo luogo opporsi alle misure di austerità e ad un debito illegittimo. Non voglio essere drastico, ma se si vuole porre la questione del cambiamento nelle politiche economiche e sociali, oltre che nella democrazia, bisognerà pure porre la questione dell’onnipotenza dell’attuale Europa. Il capitalismo finanziario si è reso padrone negli stessi organismi dell’UE, nei trattati, e l’influenza delle lobbies è grandissima.

Quale messaggio vorrebbe lanciare alle persone che guardano alla Grecia da lontano mentre subisce danni terribili presentati però come inevitabili? Al di là della solidarietà, in che modo gli europei possono essere coinvolti? E i popoli europei come potrebbero passare alla controffensiva?
Tutta la zona euro è coinvolta nella crisi greca. La Grecia è un laboratorio per testare su un piccolo paese (11 milioni di abitanti) una politica spaventosa in nome di un debito artificialmente gonfiato. Dall’inizio delle riforme, che si presume dovessero dare una risposta alla crisi, il debito ha fatto un balzo del 50% e la disoccupazione è passata dal 10 al 28%! E politiche di questo genere continuano.
Attenzione però che questa crisi del debito è la stessa in tutta Europa, una delle zone del mondo che più è in recessione. La Francia, che conosco meglio, ha un debito di 2000 miliardi di euro della stessa natura di quello greco. Sarebbe meno della metà, senza interessi eccessivi dovuti alle banche e senza i regali sul fronte fiscale. Solo il rimborso degli interessi è una delle prime voci di spesa dello Stato. I nostri cari «colleghi» delle grandi testate non ne parlano mai…
Il sogno europeo potrebbe veramente trasformarsi in un incubo. I Greci ci mostrano la strada della resistenza. Tante piccole resistenze isolate non saranno sufficienti. La vera questione è sapere se i popoli sapranno unirsi per un’altra Europa, più giusta e democratica, un’Europa dei cittadini.
Alex Anfruns

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